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Game of Thrones 8×03 – Cronache di un episodio per cui la Tv non era ancora pronta

Ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 8×03 di Game of Thrones.

Il terzo episodio dell’ottava stagione di Game of Thrones si intitola The Long Night, La lunga notte. E non poteva essere altrimenti, dal momento che verrà ricordato (soprattutto) per essere sostanzialmente una lunga, nerissima inquadratura nella quale si distinguono a fatica le sagome dei combattenti della battaglia di Winterfell.

Si tratta dell’ultima, vera, scena di guerra che ci proporrà Game of Thrones: non possiamo infatti considerare tale l’assedio lampo di Approdo del Re, condotto da Daenerys in groppa al suo ultimo drago, che è più un bagno di sangue che una battaglia. Con alle spalle esempi di maestria tecnica, scenografica e di sceneggiatura come la battaglia di Blackwater della seconda stagione e quella mostrata nell’episodio The Watchers on the Wall nella quarta (ricordate tutti Jon che emerge dal mucchio di cadaveri?), quella che vediamo nell’ottava stagione si candidava a essere la ciliegina sulla torta, la riprova definitiva che Game of Thrones aveva vinto su tutti i fronti la guerra (è il caso di dirlo) sia tecnica che emozionale con un altro gigante del fantasy come Il Signore degli Anelli e la sua iconica battaglia del Fosso di Helm.

Invece, non è andato tutto come previsto, come vi avevamo raccontato all’indomani della messa in onda, e la sete di realismo ricercata dal direttore della fotografia Fabian Wagner, così come la sceneggiatura di David Benioff e D. B. Weiss, hanno portato questo episodio a peccare di tracotanza, relegandolo al livello di esperimento non riuscito e non certo di capolavoro ineguagliabile.

Game of Thrones (640×360)

Dal punto di vista della costruzione drammaturgica, questo episodio è orchestrato benissimo: si compone di tre atti distinti che contribuiscono a innalzare sensibilmente la tensione e, inoltre, è incentrato unicamente su questo evento, in tutta la sua ora e venti di durata (l’episodio più lungo di Game of Thrones). In questo modo l’attenzione dello spettatore non si disperde in altre storyline e la tensione rimane sempre ben incanalata sull’assedio dei non morti e sulla disperata, ultima difesa degli “alleati” a Winterfell.

Nel primo atto si combatte all’esterno delle mura di Grande Inverno, ma presto lo scontro si sposta all’interno, con un crescendo emozionale e tattico che porta i nemici a confrontarsi sempre più corpo a corpo. Il secondo atto si gioca tutto all’interno delle mura e vede Arya Stark protagonista assoluta, mentre cerca di sfuggire ai non morti, in una sequenza che omaggia la cinematografia horror e fa comprendere quanto sia cresciuto il suo personaggio, ormai una vera assassina a sangue freddo, capace di muoversi silenziosamente e colpire, letale e sicura, anche chi è già morto.

L’ultimo atto, il meno riuscito, si svolge nell’angolo più remoto di Grande Inverno, spingendosi fin sotto l’albero degli antichi Dei dove Bran Stark attende, impassibile, che si presenti il Night King; com’era prevedibile, l’arrivo di Arya in forma di deus ex machina risolve la situazione e in un colpo solo (letteralmente) spazza via la minaccia dei non morti, ponendo fine, in pochi secondi, alla più grande minaccia dei Sette Regni (nonché all’unica ragione che ancora spingeva gli spettatori a vedere Game of Thrones).

Una minaccia che, soprattutto in questo episodio, si dimostra ancora una volta colma di doppi standard: nessun personaggio davvero centrale ai fini della narrazione è mai stato in pericolo né, tantomeno, è stato ucciso. Sì, la piccola Mormont ci lascia, sempre con stile, così come Jorah Mormont, Theon e Melisandre (personaggi comunque arrivati al compimento del loro arco narrativo): ma è decisamente poca roba per una serie che aveva scaldato i motori, nella prima stagione, decapitando il personaggio principale.

Un’armatura di plot armor forte come l’acciaio di Valyria sembra investire tutti i personaggi principali: Bran, Arya, Daenerys e soprattutto Jon, che si trova più volte accerchiato dai non morti eppure riesce sempre a cavarsela. Insomma, le scene di battaglia di The Long Night verranno ricordate più per le soluzioni in alcuni casi ai limiti dell’inverosimile che per il realismo, che pure era stato orchestrato egregiamente nella battaglia di The Watchers on the Wall. Uno scontro, quello, crudo, sporco, come dovevano essere le battaglie medievali; niente a che vedere con le soluzioni prevedibili e spesso eccessivamente confacenti al fandom a cui sono ricorsi gli sceneggiatori per The Long Night.

Molto interessante, invece, l’omaggio che questa puntata di Game of Thrones fa ai classici del cinema horror. Ne abbiamo un esempio nella magnifica sequenza in cui Arya si aggira per il castello, tentando di sfuggire ai non morti, ma anche nella scena ambientata nelle cripte, in cui si rifugiano tutti coloro che non sono in grado di combattere.

Game of Thrones (640×320). In alcune scene di The Long Night la luce è utilizzata in modo pregevole, come in questa inquadratura di Arya, che “emerge” dall’oscurità.

Quando il Re della Notte fa resuscitare tutti i morti, incluso chi era appena deceduto nella battaglia, infatti, si risvegliano anche coloro che giacevano indisturbati nelle cripte, tra lo sgomento di tutti quelli che credevano di essere, se non al sicuro, almeno fuori dall’occhio della battaglia.

Invece, Game of Thrones per un attimo si ricorda di se stessa e fa ciò che non faceva da almeno due stagioni: mettere tutti in pericolo, senza sconti per nessuno.

Certo, subito dopo si riaddormenta, graziando Tyrion e Sansa che si sono rifugiati nei sotterranei con tutti i personaggi non abili al combattimento e che vengono subito ricoperti della garanzia del plot armor, riuscendo a scamparla. Ma per un attimo il brivido familiare che proviamo quando capiamo cosa sta per succedere ci fa provare antiche sensazioni.

Il brivido che proviamo di fronte alla minaccia zombie, raccontata in innumerevoli film e serie e trasposta qui in versione fantasy.

Con l’uccisione del Re della Notte per mano di Arya si conclude la minaccia dei non morti e questa puntata: possiamo dire che questa scena conferma ciò che, agli spettatori, era diventato ormai chiaro da almeno una stagione. Che Game of Thrones, complice anche la mancanza del contributo narrativo dei romanzi di Martin, aveva intrapreso una strada volta a soddisfare le aspettative di una parte di fan, conducendo poi a un epilogo lontano anni luce dal nichilismo narrativo e dalla raffinatezza della scrittura che avevano contraddistinto le prime stagioni.

Più che una conferma della potenza di mezzi tecnici e narrativi, The Long Night rappresenta la resa totale di Game of Thrones al fandom, con un colpo di scena prevedibile e una soluzione della minaccia dei non morti così banale da vanificare sette stagioni e mezzo di mantra “l’inverno sta arrivando”.

C’è poi la questione, a cui abbiamo accennato anche in questo articolo, della luce utilizzata nel corso della puntata, o sarebbe più corretto dire “del buio”: fin dalla prima messa in onda, infatti, questa puntata è stata etichettata come decisamente troppo buia. Una caratteristica che ha reso alquanto difficile, anche per chi disponeva di televisori all’avanguardia, distinguere e godersi tutte le fasi della battaglia.

La scelta del direttore della fotografia di portare il realismo di uno scontro notturno, mostrato in tutte le sue fasi fino alla conclusione alle prime luci dell’alba, è sicuramente ammirevole ma il risultato lascia parecchio a desiderare. Anche Stanley Kubrick, in tempi sicuramente più parchi di tecnologia rispetto agli attuali, aveva optato per la luce rigorosamente naturale per il suo Barry Lyndon: ma basta osservare i fotogrammi delle scene del film ambientate di notte, a lume di candela, per rendersi conto che si poteva decisamente fare di meglio, anche con meno mezzi a disposizione, rispetto a ciò che è stato fatto in The Long Night.

Resta da considerare la motivazione “psicologica” dietro la scelta di ambientare la battaglia decisiva di Game of Thrones di notte e, per giunta, di fare in modo che fosse fisicamente difficile, per lo spettatore, visualizzare ciò che stava accadendo.

Game of Thrones (640×360)

Forse, l’intenzione del direttore della fotografia (che ha cercato di cavarsela incolpando le televisioni degli utenti) era proprio creare un magma visivo nel quale fosse quasi impossibile, in alcuni momenti, seguire alcune fasi dello scontro e anche distinguere i personaggi, in modo da aumentare il senso di confusione e ansia che si deve provare nel corso di una battaglia che si svolge di notte.

Ma, anche accettando questa ipotesi, poteva essere interessante proporre una visione di The Long Night al cinema, per chi avesse voluto fruire di questa esperienza visiva in un ambiente che potesse fornire il massimo del supporto tecnologico e visivo.

The Long Night, dunque, resta un’occasione mancata per due ragioni: una gestione in alcuni momenti raffazzonata della trama e degli snodi narrativi fondamentali e la componente visiva, decisamente non consona a una visione domestica. Possiamo dire che questo episodio è stato concepito per un modello di televisione che ancora non esiste: un modello in cui grande e piccolo schermo collaborano, valorizzando quella che era un’ottima idea sulla carta, ma che è stata portata in scena in un modo che non le ha certo reso giustizia.

Giulia Vanda Zennaro