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Final Space è arrivato su Netflix e non è una brutta imitazione di Rick e Morty

Qualche settimana fa ha fatto la sua comparsa sulla piattaforma Netflix una nuova serie animata di stampo “fantascientifico”: Final Space. Ecco, una brutta imitazione di Rick e Morty! – direte voi. Peccato che non sia così. Neanche lontanamente.

Final Space è, in breve, un pugno nello stomaco. La inizi un caldo pomeriggio d’estate – in cui in teoria dovresti studiare per la sessione autunnale – sperando di trovare ristoro dalla piatta caldana provinciale. Ti aspetti una commedia nera, dissacrante: la classica serie animata con disegni infantili ma indirizzata verso un acuto pubblico adulto. Peccato che non sia proprio così.

Ci prova a far ridere ma non ci riesce. Ma non perché la comicità faccia schifo, piuttosto questa immobile ilarità è dovuta alla cornice piuttosto cupa e disastrata. Le risate in Final Space non sono ammesse e i tempi comici servono solo ad alimentare il loop di morte e distruzione a cui si va incontro.

Final Space

A dirla tutta poi Final Space più che una serie fantascientifica è una Space Opera.

Piuttosto che a Rick e Morty, sembra infatti ispirarsi all’immortale Star Wars. Con un’architettura della trama quasi proppiana – molto fiabesca e con dei ruoli ben definiti – attraversa il multiverso descrivendo un percorso emotivo in evoluzione, quello del protagonista.

Gary (il protagonista di cui sopra) è un idiota patentato, che sta scontando una pena di cinque anni in isolamento su una nave spaziale. Gary – oltre a essere un mega cretino – è anche un inguaribile romantico con una triste ossessione nei riguardi di una ragazza, Quinn, bellissima e sicuramente molto più intelligente di lui.

Tutta la vicenda inizia a causa della sconsideratezza di Gary che decide di portare sulla sua nave un tenerissimo alieno verde fluttuante e…ho già detto tenerissimo? Peccato che l’alieno – soprannominato Mooncake (ancora più tenero, lo so!!) – è un temibile distruggitore di pianeti.

Giusto per dire: è la creatura più pericolosa dell’universo. Ecco, Gary ne fa un animale domestico. Un po’ come gli Egizi con i gatti.

Final Space

Per quanto Mooncake sia un essere temibile, tutti si schierano dalla parte della tenerezza e lottano per salvarlo dalle grinfie di un cupo supercattivo in miniatura, Lord Comandante (il richiamo a Darth Fener/Vader diventa più evidente di puntata in puntata). Questa è a grandi linee la trama in cui si intersecano vicende tragicomiche (più tragi che comiche), che sviscerano i rapporti umani, le relazioni padre-figlio e il desiderio di sacrificio per un bene comune.

Allo stesso tempo però, Final Space non vuole insegnarci un bel niente. Non c’è nessun finale positivo, anzi in effetti non c’è un reale finale. È piuttosto un portale lasciato aperto verso nuovi universi. Così, oltre a dieci puntate in cui si protrae un’agonia e un senso di claustrofobia sempre crescente, lo spettatore non ha neanche il gusto di un bel lieto fine o di un finale disastroso. Si possono fare supposizioni, ma non ci sono certezze sul destino dei protagonisti.

Final Space

Finisce ma non si sa come finisce, ecco. È indeterminato, infinito, come l’universo. Così l’agonia si protrae in un’indeterminatezza asfissiante, che ci lascia a bocca asciutta e tramortiti.

Insomma Final Space non vuole farci ridere, non vuole stupirci con tecnologie ultramoderne e non vuole nemmeno insegnarci niente. In conclusione quindi, qual è il suo obiettivo? Effettivamente, nessuno. Non si assurge nessun potere straordinario se non quello del mero intrattenimento. Tutto il resto è involontario. Una serie di incidenti di percorso che portano lo spettatore a struggersi e riflettere.

Non si riesce nemmeno a capire se sia tutta una tragica presa in giro. Semplicemente, il messaggio comunicato è così poco intenzionale che quasi ci si sente dei pazzi ad aver tratto da questa buffonata una certa filosofia.

Secondo me, un po’ di filosofia spicciola c’è, di quella spontanea e velata come la carezza di una brezza estiva. Quella di cui purtroppo non ti puoi vantare con gli amici sui social, ma che – con le sue lunghe e semplici riflessioni – ti lascia un po’ di amaro in bocca.

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