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Il film della settimana – La città incantata

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piattaforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto La città incantata.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere La città incantata? Ecco la risposta senza spoiler.

Stavolta, presi un po’ dalla nostalgia e dallo spirito delle feste, siamo andati sul sicuro scegliendo uno dei film più belli di sempre. Unico anime giapponese ad aver vinto l’Oscar di categoria, La città incantata (disponibile su Netflix e a noleggio su Apple Tv) è incentrato su Chihiro, testarda ragazzina di 10 anni costretta a traslocare in un’altra città con la famiglia. Durante il loro viaggio, però, si ritrovano improvvisamente davanti a un tunnel misterioso. Nonostante Chihiro non voglia, i genitori lo attraversano, arrivando in un parco dei divertimenti apparentemente abbandonato; lì dove i due adulti, attirati dal cibo, si ingozzano senza permesso fino a diventare dei maiali. Così Chihiro, catapultata nel mondo degli spiriti, dovrà cavarsela da sola, affrontare numerose prove e non perdere sé stessa per riuscire a salvare la sua famiglia e tornare a casa.

La sua storia si intreccia con quella di alcuni abitanti della città, dove c’è chi cerca di aiutarla da subito (come Haku) e chi, invece, la ostacola (come Yubaba). Infatti, in ogni fotogramma del capolavoro di Hayao Miyazaki, tecnicamente perfetto e curato in ogni minimo particolare, sono presenti tantissime creature perfettamente caratterizzate. Grazie alle meravigliose scene dominate dal silenzio e dove non succede niente, il regista ci permette di vivere il suo mondo, esplorando allo stesso tempo temi per lui importanti: ad esempio l’infanzia, i sogni, le tradizioni, il cibo e la natura.

Miyazaki unisce lo spirituale, il fantastico, la realtà e l’umanità in un’opera indirizzata ai bambini, che ne amano l’aspetto favolistico e trovano in Chihiro un modello a cui ispirarsi, ma anche agli adulti, che sanno cogliere i suoi aspetti più nascosti. Emozionate e toccante, dimostra quando un film d’animazione possa essere serio, tanto che per moltissimi questo è il migliore del genere mai prodotto. Guardatelo se non l’avete ancora fatto, rivedetelo per riscoprirne la bellezza e tornare di nuovo bambini. E dopo vi aspetta la nostra analisi di questo assoluto capolavoro prodotto dallo Studio Ghibli.

SECONDA PARTE: L’analisi (con spoiler) de La città incantata

La città incantata

La città incantata segue il viaggio di Chihiro verso la maturità, essendo obbligata a dividersi dai suoi genitori e a esplorare in solitudine un mondo che si dimostra ostile nei suoi confronti. Man mano che il suo percorso prosegue, è chiaro che lei non è solo la classica eroina di Miyazaki, ovvero una ragazzina ordinaria con una grandissima forza d’animo, ma emerge anche la lotta per conservare la sua identità. Quella data, in primis, dal nome. Chihiro, infatti, vuol dire “mille”, “fare domande” o “essere alla ricerca”. Quando Yubaba le toglie un carattere, diviene Sen, che significa soltanto “un migliaio”. Così facendo, la priva di un’importantissima parte della sua essenza.

Sappiamo benissimo quanto i nomi siano importanti. Per privare qualcuno della propria individualità, la prima cosa che dobbiamo togliergli è il nome, perché definisce chi è. Modificarlo con quello che ci affibbia un’altra persona equivale a cambiarci, diventare succubi di un nuovo io che non abbiamo scelto noi. Dimenticarci del nostro nome significa, dunque, perdere sé stessi.

È Haku a rivelarle a Chihiro questa importantissima verità nel film su Netflix e, finché la ragazzina si ricorderà chi è e da dove viene, nessuno potrà comandarla:

“È così che Yubaba ti controlla, rubandoti il nome. […] Se te lo dimentichi non potrai più tornare a casa”

Lui, infatti, non se lo ricorda più, rimanendo vincolato a Yubaba per sempre. Come un guru e un discepolo di una setta, Haku è uno schiavo inconsapevole nelle mani della strega e mero esecutore del suo potere. Sradicato dalla sua realtà, ha uno sguardo gelido e smarrito nel vuoto, dei movimenti meccanici e un incarnato pallido e spento. Yubaba ha sfruttato la fragilità e la confusione del ragazzo per ingabbiarlo, non contando che, in una condizione del genere, è facile che si apra uno squarcio nel suo cuore. E, nell’opera dello Studio Ghibli, ha il nome di Chihiro.

Come infatti dice Kamaji, a sorreggere Chihiro è la forza dell’amore. Un sentimento declinato in molte forme ne La città incantata.

Se quello per i genitori è la spinta che muove le sue azioni nel film su Netflix e quello di Kamaji fiorisce piano piano, ne nasce uno diverso e inaspettato per Haku. Quest’ultimo sente di conoscerla da sempre, l’aiuta e vuole proteggerla; Chihiro, invece, si aggrappa al ragazzo nei momenti di sconforto e lo salva quando ne ha più bisogno. In quella che sembrava un’amicizia, si evolve lentamente una relazione delicata e intensa dove scopriamo il vero significato dell’amore: proteggersi a ogni costo, non importa quale sia il prezzo. Ed è proprio Chihiro a ricordarsi il vero nome di Haku: è Kohaku, lo spirito del fiume suo omonimo, ormai interrato per permettere la costruzione di palazzi, nel quale la ragazzina cadde da piccola, venendo poi salvata da lui. Ecco che, grazie al loro sentimento, Chihiro combatte e Haku ritrova sé stesso.

Già dalla storia del ragazzo (che tra l’altro ricorda quella della mitologia giapponese in cui il dio Nigihayahi tradisce un ex-alleato per aiutare l’imperatore) possiamo scorgere quella critica non troppo velata del regista al capitalismo moderno del Giappone. I personaggi de La città incantata perdono chi sono quando firmano un contratto di lavoro e cedono il loro nome, diventando solo dei numeri e immedesimandosi completamente nella loro mansione. Basti pensare alle palline di fuliggine, in cui esistenza e lavoro coincidono: infatti, se smettessero di lavorare, l’incantesimo che le tiene in vita svanirebbe.

Per Miyazaki e lo Studio Ghibli, è Yubaba l’incarnazione del capitalismo, evidenziato dal vestire all’occidentale e dall’allontanamento dai valori tradizionali giapponesi. Lei rappresenta una società fortemente gerarchizzata, con un divario immenso tra ricchi e poveri: al vertice c’è la strega che vive in un lussuoso appartamento e che uccide chi non è più produttivo; nel mezzo si trovano i suoi collaboratori come Kamaji, umanoide dalle sembianze di ragno e, dunque, simbolo dell’operosità in Giappone; in basso, i dipendenti stipati in piccole stanzette, sfruttati, alienati e sottoposti a turni sfiancanti, con sembianze animali perché le qualità umane poco si adattano alle logiche produttive, e quegli occhi sbarrati di chi non può perdere nemmeno un minuto.

La città incantata

Importante è il caso di Senza Volto. Nonostante sia disprezzato per il suo aspetto, l’ombra nera, con la maschera bianca che rimanda al teatro No, viene idolatrato dal personale delle terme perché produce oro. Si sbracciano per averlo, ma non ha davvero valore perché non possono comprarsi la libertà, rimanendo schiavi di Yubaba. Lo spirito, poi, diviene sempre più ingordo e fraintende le gentilezze di Chihiro, pensando che solo dandole dell’oro lei continuerà a essere carina con lui. Sarà la protagonista de La città incantata a salvarlo, semplicemente accettandolo per quello che è e facendo così uscire da lui la sua parte calma, gentile e umana.

Del resto, la gentilezza è l’elemento chiave del film dello Studio Ghibli e Chihiro lo dimostra più volte con Haku, con Bo, spezzando la maledizione del sigillo di Zeniba e donando a Senza Volto la sua ultima polpetta magica.

Non ha pregiudizi, tratta tutti con lo stesso riguardo, come succede con lo spirito puzzolente. Si accorge che, tra la melma, è incastrata una bicicletta e, tirandola assieme agli altri lavoratori, emerge una massa di detriti che libera lo spirito di un fiume, facendolo tornare limpido e puro. Nella sua vita Miyazaki ne ha davvero ripulito uno e, riportando l’episodio nella pellicola su Netflix, lancia un grande messaggio ambientalista: solo con lo sforzo collettivo possiamo davvero salvare il nostro pianeta.

L’idea di collettività, infatti, è espressa anche nel lavoro, che non ha totalmente un’accezione negative ne La città incantata. Infatti, una volta che Chihiro trova un impiego, diviene parte integrante della società e viene accolta da essa. È un po’ la stessa dualità del cibo. I personaggi si riuniscono e si conoscono attorno a un pasto caldo; Chihiro deve necessariamente mangiare perché, non appartenendo a quel mondo, sparirebbe. Dall’altro lato, Miyazaki vuole sottolineare l’avidità del suo popolo attraverso i genitori della protagonista, che non si fanno scrupoli a ingurgitare senza permesso il cibo sacro degli spiriti, sintetizzata dalla loro trasformazione in maiali. Dipinti come bestie senza raziocino, retrocedono a stati inferiori della vita a causa della loro smania di possedere e fagocitare. Del resto, così fa l’essere umano di fronte al fascino dell’abbondanza.

Persa la capacità critica, tocca a Chihiro, immune alle lusinghe del materialismo e portatrice di una profonda spiritualità, usare la sua lucidità per trionfare. Anche se ha paura, ma è proprio quella che le consente di rimanere vigile di fronte al pericolo, di essere coraggiosa e di chiedere aiuto quando serve. Scegliendo, appunto, l’amore e mostrando il punto debole del potere.

Perché la bellezza di questo film dello Studio Ghibli è che non ci sono personaggi davvero cattivi e spaventosi.

Ad esempio, Senza Volto è terrificante nell’aspetto, ma Chihiro non si lascia ingannare stabilendo con lui un legame di fiducia e sedendosi al suo fianco nella bellissima scena del treno. Nemmeno Yubaba – ispirata dalle streghe delle montagne nipponiche – è totalmente perfida e, in un certo senso, è schiava del meccanismo che ha creato. La strega ama suo figlio Bo, simbolo di immaturità, ed è l’unico che domi la prepotenza della donna. È gigante perché enorme è il posto che Yubaba gli riserva nella sua vita e, con lui, vediamo la parte buona che troviamo in Zeniba. Le gemelle sono i due lati della stessa personalità che non si tollerano: Zeniba è ciò che Yubaba vorrebbe essere; in quest’ultima la seconda vede quello che non ha scelto di diventare. E se ogni personaggio rappresenta un vizio, nel dialogo con l’altro e con il proprio apparente punto debole, possono migliorarsi e mettersi in salvo.

Alla fine, dopo aver salvato i suoi genitori, il passaggio dall’infanzia alla vita adulta è compiuto. Da capricciosa e piagnucolona nella prima scena del film su Netflix, Chihiro è diventata consapevole delle sue forze e sa di poter affrontare gli ostacoli che la vita le pone davanti. Soprattutto ha capito che crescere non è solo una questione d’età, ma riguarda il modo di rapportarsi con il prossimo. Compresi quei genitori che spesso trattiamo male, ma che si rivelano importantissimi punti di riferimento. E viene il dubbio, a noi e a Chihiro, che quello che ha vissuto sia solo un sogno. Ma il laccio di Zeniba dimostra il contrario e che come dice la strega buona:

“Ogni volta che ci accade qualcosa, quel ricordo ci apparterrà per sempre”.

Esattamente come succede con questo capolavoro chiamato La città incantata.

Il film della scorsa settimana: Warrior