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Breaking Bad, bisogna dare atto, ha scritto la storia delle Serie Tv dell’ultimo decennio, risultando agli occhi della stragrande maggioranza di coloro che l’hanno vista una serie con pochi pari nell’ormai ampio panorama seriale. I motivi che portano ad un successo simile sono numerosi. Alcuni parlano di alchimia giusta, cioè quel fenomeno secondo il quale situazioni apparentemente incompatibili riescono a fondersi e a trovare l’incastro necessario per funzionare.

Tra queste ragioni non possono non essere citati gli attori e in generale il cast, quanto mai adeguato dai personaggi principali a quelli secondari. La trama, frutto della grande penna di Vince Gilligan. La regia, anch’essa gestita prevalentemente da Gilligan, e la fotografia, curata da Michael Slovis. In questo articolo ci concentreremo sulla regia di Breaking Bad. Considerato però l’ampio raggio di azione di Gilligan, non potremo non considerare la sua scrittura e le sue indicazioni per la fotografia.

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Uno dei pregi principali di un regista deve essere quello di rendersi riconoscibile, di riuscire a distinguersi al punto che i suoi più attenti ammiratori possano riconoscere o ipotizzare il suo ruolo soltanto guardando il modo in cui è girata una scena. Vince Gilligan ha cercato di creare un suo marchio di fabbrica; utilizzando e unendo tecniche classiche con alcune più moderne e, se così possono essere definite, tecnologiche.

Prassi vuole che nelle Serie Tv il creatore della stessa diriga soltanto alcuni episodi, magari quelli più importanti. Mentre alla regia degli altri si alternano registi e attori. Breaking Bad non fa eccezione da questo punto di vista, anche se bisogna dire che Gilligan dirige molti più episodi della media a cui siamo abituati in altri prodotti. Questo perché egli vuole conferire la sua impronta in modo da dare anche agli altri registi le indicazioni su quale sia la linea da seguire.

Da grande fan e figlio culturale di Sergio Leone quale è, Gilligan ha nel campo lungo una delle sue principali caratteristiche tradizionali. Innanzitutto, il campo di un’inquadratura è l’ampiezza di ciò che viene ripreso, il bordo esterno di ciò che viene mostrato sullo schermo. Dipende sostanzialmente dalla distanza tra la macchina da presa e il soggetto inquadrato, come anche dall’angolazione della ripresa e l’obiettivo scelto per effettuarla.

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Il campo lungo, nello specifico, prevede che il paesaggio sia predominante rispetto al soggetto, ma che questo sia ancora ben riconoscibile nonostante la distanza che lo divide dalla macchina da presa. In Breaking Bad gli esempi di campo lungo sono numerosi, soprattutto se pensiamo alle scene nel deserto quando Walt e Jesse utilizzano il camper per cucinare le loro prime partite di metanfetamina. Gilligan usa spesso questa inquadratura perché gli permette di sfruttare la grandiosa fotografia e gli intensi colori del New Mexico (di cui parleremo a breve).

Sempre su una linea tradizionale si trova l’altra inquadratura dalla quale Gilligan sembra quasi ossessionato, tanto che si potrebbe dire che se in una puntata o in un film riuscite a trovarla per almeno 2-3 volte, potete stare certi che alla regia ci sarà l’autore americano. Sto parlando della cosiddetta soggettiva, anche chiamata PoV Shot (dove PoV sta per Point of View). In generale, si ha quando l’inquadratura è girata come se la macchina da presa si trovasse al posto degli occhi di un personaggio. Con questa inquadratura lo spettatore ha l’impressione di vedere esattamente ciò che vede il personaggio, identificandosi totalmente in lui per la durata dell’inquadratura.

Gilligan tuttavia espande questo concetto, applicandolo non solo al punto di vista del personaggio, ma posizionandolo su oggetti mobili che invece inquadrano il personaggio da vicino. Quasi tutte le riprese nel laboratorio sotto la lavanderia, per esempio, sono caratterizzate da almeno 2-3 shots in PoV che osservano Walt, Jesse o Gale dagli strumenti chimici o dalle pompe per lavare le vasche. Memorabile è la ripresa soggettiva dal pulitore elettrico in casa di Jesse. Dal cui punto di vista si osserva il degrado che contorna la casa dopo le numerose feste.

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Più che un’inquadratura, invece, potremmo definire una modifica del naturale corso della ripresa il cosiddetto “time-lapse”. Ovvero l’accelerazione di una determinata sequenza. Si posiziona la telecamera in un luogo che riprende per un certo lasso di tempo lo stesso paesaggio; poi, in fase di modifiche della sequenza, la si accelera. Così si ottiene un’intera giornata (con alba e tramonto del sole) in 15 secondi. In Breaking Bad, Gilligan fa un uso frequente delle scene in time-lapse per motivi narrativi. Per far capire che è trascorsa un’intera giornata, dare dinamismo e ritmo ad alcune scene in interni. Si pensi alla fabbricazione della bomba per uccidere Gustavo Fring.

Proprio Gus Fring ci fa pensare ad una caratteristica di Gilligan ricollegabile alla sua profonda capacità di scrivere le storie: il citazionismo interno. Il parallelismo più immediato, che vale come esempio ma non è l’unico, è quello che si crea in due momenti topici: la morte del partner di Gustavo nel passato e la morte di Hank. In entrambi i casi, Gilligan segue la caduta di Gustavo e Walt fino a terra, testimoniando dunque la loro espressione sconvolta e distrutta, includendo anche noi spettatori (soprattutto nella morte di Hank per ovvi motivi) in questa voragine di disperazione in cui i due personaggi stanno precipitando.

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Come detto, dunque, non va dimenticato che Gilligan è anche lo sceneggiatore di Breaking Bad. La sua capacità di scrittura sta tutta nel fatto che la trama della serie non ha un difetto dal punto di vista logico e di coerenza. Soprattutto nella crescita e degenerazione dei personaggi e di alcuni eventi. Questo spiega anche la capacità di girare alcune scene in un modo specifico per richiamare aspetti e concetti della trama già visti in precedenza.

Infine, come anticipato, un discorso sulla regia non può ignorare un suo elemento di contorno fondamentale: la fotografia.

Breaking Bad, attraverso la figura di Michael Slovis, è una di quelle Serie che prende molto sul serio questo ambito di produzione. Alla base di questa attenzione c’è proprio Gilligan.

In un’intervista a Wired, Slovis aveva affermato un suo dogma operativo che è utile per capire la strada che vogliamo percorrere nell’articolo:

“Il mio lavoro è interpretare la sceneggiatura. Non si tratta soltanto di mettere in scena la realtà, ma si tratta di elevare un’emozione”.

L’utilizzo di determinati colori, infatti, è fondamentale per Gilligan. Egli si serve con Slovis degli stupendi paesaggi del New Mexico. Scenari pieni del colore marrone del deserto che viene valorizzato da quello che per Gilligan è la doverosa riconoscenza a un maestro come Sergio Leone: il campo lungo (come anticipato sopra). Infatti, Gilligan consigliò a Slovis di vedere “Il buono, il brutto, il cattivo” per capire che cosa volesse dalla sua fotografia.

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Del resto l’utilizzo di colori più accesi (come il giallo, il marrone e il celeste nelle esterne) corrisponde a una maggiore dinamicità della scena. Allo stesso modo, sfruttare colori più scuri (soprattutto negli interni) permette di trasmettere la drammaticità della sequenza mostrata.

In pratica, si tratta sempre di colori che “non vanno spiegati” agli spettatori, sono intuitivi. 

Breaking Bad ha mostrato di poter essere un prodotto di così alto livello da essere studiato da ogni punto di vista, e Gilligan ha certamente una grande percentuale di merito in questo senso. Non a caso Better Call Saul è uno dei rarissimi spin-off che funziona bene quanto la serie madre: anche lì c’è Gilligan (con Peter Gould) dietro lo script e dietro le telecamere. Coincidenze?

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