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#VenerdìVintage – Il tempo delle cattedrali: da Notre-Dame de Paris ai Pilastri della Terra

La scrittura è architettura”, dice la più famosa canzone del musical “Notre-Dame de Paris“. Ed è una frase che si adatta perfettamente anche a descrivere la miniserie I Pilastri della Terra, tratta dall’omonimo romanzo di Ken Follett: in essa l’arte, le parole, le immagini e i suoni si uniscono in un affascinante connubio destinato a stregare prima il lettore e poi lo spettatore.

Così, dopo i tenebrosi segreti della cattedrale di Parigi e del triste Quasimodo, ci viene raccontata la storia di un’altra cattedrale, stavolta edificata con il sudore e la fatica dei protagonisti del telefilm: Tom il costruttore, la conturbante Ellen, Aliena e il geniale Jack (un già fantastico Eddie Redmayne); la storia di una chiesa che secondo i progetti del suo creatore originale avrebbe dovuto avere un aspetto tradizionale e antico, ma che grazie all’esperienza del giovane Maestro presto subentrato alla direzione dei lavori si trasforma in qualcosa di molto più importante… Ovvero il primo esemplare inglese del Gotico in architettura, stile nato proprio nel 1100 d.C., il secolo in cui I Pilastri della Terra è ambientato.

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La bellezza della cattedrale di Jack è la stessa che si respira a Notre-Dame, e nella serie tv come nel romanzo di Hugo le luci, le ombre, le altezze celestiali e le vetrate dai mille colori delle chiese fanno da sfondo a una vicenda piena di intrighi.

Perché una cattedrale gotica non è solo un edificio, e non è nemmeno un semplice luogo di preghiera, non è la casa del Signore: è un’entità vivente, un personaggio in carne e ossa (o dovremmo dire in pietra e mattoni) che osserva e in qualche modo influenza le vite di coloro che la abitano. E’ stato così per il Gobbo, rimasto chiuso nella sua amata Notre-Dame sino a diventare parte di lei, ed è così per l’architetto Jack, cresciuto e invecchiato inseguendo il sogno di erigere un edificio tanto alto, tanto etereo da far credere ai fedeli di trovarsi già in Paradiso.

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Egli riesce nell’intento, infatti perfino il malvagio vescovo Waleran, il villain della storia, sente un coro d’angeli la prima volta che mette piede nella cattedrale: lui, che con le sue azioni corrotte si è allontanato da qualunque divinità esistente, alla vista delle forme magnifiche create da Jack alza rispettoso gli occhi al soffitto e con le mani si disegna il simbolo della croce sul petto. Tale è il potere dell’arte, tale è la bravura dell’architetto, tale è lo spirito che anima I Pilastri della Terra.

Ma in una chiesa gotica non trovano posto soltanto le figure armoniose dei santi, perché in quell’ampio spazio si nascondono gargoyles pietrificati, demoni dipinti negli angoli degli affreschi, e profonde zone d’ombra in cui potrebbe nascondersi qualcosa di pericoloso: in Notre-Dame si trattava dell’arcivescovo Frollo, un diavolo perverso caduto vittima di certi desideri carnali a lungo frustrati; invece nei Pilastri della Terra abbiamo un insieme di fattori politici, sovrani morti i cui fantasmi tornano a tormentare il sonno dei vivi, mariti gelosi, cacciatori di streghe e, ovviamente, il vecchio onnipresente Waleran. Tutti conducono le proprie esistenze accanto alla cattedrale in costruzione, mentre sembra quasi che quest’ultima si nutra delle loro energie vitali: più lei cresce, più le persone a essa legate avvertono i cambiamenti dell’età; più le sue pareti vengono livellate e dipinte da mani esperte, più i visi di Jack, Aliena e gli altri si crepano di rughe.

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Perciò sì, l’architettura è scrittura. Come ogni forma d’arte, essa segna la storia del suo tempo e dei suoi protagonisti; e se parliamo dei Pilastri della Terra, allora l’architettura si intreccia alle parole del romanzo nato dal genio di Ken Follett, il quale a propria volta si è incarnato in una serie breve ma magica, misteriosa, luminosa e oscura nello stesso tempo.

I pilastri della Terra e il Gotico

Il concetto di Gotico che conosciamo oggi è assai diverso da quello che aveva la gente nel 1100: allora questo stile era noto con il nome di Opus Francigenum, mentre il termine Gotico venne coniato solo nel XVI secolo.

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Quindi se Jack, Tom e gli altri personaggi della serie fossero esistiti davvero, sarebbero stati meno belli, sensuali e tenebrosi di come li vediamo sullo schermo… Però Ken Follett (che ha curato anche la sceneggiatura del telefilm) sapeva bene che il suo prodotto sarebbe stato fruito da persone abituate a un determinato stereotipo di Gotico, fatto di immagini buie, romantiche, malinconiche e spesso macabre ma non per questo meno sognanti: ecco perché ha voluto inserire sia nel romanzo che nello show elementi che potessero ricordarci la nostra idea di Gotico, senza tuttavia snaturare la correttezza dell’ambientazione storica con trovate di pessimo gusto.

L’atmosfera che si respira nei Pilastri della Terra è solo delicatamente intaccata da dettagli in grado di stuzzicare la nostra fantasia: un po’ nell’aspetto di Waleran, nel nero dei suoi occhi e dei suoi capelli; nella presenza di palazzi fiabeschi, nella stregoneria eretica di Ellen, nel rapporto morboso che lega Richard alla madre Regan (e un po’ anche nella brutta piaga che deturpa il volto di quest’ultima, facendola somigliare a una creatura mostruosa). Tutto ciò contribuisce a creare l’effetto ammaliante che domina ogni puntata: perciò diremo che I Pilastri della Terra è un prodotto moderno, il quale tenta di ricreare un quadro d’altri tempi usando un linguaggio adatto a incontrare il favore del pubblico contemporaneo.

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Per darvi modo di verificare la mia teoria, vi invito a provare una cosa: scegliete una puntata qualsiasi della serie, abbassate il volume e al posto delle battute dei protagonisti fate risuonare la traccia audio* qui sotto, in modo che la musica accompagni le immagini.

La melodia è di Brunuhville, un artista che tenta di rappresentare nelle sue composizioni l’idea odierna del Gotico e della atmosfere affini… Lasciatela scorrere insieme alle inquadrature dei Pilastri della Terra, così scoprirete che le due opere hanno lo stesso intento, e il medesimo spirito: raccontare il passato con le parole di oggi.

 * Brunuhville, “Nocturne”