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Negan o il Governatore: chi è il miglior villain di sempre in The Walking Dead?

Chi avrebbe detto che, guardando The Walking Dead, la storia per eccellenza del crollo del mondo in un’apocalisse zombie, giunta alla sua undicesima stagione, tra sangue e tensione survival, si possa così tanto piangere ed emozionarsi.

The Walking Dead è la serie di un’orrorifica catastrofe planetaria che mette al centro i legami, che combatte tra pulsioni di vita e di morte, permanente conflitto tra Eros e Tanathos.

Un racconto dell’apocalisse nella sua veste più spaventosa ma anche della rinascita. Una storia di affetti che vengono costantemente spezzati e messi alla prova, che lottano per ricongiungersi sfidando la presenza non solo dei Dead Walkers che ormai popolano il mondo, ma dei nemici. Quelli umani, vivi, perfidi come solo certa nostra umanità sa essere. 

Nemici Alpha. Villain scritti e costruiti in modo così potente da rendere The Walking Dead una delle migliori serie di sempre nella rappresentazione dell’antagonismo malvagio, oltre che una grandissima rilettura del fumetto originale.

Tra i più incredibili e terrificanti villain – qui ne abbiamo offerto una classifica – non possiamo non pensare a due figure chiave, a tratti speculari, di The Walking Dead: il Governatore, Philip Blake, poi Brian Blake – il cambiamento di nome ne determina già l’ambiguità psicologica – e Negan, unicamente Negan. Anche i suoi seguaci, i Salvatori, “sono Negan”: la sua incarnazione idolatrica.

Il primo indiscusso villain di The Walking Dead: il Governatore

Se nelle prime stagioni il vero pericolo sono gli zombie, la paura imbocca un’escalation agghiacciante nella terza quando appare il Governatore, a capo dell’apparentemente felice e funzionale comunità di Woodbury. 

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Governatore – The Walking Dead

La sua malvagità genera una sofferenza che si placa solo quando il nostro gruppo riesce a sconfiggerlo una prima volta. Guidato da Rick Grimes padre, amico, leader ed eroe di The Walking Dead, la cui influenza valoriale permane nel cuore della serie e dei fan anche dopo l’uscita di scena. La calma apparente, ritrovata dopo la vittoria, dura poco, presto nuovamente distrutta dal vendicativo ritorno del Governatore che, disurbanizzata la sua Woodbury e uccisi i suoi abitanti, si trova a legare con un nuovo gruppo di persone, insediandosi nella loro comunità e riuscendo a piegarla subdolamente al suo volere e a indurla verso una guerra inattesa contro un nemico, il gruppo di Rick, che neanche conoscono. Negli sviluppi di trama, tra terza e quarta stagione, si delinea la figura del Governatore, un villain prepotente, astuto, con una machiavellica intelligenza e una personalità narcisistica in grado di garantirsi il potere attraverso la costruzione del consenso, come nelle peggiori dittature.

The Walking Dead sembra aver raggiunto l’apice di malvagità. Ma poi arriva Negan.

Terminata la terribile esperienza con la morte del Governatore per mano (anzi per spada) di Michonne, quando poco sembra accadere, ecco – alla fine della sesta stagione – che si prepara una bomba. Una tremante attesa, preceduta dai rumors che nominano questo fantasmatico personaggio “Negan”, senza che lui mai appaia. Una prolessi che espande terrore solo con la fama della sua temibile personalità.

L’entrata di Negan è un boato scioccante che fa compiere un salto a The Walking Dead verso un’epopea del macabro ancora mai vista.

the walking dead lucille
L’entrata di Negan – The Walking Dead

Il Governatore sembra surclassato, acqua passata, roba da niente. Ma forse non è del tutto così.

Tessere un paragone tra le due figure è un tentativo ampiamente sperimentato e complesso.

Sia perché abitano due momenti della serie distanti, sia perché sono due psicologie che spaventano in egual modo ma dalle quali si dipana un’interpretazione molto diversa.

Il Governatore è una figura cattiva che resta cattiva, anzi incrementa, puntata dopo puntata, il suo grado di perversione tangibile più da un punto di vista strategico e psichico che non, almeno nelle prime fasi, da quello della espressa, fisica violenza. Con Negan invece siamo dinanzi al male teatralizzato, a un’idolatria dell’orrore che impedisce di immaginare qualsiasi possibilità di salvezza. 

Un primo tratto differenziale è che, mentre il Governatore lo abbiamo identificato, smascherato e sconfitto e non necessita un rewatch, Negan sì. 

Terminare la visione The Walking Dead invoglia a tornare indietro per ripensare la lunga agonia portata da Negan sotto la luce di un senso di beatitudine futura, di un’ammirazione divenuta certezza. Nel calvario vissuto durante la prima visione, rivedendo le stagioni 7 e 8, possiamo sentire il canto dell’alba che verrà. Di una rinascita possibile. Nell’oscurità attraente del viso di Negan, nel sorriso splendido e spietato e nelle correnti di sangue che fa versare, possiamo scovare le strutture del suo cuore.

Negan è un villain talmente trasformativo e carismatico da riuscire a compensare persino l’assenza dell’amato leader, Rick. Del resto il dualismo tra loro è totale. Negan non esisterebbe senza Rick. Accende il fuoco del perdono. Nella cella in cui viene rinchiuso, nei lavori umili e preziosi della ricostruzione di Alexandria, nei pomodori che coltiva, pianta le radici della sua mutazione.

Una trasformazione costruita talmente bene – anche grazie all’interpretazione attraente di Jeffrey Dean Morganche tiene viva la minacciosa tensione del suo sguardo anche quando sembra che stia diventando buono. Lungo tutta la nona stagione, lo vediamo evolversi rimanendo con il terrore che possa di nuovo, da un momento all’altro, imbracciare Lucille e spaccare le teste, dividere le anime.

Dopo la scomparsa di Rick, Negan diventa il personaggio su cui investire, il suo appeal sulle masse continua in un’altra forma.

The Walking Dead
Negan e Rick – il dualismo tra bene e male

Non è più l’esercito di salvatori, sono gli spettatori sempre più catturati da lui. Durante la settima e ottava stagione la sofferenza è tale che speriamo solo che Rick lo uccida. Dalla nona, tutto cambia e attendiamo con trepidazione i suoi ingressi in scena e gli sviluppi di trama che lo coinvolgono.

Le revisioni e lunghe trasformazioni di caratteri come Negan, a differenza del Governatore, richiedono un costante lavoro di comprensione che metta il personaggio in relazione agli eventi a cui abbiamo assistito. Con alcuni il processo è facilitato da paralleli cronologici, come nel caso del Governatore, la cui storia è lineare con la nostra visioneCon altri bisogna andare avanti per poi tornare indietro e rivisitare tutto. Ripassare dal trauma per processarlo: è il caso di Negan.

Come scrive Jason Mittel nell’analisi della costruzione degli antieroi: accade di“farsi travolgere dall’incredibile mutamento della moralità, del carattere e dell’idea di se stesso, che si manifesta con un cambio del comportamento e ha ripercussioni a lungo termine” .

Tra le norme tradizionali della sceneggiatura che determinano il cambiamento del personaggio ci sono “le decisioni che cambiano la vita”. In questo The Walking Dead è una serie maestra non solo per quanto concerne ì villain ma anche personaggi comprimari che diventano progressivamente centrali. Pensiamo a padre Gabriel e a Eugene protagonisti di un’evoluzione incredibile che li trasforma da figure codarde in uomini coraggiosi che si conquistano e meritano i ruoli da leader la fiducia e la maturazione di rapporti profondi con i compagni di viaggio, poi amici, quindi famiglia.

The Walking Dead crea una combinazione straordinaria tra stravolgimenti e stabilità dei personaggi. 

Il bisogno di personaggi stabili e coerenti è una delle spinte principali del racconto seriale. Gli spettatori hanno bisogno di instaurare relazioni di fiducia e potrebbero troppo soffrire, abbandonando la stessa visione, se questi personaggi cambiassero in modo da compromettere l’affezione e il fascino iniziali.

Esempi fondamentali di stabilità sono Daryl, Glenn, Hershel.

In modo diverso Carol, uno dei caratteri più longevi. Pilastri di cui non si può dubitare altrimenti tutto il sistema cognitivo crollerebbe.

David Foster Wallace in “Brevi interviste con uomini schifosi” sancisce un importante principio che molta scrittura seriale segue: se proprio dobbiamo coesistere con uomini orrendi, è meglio che questo tempo sia breve. Tratto ad esempio rinvenibile nei procedural a trama verticale, con i cattivi di cui ci liberiamo presto e con sollievo.

Ma in serie complesse come The Walking Dead, che si declinano su archi temporali molto lunghi, la coesistenza con i villain dovrà giocoforza durare per un po’.

DI solito sono i villain sono personaggi maschili – tema su cui potremmo aprire un’altra riflessione – ma in The Walking Dead anche questo soluzione viene scardinata. Pensiamo ad Alpha, la donna Alpha allucinata, allucinante. Perché vogliamo sottoporci a questo strazio? Perché soffrire, costretti a interagire con questi uomini malvagi? La risposta è nota e razionale: non può esserci storia di eroi senza antieroi. Non c’è storia senza i villain.

Il Governatore e Negan sono due villain agli antipodi. Entrambi fanno appello a una caratteristica principale, la dubbia moralità, ma con profonde differenze.

The Walking Dead Negan e Governatore
Governatore vs Negan: chi è il migliore villain di The Walking Dead?

Il Governatore è un villain detestabile perché eticamente discutibile. Fonda il suo potere sull’inganno, la sua violenza è tiranna e avida, la sua comunità è una truffa, uno strumento utile all’autoaffermazione, al rinforzo di una personalità falsamente magnanima e liberale.

L’opposto di Negan, esplicitamente spietato, respingente in un modo capace di innescare attrazione mettendo in luce aspetti riscattabili.  Pensiamo al rapporto con Carl, al bullismo verbale pronunciato sempre con quel sorriso sarcastico seguito dalle scuse, allo sguardo che da cattivo diventa riflessivo. Quando riceve da Rick la notizia della morte del ragazzo, vediamo la riscattabilità potenziale del cuore del villain, un onesto dispiacere, totalmente assente nella glacialità perversa del Governatore.

Negan possiede un codice etico che il Governatore disconosce e che applica quando infligge le punizioni, da quelle taglienti del suo lessico a quelle più drammaticamente fisiche. I colpi della mazza Lucille, il ferro da stiro incandescente. È sinceramente persuaso di proteggere il suo popolo e di salvare le comunità attraverso l’espansione di un’economia del terrore necessaria per tenere in vita le persone e punisce quando le regole non vengono rispettate. Le sue frasi celebri sono “le regole sono importanti, le persone sono risorse”.

Il Governatore crea regole a sua immagine, progetta un sistema tirannico mascherato dalla prodigalità e manipola le menti con azioni per nulla redimibili, prive di qualsiasi rispetto. Quando lo vediamo instaurare un legame affettivo e protettivo con la piccola Megan, per alcuni momenti confidiamo in un cambiamento. Che si accenda in lui un’insperata umanità. Verremo presto smentiti.

Il suo agire psicotico e crudele travestito da filantropia prende sempre il sopravvento. Le sue azioni risultano ancora più riprovevoli quando le persone credono in lui e si affidano, come Andrea che proietta il desiderio di ritrovare una quotidianità tranquilla e, manipolata facendo leva sulla sua fragilità, diventa sua preda e vittima.

Per quanto il Governatore trasudi carisma, la spregevolezza morale ne limita l’attrattività. A differenza di Negan che ha una fascinazione innata e, traumatizzandoci, raschiando nel fondo della paura, accende l’interesse a leggere nella sua mente.

Le azioni deprecabili dell’uno e dell’altro non hanno pari, ma solo uno dei due merita empatia e attaccamento. Negan.

Quando il Governatore la fa franca è insopportabile. Quando Negan vince le singole battaglie o esercita violenza gratuita, altrettanto. Quando piega Rick alla sua volontà mostrandogli come sia tutt’altro che invincibile, è un’agonia insostenibile. Ma quando, nell’epico scontro finale, combatte senza Lucille corpo a corpo con Rick, è come se ci facesse immergere nel suo punto di vista, nella comprensione di lui e delle sue atrocità.

Quando il Governatore muore è una liberazione. Quando il taglio alla gola inferto da Rick a Negan sembra fatale, la sensazione non solleva, dispiace.

Negan
La redenzione di Negan in cella

La scrittura della conclusione delle storie dei villain è un’operazione straordinariamente difficile. Nel caso di The Walking Dead è per entrambi convincente.

Il destino finale dei due più importanti villain soddisfa. L’uno, quello del Governatore, perché si chiude, l’altro, quello di Negan, perché si apre.

Quando lo ritroviamo nel letto, curato e vivo, con Rick e Michonne che gli anticipano quale sarà il suo futuro nella ricostruzione del mondo, l’attaccamento al personaggio cattivo viene premiato.  La scelta narrativa dell’equa punizione è ammirevole: metterlo in cella perché sia possibile mostrare un tassello nella cultura del cambiamento che Rick, ispirato dai desideri di pace del figlio, sta ricostruendo. Uccidere Negan significherebbe non progredire.

Questo diventa per Negan l’occasione per affrontare un percorso di autocoscienza riconciliandosi con una parte di sé totalmente taciuta. Nella cella di Alexandria, nella quale trascorrerà molto tempo da solo, osservando dalla finestrella una comunità che rinasce, ha inizio il suo percorso di redenzione. Un percorso che sarebbe stato impensabile per il Governatore, in quanto emblema della carenza morale.

In entrambi c’è un’attitudine alla malvagità con la differenza che il Governatore trascina gli altri nel male che si porta dentro, portandoli a guerre e morti non richieste. Negan è invece persuaso che il suo agire sia finalizzato a sradicare il male per costruire un regno del bene. Entrambe le prospettive sono presuntuose e inique. Tuttavia il Governatore è espressione di una crudeltà premeditata senza speranza, sotto le illusorie e false sembianze del bene.

Negan ha un ego smisurato, gode dell’idolatria. Al suo passaggio i soldati si inginocchiano. Ma è un’estetica del male che scompare quando si guarda a lui come uomo nella sua singolarità. 

Sono due megalomanie a confronto, una sleale e l’altra leale.

L’una, quella del Governatore, tracolla, l’altra, quella di Negan, si apre alla prospettiva dell’umanità futura di cui Rick e Michonne sono portavoci in una lotta infaticabile per la ricostruzione della società.

In questo senso il disegno dell’esperienza carceraria di Negan è un forte messaggio di The Walking Dead. Non solo da un punto di vista narrativo che apre a una ricca evoluzione di trame ed emozioni. Per il valore umanizzante. Se, per molti versi, i vivi sono più insidiosi dei morti, per altri la serie racconta come, restituendo l’uomo all’uomo, riconoscendone i bisogni celati, si può cambiare il corso delle cose.

Gli incontri tra Negan e Michonne, Gabriel, Daryl, la stessa Maggie, che ha subito il trauma atroce dell’uccisione di Glenn dinanzi ai suoi occhi, il dialogo tra vittime e carnefice prendono la via del reciproco riconoscimento e della dolorosa progressiva riconciliazione.

È come nei progetti carcerari illuminati contemporanei, tra cui il Sicomoro, dove detenuti e vittime si incontrano in percorsi di giustizia riparativa. The Walking Dead, all’interno di uno scenario segnato dalla temperie della fine, riesce a parlare di famiglia, legami, nuove possibilità dove la vita rinasce. 

Attraverso il suo villain più affascinante ed escatologico, la decadenza e l’affetto si combinano. 

Al pessimismo criminale suscitato dal Governatore, con Negan the Walking Dead inscena un’accelerazione ottimistica.

Il lato livido e macabro del Governatore viene espugnato dall’energia che Negan sprigiona uscendo dal baratro del nulla, aprendosi a un nuovo destino.

In questa prospettiva, e rispettando le molte scuole di pensiero sul raffronto tra due antagonisti epici, Negan rimane il villain migliore di sempre non solo in The Walking Dead ma nella storia delle serie tv.