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Ma quanto sarebbe bello avere una Superstore italiana?

Ci sono delle serie tv destinate a restare un unicum: storie troppo radicate rispetto a un determinato arco temporale e ad un’univoca ambientazione per poter essere in qualche modo ripetute o modificate. D’altra parte, però, esistono anche altre serie che, in virtù di un concept alla base universalmente trasponibile e partendo da un’idea semplice e precisa, hanno dimostrato di avere tutto il potenziale per essere esportate ovunque e per ricevere intriganti remake. Di recente abbiamo potuto esperire un esempio di qualità rispetto a questa seconda categoria grazie a Call My Agent: Italia, rifacimento in salsa nostrana dell’omonima serie francese che ha perfettamente rispettato l’anima del prodotto originale pur conferendogli la personale visione degli autori e atmosfere e citazioni italiche. Ma perché questa premessa, vi chiederete? Perché, a parer nostro, c’è una serie tv che potrebbe regalare davvero tanti remake di successo e di cui ameremmo vedere una trasposizione italiana: stiamo parlando di Superstore, divertentissima comedy NBC considerata come una tra le serie più amate degli ultimi anni.

Prendetelo come un personale sogno, o come un appello alle case di produzione del nostro paese, quel che oggi vogliamo fare è provare a spiegarvi perché una serie come Superstore si presterebbe tantissimo a un remake italiano. Vi spieghiamo i motivi.

superstore
Il Cloud9 (640×360)

Un supermercato. L’elogio dell’ordinarietà, della quotidianità. Un luogo apparentemente banale e di scarsa rilevanza in cui ambientare una serie tv. Eppure… Eppure è dagli spunti più semplici che spesso fioriscono le migliore idee creative e Superstore, serie NBC composta da cinque stagioni e attualmente disponibile sul catalogo di Netflix, ce lo ha ben dimostrato, raccontando il dipanarsi della quotidianità dei dipendenti di un supermercato di un’immaginaria catena americana. Una comedy capace di partire da piccoli spunti ma di raccontare come pochi altri prodotti la società degli Stati Uniti: immigrazione, crisi economica, sanità, lavoro precario… Queste sono solo alcune tra le tematiche su cui la comedy ha posto maggiormente la propria attenzione, riflessioni che non mancano di certo di ironia, ma che ci hanno restituito con realismo uno spaccato della vita della gente comune.

Perché, allora, non puntare alla realizzazione di una serie commedia che parta da un simile presupposto anche nel nostro paese?

Nonostante l’Italia non abbia alle sue spalle una tradizione consolidata nel formato di comedy dalla durata di una ventina di minuti, perché non provare a sperimentare? Che si decida di intitolare la serie Esselunga, Migross, Conad o LD, il risultato non cambierebbe. Potremmo infatti ottenere un prodotto fresco e ricco di tanti spunti, capace di veicolare importanti messaggi in un paese che da anni ha sofferto e continua a soffrire una crisi economica che ha minato le fasce sociali più deboli. Ma non solo: potremmo ritrovarci di fronte anche a un prodotto in grado di offrire tantissimi spunti legati alla contemporaneità. Un eterogeneo gruppo di personaggi, dai magazzinieri ai cassieri, passando per i dirigenti con un solo compito: portare avanti la baracca dovendosi spesso rapportare con una clientela ottusa e oppositiva per sbarcare il lunario. E diciamo che in Italia il materiale a riguardo non mancherebbe proprio!

Superstore

Non faticheremmo di certo a creare dei personaggi che raccolgano l’eredità di Amy, Jonas, Cheyenne, Dina, Glenn e tutti gli altri: una giovane donna che ha dovuto rinunciare ai propri sogni per badare alla propria famiglia, un ragazzo idealista che ha abbandonato gli studi e che si ritrova con niente tra le mani, una svampita ragazza madre, un manager dal buon cuore ma molto ingenuo e troppo attaccato alla religione, un impiegato immigrato… Archetipi senz’altro facilmente adattabili e trasferibili alle esigenze narrative del nostro paese. Scelta più complessa sarebbe senz’ombra di dubbio quella del cast, certo, ma non scordiamoci che anche noi abbiamo dei talenti da coltivare, sia che si parli di attori che di comici professionisti. Se già pensavate, come noi, a Michela Giraud ogni volta che guardavate Dina, la scelta sarebbe davvero semplice! Un Fabio De Luigi nei panni del direttore buono ma retrogrado? Perchè, no!

E non vogliamo metterci un Pierpaolo Spollon nei panni di un corrispettivo di Jonah o un’Alessandra Mastronardi in quelli di Amy? La serie inoltre potrebbe puntare su tanti attori giovani, ma con tanta voglia e, una volta tanto, anche su un cast multietnico con tanti interpreti di origine straniera, come capitato nella serie madre (anche se un posto per Favino o Beppe Fiorello si può sempre trovare)!

Superstore (640×360)

Ma oltre che a parlare della vita dei dipendenti di questo fantomatico supermercato, la serie, per ovvie ragioni, si concentrerebbe tanto anche sui clienti, sulle loro strambe abitudini e sui loro gusti: se infatti già guardando la serie americana abbiamo finito per ridere nell’assistere ai comportamenti degli avventori del Cloud9, immaginate a quanta verità potremmo ritrovare all’interno delle dinamiche di un Supermercato nostrano! Studenti universitari che fanno infinte spese di tonno in scatola e altri prodotti in offerta, improbabili ladri

E non dimentichiamoci che questa Superstore italiana potrebbe raccontare tantissime storie partendo da veri fatti di cronaca!

Dall’incredibile scandalo dell’aumento dei costi dei sacchettini biodegradabili della frutta allo shock per la festa di compleanno organizzata tempo fa da Fedez per Chiara Ferragni presso un Carrefour di Milano e i suoi conseguenti sprechi fino all’incredibile commercio e spaccio delle scarpe da ginnastica della Lidl. Ammettetelo: anche voi non vedreste l’ora di vedere una serie tv capace di ironizzare su quelli che sono stati dei veri tormentoni di internet e che, nostro malgrado, raccontano così bene l’italianità! E che dire poi delle polemiche verificatesi nel periodo di quarantena durante il Covid? Il rifiuto da parte delle famiglie di acquistare le penne lisce (poco adatte per i sughi) quando tutti i reparti pasta erano stati svaligiati? Le corse per il lievito, la crisi del marchio di birra Corona, il cui nome veniva scioccamente associato alla malattia.

Dina e Glenn (640×360)

Non fatichiamo infatti a immaginare tantissime storyline dove al centro della narrazione ci sia il cibo, ovvia (e giusta) fissazione che caratterizza da sempre il nostro Paese! Ma non solo: come nella Superstore americana, anche nella versione italiana tanti potrebbero essere gli spunti di riflessione: le lotte sindacali, la parità di genere, l’inflazione sui prodotti di prima necessità a causa della guerra, gli sprechi alimentari… Argomenti sempre attuali e da tenere sempre presenti nella vita di tutti i giorni.

Detto questo, siamo consapevoli che al 99.9% dei casi le nostre speculazioni resteranno solo quello che sono, ossia vaneggiamenti e deliri. Forse perché l’Italia ancora non è pronta ad aprirsi a prodotti televisive che, a differenza degli Stati Uniti, non hanno mai permeato la nostra cultura, forse perché sarebbe difficile comunque portare in scena una serie comica così corale e diversa. Tuttavia, se possiamo concederci di sognare, quanto sarebbe bello?

Superstore: una serie tv originale e divertente