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10 motivi per cui amiamo Superstore

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ATTENZIONE: l’articolo potrebbe contenere spoiler sulle sei stagioni di Superstore!!

Superstore è stato, nei sei anni in cui è andato in onda, un posto sicuro nel quale potersi abbandonare per una ventina di minuti ogni giorno, alla ricerca di un po’ di pace e leggerezza. La serie, che ha debuttato nel 2015 sulla NBC, è finita su alcune tra le più frequentate piattaforme di streaming, arrivando così anche al grande pubblico internazionale. Si tratta di una comedy ambientata in un ipermercato, con una cospicua schiera di personaggi particolari, ciascuno affascinante per il suo essere assolutamente naturale, ordinario.

Lo show, ideato da Justin Spitzer – che annovera tra le sue creature quel mostro sacro di The Office – ci ha offerto uno spaccato della situazione lavorativa americana in un periodo di grandi incertezze come quello attuale. È facile identificarsi nei personaggi e nelle situazioni della sit-com: ogni personaggio della serie potrebbe rappresentare noi stessi, una situazione che abbiamo vissuto, una problematica quotidiana che tocchiamo con mano ogni giorno.

Superstore è una signora sit-com.

Realistica e realista, divertente, spassosa, leggera. Sembrava simile a mille altre comedy invece è stata unica. Ci accorgeremo del suo grande potenziale solo tra qualche anno. Da noi in Italia è passata un po’ inosservata, troppo spesso vittima di un confronto pedantesco con la più famosa di The Office. Ed è un peccato assoluto, perché è uno show che, una volta iniziato, ti trasporta all’interno della sua folle ordinarietà per rendertene partecipe. Superstore è un luogo accogliente, un grosso supermercato che diventa un po’ anche casa nostra. Ci fa sentire in famiglia, parte integrante del team. Ed è questa convinzione, questa alchimia magnetica con i personaggi, che ha reso la serie tanto amata dai fan che l’hanno guardata. Ma perché ci piace tanto Superstore? Quali sono i suoi punti di forza? Perché ce ne siamo innamorati dal primo momento e, oggi che è finita, ne sentiamo così tanto la mancanza?

Ecco i 10 motivi per cui abbiamo amato la serie con America Ferrera e Ben Feldman.

1) Il cast e i personaggi

Superstore

La coralità è uno dei punti di forza di Superstore. All’inizio della prima stagione, la trama si concentrava principalmente attorno a cinque o sei personaggi ricorrenti, relegando il resto del cast al ruolo di semplici comparse. Man mano che si è andati avanti con gli episodi, però, anche i personaggi marginali hanno assunto una funzione diversa. Gradualmente, ciascuno di loro si è preso uno spazio all’interno dello show divenendone una presenza fissa. Ci siamo trovati così, alla fine della sesta stagione, con una squadra di personaggi con cui siamo entrati progressivamente in confidenza. La bellezza di questa serie tv sta anche nell’aver presentato una grande varietà di individui e di averli messi in relazione tra loro, nella maniera più spontanea possibile. Anche quelli che ci sembravano le personificazioni di un cliché o di un prototipo di personaggio, si sono poi rivelati protagonisti con una loro tridimensionalità, complessi nella loro ordinarietà.

Una delle ragioni principali per cui amiamo Superstore è quella sensazione di familiarità che si instaura con i personaggi.

Ciascuno di loro rappresenta una faccia della realtà che viviamo tutti i giorni. Si tratta di persone alle quali è facile affezionarsi e con le quali possiamo identificarci senza troppi sforzi. Sono lavoratori normali, inseriti in un contesto ordinario, per quanto stravagante, e non ci sono forzature nella trama che abbiano creato una distanza eccessiva tra noi spettatori e i protagonisti della serie. Quella del Cloud 9 diventa una grande famiglia della quale ci siamo sentiti parte anche noi, spontaneamente.

2) Spiega come la working-class americana sopravvive nel 2019

Superstore

Abbiamo già sottolineato come in Superstore la critica sociale sia un aspetto da non sottovalutare. I protagonisti dello show sono lavoratori dipendenti di un ipermarket, alle prese con i problemi di tutti i lavoratori di quella categoria. Parliamo dello zoccolo duro della working-class americana, di quella moltitudine di individui che fanno fatica a sbarcare il lunario nel 2019. La serie, con la sua ironia, affronta i problemi quotidiani di questa classe sociale. Non le grandi questioni, i rompicapi ideologici, le grandi battaglie identitarie, ma i problemi spiccioli di tutti i giorni, dalle rate della macchina da pagare all’appartamento da dividere con un collega per abbattere i costi dell’affitto.

La fatica nel contenere le spese quotidiane, nell’ottenere una promozione, nel programmare un futuro a lungo termine. I personaggi di Superstore vivono alla giornata, l’obiettivo è arrivare alla fine del turno lavorativo senza porsi troppe domande. Non c’è traccia di inquietudine negli episodi di Superstore, il tono si mantiene sempre leggero e non si corre mai il rischio di scivolare nella retorica. Ma il ritratto che ne viene fuori, alla fine delle sei stagioni, è uno dei più esplicativi di quella che è l’attuale situazione dei lavoratori dipendenti all’interno di un mondo globalizzato ed in continua evoluzione, che rischia di sopraffarli e condannarli all’inerzia.

3) Il sarcasmo di Dina

Superstore

Superstore presenta una schiera di personaggi divertentissimi, ciascuno a suo modo. Glenn è il capo con il cuore grande, Jonah l’idealista che pensa di poter cambiare il mondo, Garrett il cinico e disilluso, Amy la donna latinoamericana che si è fatta da sé, Cheyenne la ragazza giovane e ingenua con un fidanzato sempliciotto a carico e così via. Ogni personaggio ha una sua funzione, ogni individuo ha la sua tridimensionalità. Tra tutte le figure che ronzano all’interno del Cloud 9 però, una di quelle che si è fatta amare di più – e che ci ha fatto amare di più la serie – è Dina, interpretata da Lauren Ash. Si tratta della responsabile della sicurezza all’interno dello store, poi vicedirettrice e infine responsabile del centro di dislocazione che nascerà al posto del Cloud 9.

È una persona schietta e determinata, forse anche troppo. Non ha peli sulla lingua, nessuna remora di coscienza e non sa cosa sia il tatto, specie nelle situazioni più delicate. Il suo sarcasmo, le sue battute, il suo modo di essere, rappresentano un valore aggiunto negli equilibri della serie. Personaggio “particolare”, decisamente sopra le righe, adorabile proprio per i suoi difetti, Dina è uno dei nomi che facciamo quando ci chiedono perché amiamo così tanto Superstore.

4) Il modo di affrontare tematiche attuali con gli stilemi della sit-com

Superstore

Il Cloud 9 non è un mondo impermeabile e chiuso su se stesso, tutto il contrario. Nelle sei stagioni dello show, gli autori si sono soffermati sulle tematiche più disparate, dall’immigrazione alle discriminazioni di genere, dal razzismo all’omosessualità, dalle disabilità agli scontri generazionali e così via. Nella rosa di personaggi principali ci sono un immigrato clandestino, una madre single latinoamericana, un musulmano, un paraplegico, una giovane dipendente dai social, un direttore cattolico allergico alla tecnologia e ancora manager omosessuali, commessi sottopagati, imprenditori in smart-working, un ex studente di economia e così via. Già il cast presenta una serie di spunti di riflessione che lo show avrà modo di approfondire durante il corso delle sei stagioni.

Ma Superstore affronta tutti i giorni questioni di stringente attualità, senza però calcare la mano o tentare di fare la morale.

È proprio il tono ironico della serie e dei suoi personaggi a renderci familiari i problemi con cui ciascuno di noi si trova a fare i conti giornalmente. Dai disagi delle madri lavoratrici all’assenza di tutele per i dipendenti delle grandi multinazionali, dalle teorie complottiste post-Covid all’automazione del lavoro, Superstore ci lancia ad ogni puntata enormi tematiche su cui riflettere. Ma lo fa sempre con quella leggerezza, quel pizzico di sarcasmo e quell’ironia spensierata che ci hanno fatto amare lo show dal primo episodio.

5) Gli sketch della pausa caffè

Superstore

Ma le situazioni più esilaranti, quelle più assurde, insensate e meravigliosamente paradossali le troviamo nelle scene girate nella sala della pausa caffè. Che si tratti di una riunione per discutere le nuove disposizioni dello store o di un momento in cui raccogliere sfoghi e suggerimenti dei dipendenti, gli sketch della “pausa caffè” fanno sfoggio di una capacità comica davvero sorprendente. Si oscilla tra dialoghi assolutamente privi di senso, momenti di grande brillantezza umoristica e siparietti totalmente demenziali. Il risultato è un breve intervallo di assoluto delirio, in cui la risata si fa più fragorosa e si toccano vette di nonsense impensabili. Basterebbe staccare questi sketch dal contesto per capire che tipologia di show sia Superstore. E le ragioni per cui ci andiamo matti.

6) Il rapporto tra Mateo e Cheyenne

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A un certo punto, in Superstore, gli archi narrativi di Mateo e Cheyenne si incontrano e si incastrano. Sono due personaggi estremamente diversi tra loro, con due background diversi alle spalle, temperamenti distanti, eppure emerge poco alla volta una sintonia incredibile tra di loro. Due colleghi che diventano amici sul posto di lavoro, che condividono il piacere delle chiacchiere futili e dei pettegolezzi, delle cattiverie innocenti e degli scherzetti tra dipendenti. Mateo e Cheyenne, entrati nello show gradualmente, a piccoli passi, diventano due presenze fisse in Superstore, imprescindibili.

La loro affinità dà vita a scenette divertenti e spassose, ma anche a momenti di grande intensità emotiva. Ci sono dei passaggi, nello show, che pur restando nell’ambito della cornice comica, si sono rivelati più strazianti di quanto potessimo immaginare. E, da questo punto di vista, Mateo e Cheyenne hanno contribuito a rincarare la dose regalandoci un’amicizia genuina e autentica, che non ha avuto bisogno di grandi espedienti narrativi per conquistarci il cuore.

7) Offre un quadro dei rapporti tra mondo imprenditoriale e classe lavoratrice

Tutta la battaglia di Jonah e dei dipendenti del Cloud 9 per dar vita ad un sindacato rappresenta uno dei momenti più emblematici delle intenzioni degli autori di dar vita a uno show che sapesse mostrasse anche le storture e le contraddizioni del capitalismo. Ogni episodio, pur restando sempre nel solco dei toni della sit-com, ci ha posti sempre davanti alla contrapposizione ideologica tra la filosofia delle grandi aziende imprenditoriali che si impongono sul mercato e i problemi reali dei lavoratori dipendenti, nei quali per noi spettatori è più facile riconoscerci. Guardando Superstore, abbiamo scoperto, ad esempio, che esistono poche tutele per la classe lavoratrice americana. Che alcuni diritti che davamo per scontati sono in realtà delle conquiste ancora lontane per alcune categorie di lavoratori.

Superstore è la comedy che forse racconta in maniera più diretta e veritiera uno spaccato di vita quotidiana del lavoratore sottopagato impiegato nelle grandi multinazionali americane. C’è un grosso scossone al sistema capitalistico. Superstore ci mostra un gruppo di persone – che potrebbero essere nostri amici, nostri colleghi, o che potremmo essere noi stessi – sfruttate da un sistema che si sta prendendo il mercato, automatizzando il lavoro e condannando gli individui ad essere solamente numeri all’interno di un meccanismo perverso molto più grande.

8) Il finale

Superstore è andata avanti per sei stagioni, mantenendo alto il livello della qualità e senza snaturarsi. Il finale arriva dopo 113 episodi e sei anni di messa in onda, per cui chiude un percorso lungo e importante. L’ultimo episodio è stato diviso in due parti – Perfect Store e All Sales Final – e ha segnato il ritorno sul set di America Ferrera, uno dei personaggi più amati dello show. L’ultima puntata ha il sapore malinconico delle cose che finiscono. La liquidazione del Cloud 9, la sua trasformazione in centro di dislocamento, sancisce la fine di una lunga storia d’ordinario amore. I dipendenti, per quanto odiassero la loro occupazione, gli stipendi da fame e i turni massacranti senza tutele, hanno praticamente vissuto nello store, trascorrendovi gran parte delle proprie giornate, come fosse una seconda casa.

Come dicevamo, una delle cose che amiamo di più di questa sit-com è l’aria di casa che respira a ogni puntata. E le pareti del Cloud 9 rappresentano un luogo sicuro entro il quale trovare riparo e un po’ di conforto. La fine del Cloud 9 rappresenta dunque la fine di Superstore. Definitiva, nostalgica, coerente con il suo percorso, persino un pizzico commovente. L’annuncio finale di Garrett, con il quale si chiude definitivamente lo show, ci ha fatto scendere una lacrimuccia e ci ha ricordato perché abbiamo tanto amato questa comedy.

9) Smaschera il politically correct attraverso la sua ironia

Amiamo Superstore perché attraverso la sua comicità al limite del demenziale, i suoi dialoghi semplici, la sua spontaneità e immediatezza, è riuscita a smascherare l’ipocrisia del politicamente corretto e a prendersene gioco. Portare al limite estremo alcuni aspetti del politically correct ci ha consentito di guardarli dalla giusta prospettiva. Gli eccessi, la sovrabbondanza di buonismo – di cui una delle vittime designate è Glenn – vengono sapientemente prese in giro praticamente in ogni episodio della serie.

Superstore desacralizza il politically correct, lo aggredisce disarmandolo.

La sit-com è un profluvio di battute che danno luogo a equivoci, che attaccano luoghi comuni, che toccano nervi scoperti. Ma non se ne fa una questione dirimente da affrontare nella serie. I personaggi diventano goffi quando inciampano in un malinteso, quando annaspano nel tentativo di giustificarsi per uscite politicamente scorrette. È questa la maniera attraverso cui Superstore smaschera le contraddizioni di un certo moralismo, che inquadrato nella giusta prospettiva, ci appare ipocrita e forzato.

10) La linea romantica

E tra i tanti motivi per cui abbiamo amato questa serie, le love stories non fanno eccezione. C’è una linea romantica che percorre tutto lo show, dal primo all’ultimo episodio. Si intuisce che tra Jonah ed Amy ci sia del tenero sin dalla prima puntata e il racconto della loro relazione occupa gran parte del materiale narrativo della serie. Superstore ruota molto intorno alla coppia Jonah-Amy, ma questa non è l’unica storia romantica raccontata dalla sit-com. La relazione tra Dina e Garrett – travagliata, altalenante e surreale -, quella tra Jerry e Sandra o tra Mateo e Jeff, sono solo alcuni degli esempi di love stories raccontate all’interno della serie.

La cosa bella di Superstore è che, nel racconto di queste sottotrame amorose, non c’è nulla di pretenzioso e contraffatto. L’amore tra Jonah ed Amy, tanto per fare un esempio illustre, non scocca come in un romanzo rosa. Ogni storia risulta perfettamente credibile perché aderisce alla realtà. Non c’è traccia di grandi dimostrazioni d’affetto, gesti eclatanti o di scritte sui muri a testimoniare un amore scoccato: tutto è estremamente semplice, naturale, spontaneo e per questo estremamente credibile.

E, a voi, quanto è piaciuta Superstore?

Superstore 2×22 – Una puntata che è il manifesto del livello di scrittura di una grande comedy