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Silicon Valley è arrivata troppo presto

Silicon Valley, uscita nel 2014, non è una serie tv sui nerd, sugli smanettoni, né sui fissasti per la tecnologia: è una serie sull’intelligenza, sulla responsabilità di usarla al meglio e sull’etica.

Se volessimo paragonarla a qualche altra serie tv potremmo farlo con l’italiana Boris.

Le due, pur appartenendo a mondi diversi, hanno un impianto stranamente simile: fanno a pezzi un ambiente avvolto dal mito e lo fanno con lo stesso umorismo dissacrante e insolente. Entrambe non sono solo delle comedy. Più vicine al genere satirico, partono dalla commedia più spregiudicata per creare un unicum con codici e linguaggi tutti loro che rendono impossibile ogni classificazione.

Silicon Valley Pied Piper

Però se Boris parla a tutti sfruttando il set come metafora, Silicon Valley non ci riesce.

Il primo errore, se così vogliamo definirlo, è stato proprio quello di scegliere un contesto hi-tech, non esattamente accessibile a tutti, e metterlo in una trama (solo all’apparenza) vista e rivista. Così ha creato una barriera che solamente chi ha avuto la pazienza di darle una chance ha oltrepassato. Per questo, come abbiamo già detto, è una serie ingiustamente snobbata.

Chissà se il suo ideatore Mike Judge – il quale ha lavorato per anni nella Valle, nonché padre di Beavis & Butt-Head (Gilfoyle & Dinesh!?) – ha mai sentito parlare di Boris.

Gilfoyle e Dinesh

Da una commedia che parla (apparentemente) del mondo nerd è facile aspettarsi il facile cliché che vede i geek come degli alieni distanti anni luce dalla realtà terrestre. In Silicon Valley non ci sono i Vulcaniani contro i normali esseri umani. Qui le persone comuni sono gli stessi nerd e tutti gli abitanti della Valle sono smart, competitivi e ultra tecnologici.

Non c’è dubbio che The Big Bang Theroy, IT Crowd e Freeks and Geeks hanno avuto una grossa utilità sociale rendendo questa cultura più accessibile. Hanno accertato che agli smanettoni battesse il cuore. Hanno reso ancora più intriganti i fumetti e i giochi da tavolo e dimostrato che si può conquistare il cuore di qualcuno anche con una collezione di farfalle.

Silicon Valley fa un primo salto in avanti e abbandona questa visione.

Qui non ci sono Bazinga, non c’è nessuna Penny, anzi c’è una Arianna dell’Arti/Monica Hall. Il limite delle ormai fin troppo classiche geek comedy (per quanto meravigliose) è quello di dipingere i nerd come degli innocui e teneri disadattati. Uno dei messaggi di Silicon Valley è invece il contrario e ci invita a fare attenzione.

Hooli

Il progresso tecnologico dovrebbe interessare tutti quanti, non solo cervelloni e cervellone che si eccitano di fronte a una backdoor. La serie ci fa notare che mentre i nerd crescono indisturbati giocando a D&D, studiando e lavorando sodo, costruiscono realtà come la Valley, guidano macchine di lusso e fanno un sacco di soldi con app che stanno rivoluzionando le abitudini, i linguaggi e il pensiero stesso.

Silicon Valley non vuole riabilitare la cultura geek e non è una comedy per ridere delle stranezze di quel mondo.

Questo è l’altro motivo per cui non diventerà mai un cult. Continuiamo a paragonarla a prodotti che non c’entrano nulla e ci aspettiamo situazioni e gag facili che questa serie tv non ci offrirà mai. Anche i protagonisti non sono esattamente quelli a cui siamo abituati.

Prendiamo Gilfoyle: una ventata di aria fresca al vetriolo. È satanista, ha una ragazza bella e intelligente, ha una vita sociale invidiabile, ha talento e gli viene pure riconosciuto. Appena aggiorna il suo status su LinkedIn come inoccupato viene corteggiato in un battibaleno da ogni tipo di startup.

Silicon Valley

Silicon Valley è una serie sull’intelligenza e sulle sue sfumature che vanno ben oltre gli stereotipi sul secchione asociale.

Si tratta di una comedy esilarante ma troppo intelligente e hardcore, nonostante non sia né altezzosa né riservata solo a coloro che parlano JavaScript. Eppure è stata stranamente ignorata. Non perché affronta in maniera complessa dei temi riservati agli addetti ai lavori, ma perché affronta (anche se in modo semplice) degli argomenti noti che però non sono ancora diventati usuali nelle nostre conversazioni quotidiane.

Tematiche innovative e affascinanti, certo, ma ancora troppo fresche per permettere a tutti di cogliere a pieno l’ironia e il sarcasmo delle gag come accade per quelle tra Leonard e Sheldon.

In Silicon Valley l’intelligenza “è ‘na qualità!” e non uno stigma.

Ci mostra come questa si manifesta sotto varie forme e che non significa solo andare bene a scuola, fare moltiplicazioni a trenta cifre su di un piede come Karate Kid o saper scovare falle nella sicurezza dei software della NSA.

C’è l’intelletto creativo ed emotivo di Erlich Bachman e quello numerico di Richard Hendricks; c’è l’intelligenza strategica di Monica Hall e Jared; quella visionaria di Peter Gregory (Christopher Evan Welch che ha lasciato la serie a causa della sua prematura scomparsa). Ma c’è anche “l’ingegno” ingenuo di Big Head e quello scaltro e scorretto di Jian-Yang (interpretato da Jimmy O. Yang, uno stand-up comedian da farsela nei pantaloni). E poi c’è l’intelligenza artificiale, ma ne parliamo più avanti.

Jian-Yang

Questa serie esalta l’intelligenza – ma non il QI – intesa come sete di conoscenza, problem solving, sensibilità, personalità e creatività dimostrando che è democratica, asessuata ed è la fonte del rispetto reciproco (vedi Gilfoyle Vs Risorse Umane).

Non solo, ma l’intelligenza è capace di rendere elegante, e per niente banale, anche le situazioni più grottesche e volgari. La scena della puntata 1×08 in cui i ragazzi trovano l’algoritmo più efficace per “dare piacere” a un’intera platea di persone non è solo ilare. È sagace, raffinata, piena zeppa di riferimenti (ad esempio di A Beautiful Mind) e allo stesso tempo è resa con leggerezza ed arguzia.

Martin Starr Bertram Gilfoyle

Silicon Valley è un inno all’intelligenza che è il nostro più grande lascito e che dovremmo usare per migliorare la vita di tutti anziché per rincorrere solo il profitto a discapito di tutto il resto.

È una testimonianza enciclopedica sullo sviluppo della Valle.

Tutte le sei sigle – che hanno uno stile grafico alla SimCity – ripercorrono la storia attualissima delle startup che popolano la Valley e che ogni giorno plasmano il nostro mondo. Ogni sigla disegna la mappa del tesoro dei nostri moderni esploratori e ognuna di loro contiene nel dettaglio le acquisizioni, i fallimenti e i cambiamenti che avvengono ogni secondo nell’Eden tecnologico della San Francisco Bay Area.

Tuttavia i riferimenti sono tanti e troppo attuali per permettere a tutti di goderne a pieno. Il che rende questo piccolo gioiello un altro tesoro dimenticato.

sigla silicon valley

La tecnologia come scienza umanistica.

Tra una risata e l’altra questa serie firmata HBO propone spunti di riflessione innovativi: la necessità di una visione più umanistica della tecnologia, il progresso e il marketing messi al servizio dell’uomo e non viceversa. Parla dell’intelligenza artificiale non con un approccio fantascientifico e sensazionalista, ma da un punto di vista etico. Si ricollega al dibattito proprio delle più moderne branche della filosofia che studiano la tecnologia da un punto di vista culturale, legale, responsabile e appunto etico.

Gilfoyle – il satanista preoccupato dell’ascesa al potere delle macchine – riflette:

Se l’ascesa di un’intelligenza artificiale onnipotente è inevitabile, beh, è logico che quando prenderanno il potere, i nostri signori digitali puniranno quelli di noi che non li hanno aiutati ad arrivarci. Ergo, vorrei essere un idiota utile.

AI Silicon Valley

Così ci ritroviamo a sbellicarci per situazioni paradossali che mai avremmo ritenuto comiche. Uomo versus macchina (l’epica impresa per hackerare il frigorifero di Jian-Yang) robot, bitcoin, venture capital, big data, fake news, privacy, la disruption tecnologica, la compressione dei dati e tantissime altre tematiche insolitamente esilaranti. E tra una risata e l’altra ci viene anche tanta voglia di riflettere. Per questo la serie oltre ad essere divertentissima è anche audace e rivoluzionaria.

L’internet che meritiamo.

Il web non è dei nerd e degli appassionati per le cose hi-tech. È di tutti noi e tutti dovremmo imparare a volergli più bene, rispettarlo e conoscerlo meglio. E tutti siamo chiamati a interrogarci su cosa vogliamo che diventi: questo è il regalo più grande che una serie tv di intrattenimento comico possa mai farci. In verità ci ha lasciato anche un altro regalo, il sito web di Pied Piper.

La serie omaggia il Cluetrain Manifesto, ma anche Tim Berners-Lee, ciò che ha creato e ciò che si augura che Internet diventi. Il successo per Richard Hendricks non significa arricchirsi e creare un colosso digitale spregiudicato e cannibale, ma creare un internet migliore, “una rete decentralizzata e libera, priva di business”.

Questa visione, condivisa da sempre più persone, non è solo un’utopia.

Ricordate il vespaio di polemiche e indignazione di fronte al ragazzo statunitense, Avi Schiffmann, che ha rifiutato 8 milioni di dollari per il portale sul Covid-19 che ha realizzato durante la pandemia? Al di là delle implicazioni morali più o meno condivisibili, basterebbe guardare Silicon Valley per capire che 8 milioni – in questo campo – sono noccioline.

Silicon Valley Hub

È un manuale d’uso per chi persegue una nuova visione imprenditoriale.

L’intelligenza, la sensibilità e l’etica sono le uniche prerogative per diventare imprenditrici e imprenditori illuminati. Dimostra di quanto avremmo molto più bisogno dei Peter Gregory di Raviga che dei Gavin Belson della Hooli.

Silicon Valley parla a una nuova generazione che sappia valorizzare l’intelligenza senza confinarla negli oscuri sotterranei di un seminterrato, come accade in IT Crowd, bollandola come stranezza.

Peter Gregory

Un sogno infranto.

Eppure c’è ancora tanto da fare e se pensiamo che la Valley sia l’Eden della meritocrazia che tutti pensiamo, beh… potremmo sbagliarci di grosso. La serie è una critica politicamente scorretta contro quei colossi tecnologici che forse sono partiti da idee giuste e con grandi sogni, ma che poi sono scesi a (inevitabili?) compromessi. Ma l’etica e le idee sono sempre più importanti dei soldi, infatti alla fine Silicon Valley ribalta tutte le previsioni a cui siamo stati abituati.

Anche se lo avrebbe meritato tanto, questa serie non è diventata un cult ed è rimasta confinata in un limbo insieme a quei prodotti brillanti che pochi hanno visto. Una serie tv che forse molti non hanno nemmeno iniziato per paura di trovarsi davanti a qualcosa di noioso, presuntuoso e riservato agli addetti ai lavori.

È prematura e affronta con troppa disinvoltura delle tematiche di cui noi comuni mortali sappiamo ancora troppo poco. Magari Silicon Valley non sarà un cult oggi per gli adulti nati prima del 2000, ma forse ispirerà quelli di domani che a colazione mangeranno codici al posto dei Cheerios.

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