Vai al contenuto
Serie TV - Hall of Series » Silicon Valley » L’Italia è finalmente pronta ad apprezzare una comedy come Silicon Valley?

L’Italia è finalmente pronta ad apprezzare una comedy come Silicon Valley?

Ci siamo sciroppati ben nove episodi di Squid Game in lingua coreana (che molti di noi avrebbero guardato anche senza sottotitoli pur di non rimanere fuori dalla bolla mediatica; che poi, per fortuna, si è sgonfiata). Saremo stati pure ricoperti di meme fatti di biscotti giocattolo e bambole assassine, ma almeno abbiamo scoperto che i sudcoreani le serie tv le fanno, e pure bene. Continuiamo a seguire le folleggianti avventure di Meredith Grey, a cui nessun collega magnanimo vuole staccare la spina. Ci lamentiamo delle mezze stagioni e delle comedy di una volta che non esistono più. Eppure, in Italia, quando parliamo di Silicon Valley (la comedy dell’HBO, non Cupertino, Mountain View) pare che nessuno l’abbia vista né sentita. Nella disperazione più totale, abbiamo provato a googlare “quante persone in Italia hanno visto Silicon Valley”, ma non è uscito nulla. Cioè il nulla, zero risultati. Una ricerca a caso, “dove abita zia Maria”, ottiene almeno 858.000 risultati. Abbiamo controllato su Google Trends, ovviamente, e su altri strumenti professionali per stalker seriali provetti, ma “I dati correlati alla tua ricerca non sono sufficienti per essere mostrati qui”. Balle di fieno a go-go, insomma. Abbiamo ispezionato da cima a fondo il nostro gruppo Hall of Series – Comunità di recupero (serie Tv) e, come sospettavamo, la situazione è drammatica: pochissimi post entusiastici di utenti che l’hanno scoperta, divorata, amata e riguardata compulsivamente che, come noi, si chiedono per quale motivo in Italia non si parli mai della comedy dell’HBO firmata Mike Judge, John Altschuler e Dave Krinsky e disponibile in Italia su Sky e NOW (bene, ora sapete anche dove trovarla!). Ci siamo confrontati con colleghi, amici, parenti, sconosciuti incontrati per caso e divoratori seriali ma la conclusione è sempre la stessa: pochissimi l’hanno vista (e amata), troppi non ne hanno mai sentito parlare. Sappiamo che l’Italia è pronta per apprezzarla. Perciò non capiamo perché ancora non voglia dare una chance a Silicon Valley, che The Guardian ha definito the best and only comedy you should be watching.

While people gab endlessly about lesser shows, this sitcom about a tech startup has been quietly scaling ever more majestic heights.

The Guardian

Silicon Valley va vista. E non lo dicono solo gli inglesi.

Lo dice l’aggregatore Rotten Tomatoes, dove la comedy dell’HBO ha ottenuto una media complessiva del 95% di gradimento, e dove viene definita: “una versione pertinente, spesso esilarante, della tecnologia contemporanea e dei geeks che la creano, che beneficia dall’esperienza reale che il co-creatore Mike Judge ha avuto nel settore.” (Judge, tra le tante cose, ha conseguito nell’1985 un Bachelor of Science in fisica presso la University of California, San Diego). Su IMDb gli utenti le hanno affibbiato un bell’otto e mezzo pieno. Tim Goodman di The Hollywood Reporter ha dichiarato che: “la HBO trova la sua migliore e più divertente commedia completa degli ultimi anni con questa creazione di Mike Judge”. Mike Judge, per coloro che sono sprovvisti di una memoria prodigiosa, è il padre e/o autore di show satirici tra i più acuti degli ultimi tempi, come Beavis and Butt-Head, Saturday Night Live, Idiocracy e King of the Hill.

All’estero la serie tv è amatissima. Ha ricevuto il plauso su Metacritic, la critica internazionale la adora e anche i premi e le nomination non sono mancati. Silicon Valley si è aggiudicata un Critics’ Choice Television Awards per Best Comedy Series, due Primetime Emmy, due Satellite Awards, un Writers Guild of America Awards, un Critics’ Choice Television Awards e tanti altri premi e nomination prestigiosi che potete andare a controllare su Wikipedia, se ancora non siete convinti se iniziarla o meno (che ribadiamo, trovate su Sky e NOW). Questa è un’opera di convincimento dovuta, fatta da amanti delle buone serie tv ad altri amanti delle buone serie tv; in cambio vogliamo solo la vostra infinita gratitudine. E, infine, lo diciamo noi, che non riusciamo a capire quale sia la diffidenza verso questa commedia esilarante, intelligente, sottilissima come carta velina, ma tagliente come le lame di Miracle Blade.

I wrote that code. You said you were in love with her mind. You realize what’s going on right? It’s not her you’re sexually attracted to. It’s my code… Just face it, Dinesh, you’re gay for my code. You’re code gay.

Silicon Valley

Altro che Miracle Blade, ci vorrebbe il Baffo!

Forse ci vorrebbero le buone maniere di Roberto da Crema, detto il Baffo, per vendere all’intera penisola italica un set di cofanetti delle sei stagioni di Silicon Valley. Il Baffo prenderebbe tutti gli indecisi, sbatterebbe sul tavolo quelle sue mani possenti e direbbe senza mai prendere fiato: è un’occasione imperdibile! Vi direbbe che la comedy HBO è una delle migliori commedie televisive del decennio e che è uno scandalo che sia uscita nel 2014 e ancora nessuno ne parli. La trama è semplice e potrebbe trarre in inganno: Richard Hendricks (Thomas Middleditch), un ingegnere della Silicon Valley, sta cercando di costruire la sua società, chiamata Pied Piper, con altri loschi figuri che un giorno sono amici, l’altro dipendenti, l’altro sabotatori. Vi direbbe che potete vederla anche in italiano perché il doppiaggio è fantastico, ma se la vedete in inglese è meglio. Tra un rantolo e l’altro vi direbbe che un assortimento di personaggi così divertente e originale è una rarità in una comedy sui geek. Certo, abbiamo avuto The Big Bang Theory e The IT Crowd a nobilitare la categoria – e a diradare un po’ di cliché – ma i geek e i nerd restano ancora avvolti da un alone di luoghi comuni.

 Gilfoyle e Dinesh (Silicon Valley)
Gilfoyle e Dinesh (Silicon Valley)

Roberto Baffo vi direbbe anche qualche parolaccia per non averla ancora iniziata, ma vi convincerebbe nominandovi Bertram Gilfoyle, interpretato da Martin Starr, un network engineer, LaVeyan Satanist e play boy dalla personalità imperturbabile e sardonica, coinvolto in un rapporto di amore-odio con Dinesh Chugtai (Kumail Nanjiani). Peter Gregory, un’imprenditore geniale e sensibile, interpretato da Christopher Evan Welch; Gavin Belson, l’attore Matt Ross, uno dei villain più altezzosi, esilaranti e pezzi di sterco mai visti in una comedy. Erlich Bachman. Erlich Bachman. Erlich Bachman. Il Baffo potrebbe dire a ripetizione il suo nome per ore. L’attore T.J. Miller veste i panni improponibili del proprietario fattone dell’incubatore dove vivono Richard Hendricks e i suoi amici. Una personalità tutta da scoprire che brilla in compagnia di Jian-Yang (l’attore e stand-up comedian Jimmy O. Yang!), un altro personaggio sui generis che vi farà innamorare per quanto è scorretto. Judge è riuscito a cristallizzare in una dimensione farsesca tutta la genialità della valle unità alle reali difficoltà imprenditoriali che hanno determinato a volte il successo, altre il fallimento di strumenti e di aziende che da anni influenzano la nostra vita.

Dinesh: “At least we’ll make a little money doing it.”
Gilfoyle: “Oh, great. So, you can go back to the car wash and buy some more chains. Huh, Pakistani Mr. T?”

Silicon Valley
Silicon Valley (640x360)
Silicon Valley (640×360)

Ma gli autori non si sono fermati qua. Hanno unito l’etica alla satira, l’amicizia all’ingordigia, la deontologia professionale alle riflessioni sulle implicazioni dell’intelligenza artificiale, tutto senza mai annoiare lo spettatore. E non parliamo solo dello spettatore laureato in fisica o in ingegneria quantistica. Silicon Valley riesce a coinvolgere tutti. La comedy è stratificata e si costruisce su più livelli. C’è l’umorismo scanzonato, quello demenziale e raffinato, le frecciatine satiriche, la reference sui magnati dell’HI-TECH e tantissimo altro che arriva e colpisce a seconda del bagaglio culturale dello spettatore. Richard Hendricks è un programmatore prodigioso, ma ha il “vizio” di voler giocare sempre in modo etico. Non importa che si trovi in un ambiente iper-competitivo in cui gli squali sono pronti a farti causa per impossessarsi della tua idea. Così, la comedy dell’HBO diventa una reinterpretazione in chiave satirica del classico Davide contro Golia, dove il gigante è davvero gigante. Parliamo dei lupi del venture capital, sempre pronti a uccidere un vitello per assicurarsi un buon algoritmo. La scrittura non è mai pigra e presenta un’infinità di battute che non si limitano alla gag mordi e fuggi su quanto siano “strani” i geek. Le battute possono durare decine di minuti e contenere decine di riferimenti all’attualità, all’informatica, al costume, alla cultura del denaro, al capitalismo e alla politica. Una scrittura comica multiforme, dunque, supportata da un ensemble di attori formidabili. E quando siamo stanchi di ridere, arriva la batosta drammatica. Arrivano le scelte difficili e i dilemmi etici, i sacrifici e i bivi esistenziali.

È una comedy perfetta? No. Va vista? Sì.

Silicon Valley, Jimmy O. Yang (640x360)
Silicon Valley, Jimmy O. Yang

Sì, il Baffo vi direbbe che Silicon Valley è una commedia perfetta. Ma noi non siamo mica Robertone. Ogni tanto, nel corso delle sei stagioni, la trama è inciampata su sé stessa. Soprattutto quelle volte in cui diventa piuttosto circolare e perde di vista il suo focus narrativo. Ma i personaggi, le battute, la scrittura e le reference non perdono mai un colpo. I protagonisti vengono plasmati dalle sfide che incontrano episodio dopo episodio fino ad arrivare a un finale eloquente, emozionante e inaspettato. La frustrazione che provano è palpabile. Sentiamo sulle nostre spalle i problemi e le ansie di Richard, che sfoga vomitando in ogni dove. È stancante guardarli combattere contro i mulini a vento, e talvolta contro loro stessi. Ma allo stesso tempo è rassicurante vedere in televisione quanto sia difficile far valere le proprie idee. Silicon Valley non racconta favole. Non sforna slogan alla “Stay Hungry. Stay Foolish”.

Silicon Valley è un ritratto inintelligente, accurato e tragicomico della nostra epoca. Un’era dominata da algoritmi, da arrivisti e visionari che costruiscono nuovi scenari e nuovi strumenti che, forse, un giorno ci controlleranno tutti. Come teme Gilfoyle. O forse no. Come spera Richard e il suo incrollabile senso etico.