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Recensione Sherlock, The Abominable Bride – La fanfiction di Moffat e Gatiss

Ed eccomi qui con la recensione di Incept… ops, volevo dire di The Abominable Bride, lo speciale di Natale che è andato in onda su BBCOne l’1 gennaio 2016

Onestamente non so da dove cominciare a parlare di “The abominable bride”. Dalla sceneggiatura a dir poco perfetta? Dal trip mentale di Sherlock? Dalla cura con cui è stata gestita l’ambientazione vittoriana? Dalla recitazione magistrale di tutti e in particolare di Scott e Gatiss (vera sorpresa di questo speciale, dove ha avuto un ruolo un po’ più centrale e ha dato prova delle sue già note doti di trasformista)? Dalla ship war dove la Johnlock sconfigge la Sheriarty?

Cominciamo dall’inizio. L’epoca vittoriana. Quell’alternatively in 1985 e le loro continue dichiarazioni che fosse un episodio a parte mi avevano fregato. Ho iniziato a rendermi conto che c’era qualcosa che non tornava, quando l’abominevole sposa si è sparata in bocca. E già. È caduta la mascella a tutti lì e sfido chiunque a dire di non aver gridato: ODDIO, JIM! in quel momento. Insomma, volevano spiegarci il Miss me? con un altro caso. Forse lì avrei dovuto iniziare a sospettare, anche perché circolavano delle foto dal set di loro vestiti con gli abiti moderni. E vabbè: non ho pensato che Moffat e Gatiss potessero essere disturbati bravi fino a questo punto. GROSSO ERRORE. Lo sono di più.

Comunque, i dettagli dell’ambientazione vittoriana sono curatissimi, dagli abiti alle carrozze, dagli oggetti di scena ai caratteri dei personaggi, leggermente smorzati o enfatizzati (Molly Hooper, ragazzi, Molly Hooper!) per renderli coerenti con l’epoca. Colpo di genio, gli articoli di giornale che svolazzano attorno a uno Sherlock Holmes immerso nel Mind Palace… nel suo Mind Palace.

Sì, perché tutto quello che succede nel 1985 succede nella testa di Sherlock che, sta andando in overdose sull’aereo che lo sta portando nell’Est-Europa, leggendo del suo primo incontro con John sul blog di qust’ultimo. In pratica Sherlock ripensa a un antico caso, un caso molto vecchio e immagina di trovarsi lì per risolverlo con tutte le persone che normalmente gli sono accanto.

Ed ecco Molly Hooper che si traveste da uomo, Mary che lavora per Mycroft (almeno nel Mind Palace di Sherlock), Mycroft che… Okay, Mycroft merita una menzione a parte: grasso fino all’inverosimile, privo di ogni controllo e capace persino di progettare il suo ‘suicidio’ pur di aver l’ultima parola. Insomma, questa è la visione che Sherlock ha del fratello, interpretato da un meraviglioso Mark Gatiss che si è fatto imbottire di silicone per interpretare il ruolo. Ma una cosa non cambia mai nella mente di Sherlock: l’amore viscerale e la preoccupazione che il fratello maggiore ha per lui, come dimostra il richiamo alla ‘lista’ (la lista delle droghe che assume e che Mycroft gli costringe a fare da quando l’ha trovato in overdose la prima volta).

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Altra menzione a parte merita Andrew Scott, aka Moriarty. La presenza di Jim era stata tenuta nascosta e la sua comparsa ha sorpreso tutti (o quasi). Straordinaria prova d’attore per Scott, che ancora una volta presta il suo volto al criminale più amato forse da sempre, e che ancora una volta cerca di far tornare Sherlock al presente, alla sua vita, invitandolo a uscire dal suo Mind Palace, come già aveva fatto in HLV.

Ma i trip mentali di Sherlock non si fermano al 1895 perché anche nel presente si rifugia nel Mind Palace per capire se Jim è vivo o morto, fino a essere bruscamente risvegliato, capendo finalmente come stanno effettivamente le cose e preparandosi alla prossima mossa con l’enigmatica frase: Moriarty è morto, ma ora so quale sarà la sua prossima mossa. Insomma, ci hanno spiegato come il criminale potrebbe essersi salvato, ma ancora ci tengono col fiato sospeso. (Personalmente credo che Jim sia morto e questo sia il lancio per introdurre il personaggio di Sebastian Moran, che ha preso il posto del suo ex capo.)

Il ruolo delle donne: come Gatiss aveva preannunciato, questo episodio è stato il festival del femminismo, in un’epoca in cui le donne erano poco più di note al margine, la cui funzione era cucinare, come ricorda John con molto tatto alla sua mogliettina. Unico appunto che mi sento di fare era che forse, nella scena dell’organizzazione femminista, si poteva dire con una mezza battuta in più che effettivamente non avevano ucciso i loro mariti perché erano degli stronzi, ma anche perché erano contrari al movimento femminista. Anche se probabilmente, i Mofftiss avranno pensato che fosse sottinteso.

E infine, il fanservice o meglio le ship. Questa puntata era palesemente una fanfiction. Scritta da Dio, ma pur sempre una fanfiction. Come tutte le altre puntate. Ragazzi, questa serie è una fanfiction, la fanfiction di Moffat e Gatiss. Che, a differenza di noi fangirl e fanboy, hanno i mezzi (e il talento) per portarla sullo schermo. Ma è la loro storia e onestamente credo possano fare ciò che vogliono. Se vogliono farci vedere nel Mind Palace di Sherlock, Watson che salva Sherlock arrivando con la pistola sulle cascate di Reichenbach, lo possono fare. Probabilmente è tutta la vita che Moffat sogna questa scena nel suo cervello. Perché dico questo? Perché l’ho sognata anch’io da quando, a undici anni, ho letto per la prima volta The Final Problem. Come ancora sogno che qualcuno tiri fuori Sirius Black da quel dannato velo. Ma questa è un’altra storia…