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Jim Moriarty deve continuare a morire

“Ci era mancato”, e trionfa il suo narcisismo. Era mancato anche all’uomo della sua vita, e pur di ritrovarlo si è imbottito di droghe.

Con Jim Moriarty non ci sono mezze misure: o si ama o si odia. O è vivo, o è morto. Oppure no? No, nel secondo caso no. La nemesi di Sherlock è un personaggio capace di dare una sfumatura alla morte. Un po’ è morto, un po’ no. Deve continuare a morire, e allo stesso tempo vivere nella testa di un uomo che non accetta motivazioni al di là delle leggi della fisica. Moriarty, più che un personaggio, è una metafora, e in quanto tale è e sarà ancora protagonista dell’universo narrativo di Sherlock, ma da dentro una bara.

COSA CI HA DETTO “THE ABOMINABLE BRIDE”

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Il tratto più affascinante della serie prodotta dalla BBC è il piacere morboso dell’attesa. L’aspetto è comune a buona parte delle serie tv, ma in Sherlock si va oltre. Prima suggerisce e poi confonde, prima chiarisce e poi getta in un baratro. Ogni risposta è un travaglio lungo anni, e non esclude mai a priori la ritrattazione.

Si prenda Jim Moriarty, per esempio. Dopo averlo visto spararsi un colpo di pistola in bocca, ci sarebbero dovuti essere pochi dubbi: è morto, punto. Eppure, all’improvviso, è ricomparso. Il cliffhanger che ha chiuso la terza stagione è un’espressione interessante del sadismo narrativo di Moffat e Gatiss. Il volto del villain ha riempito gli schermi di Londra, e una semplice domanda, “Did you miss me?”, ha riempito le nostre teste. Il tarlo del dubbio ci accompagna da anni: è morto? Oppure no?

Lo special andato in onda pochi giorni fa, “The Abominable Bride”, ha gettato ulteriori ombre e qualche sprazzo di luce. Moriarty è ricomparso, più in forma che mai. Ma nella testa di Sherlock. Il detective, ossessionato dalla sua più grande debolezza, si imbottisce di droghe (l’overdose “controllata” è l’ennesimo paradosso)  e viaggia alla scoperta di un vecchio caso con il solito pensiero in testa: l’obiettivo non è Emelia Ricoletti, ma Jim Moriarty. Emelia non è altro che una personificazione del suo nemico. Risultato? Sherlock conclude il percorso con una frase enigmatica, anch’essa paradossale: “Moriarty è morto, ma ora so quale sarà la sua prossima mossa”.

Moffat e Gatiss ci hanno ingannato: lo special di Capodanno non è un film a se stante, ma il pilot della quarta stagione, in arrivo tra un anno. E il filo conduttore potrebbe essere il rapporto di Sherlock con le droghe, quantomai canonico, e con la sua nemesi. La nemesi non è più un personaggio, ma una personificazione delle sue paure. La scoperta dell’ignoto si spinge fin al di là delle leggi della fisica, ma solo ed esclusivamente all’interno del suo palazzo mentale.

NON SI AMMETTONO “RIGENERAZIONI”

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I fan di Sherlock, tuttavia, si aspettano sempre di tutto, e si sono scatenati sia dopo aver visto il finale della terza stagione che dopo aver vissuto lo special col cuore in gola. Teorie su teorie, rimandi ad un canon che in fondo è giusto che siano raffinati omaggi al genio di Conan Doyle, ipotesi, dubbi e paure. C’è chi vorrebbe rivedere Moriarty in vita, ma in fondo questo sarebbe l’unico paradosso inaccettabile: forzare una trama senza sbavature. Nel mondo di Sherlock non si possono ammettere rigenerazioni, ma in un mondo di pensieri sì. Il Moriarty che si conosceva è morto e sepolto, mentre il Moriarty che vive in Sherlock è più carico e genialmente folle che mai.

Se la vita non è altro che una grande illusione, si può ammettere l’affascinante realismo di un palazzo mentale, e accettare allo stesso tempo un percorso parallelo tra realismo e surrealismo, lucidità e visioni da trip, tra la vita, la morte e le sfumature che ci possono essere nel mezzo.

Se queste supposizioni verranno confermate, la quarta stagione di Sherlock sarà, più che mai, un viaggio alla scoperta di Sherlock. Dentro di lui, sempre più in fondo. Senza sicurezze apparenti.

Nuovo appuntamento tra un anno, si spera.

@antoniocasu_

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