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8 Serie Tv per cui sono grata al 2022

Ogni anno il panorama televisivo si arricchisce sempre di più, offrendo una somma spropositata per la dieta mediale di un individuo, anche fra i più appassionati. È difficile stare al passo con questi prodotti e soprattutto non è un obbligo: vale sempre la regola di guardare cosa piace. Questa lista raccoglie le serie tv che sono uscite per la prima volta nel 2022 e di cui sono grata, tra comedy come Abbott Elementary, drama come The Dropout e tante altre. Ciò vuol dire che in questa lista non troverete necessariamente le migliori serie dell’anno, che possono distinguersi per fotografia, cast, regia, trama eccetera, ma le serie che si sono distinte o per le sensazioni che trasmettono o per i temi che hanno veicolato, o perché no, per entrambi. Senza alcuna intenzione di alimentare la FOMO di nessuno, questa è un piccolo non esaustivo elenco in cui potreste ritrovarvi e commentare le serie che avete visto anche voi o invogliarvi a esplorare serie che potrebbero essere passate in sordina.

Una precisazione: Abbott Elementary è cominciata tecnicamente nel 2021 con il suo primo ed unico episodio andato in onda quell’anno, per cui spero capiate perché è stata inserita nella classifica del 2022.

A League of Their Own

A league of their own

La serie è basata sul film cult Ragazze Vincenti ed è creata e interpretata da Abbi Jacobson, che forse qualcuno conosce per Broadcity (se non l’avete mai vista, recuperatela ora!). ALOTO racconta la storia vera dell’istituzione del campionato femminile di baseball negli USA, per via della penuria di uomini arruolati per far fronte alla Seconda guerra mondiale. ALOTO è una serie femminista che mette al centro la vita di tantissime donne, molte delle quali appartenenti alla LGBTQIA+ community. Ciò che succede nella serie, quindi, non è mai filtrato dallo sguardo maschile, anzi, ma sempre da quello femminile e soprattutto queer. Il femminismo della serie però traspare anche tantissimo nel messaggio della serie, che si serve peraltro di un veicolo abbastanza inusuale: lo sport di squadra. Si sa, infatti, che lo sport per le donne non è esattamente sempre accogliente e in quello di squadra le donne, se possibile, se la passano anche peggio. Al tempo stesso, l’ancoraggio allo sport permette anche di esplorare l’omosessualità negli sport, un argomento ancora tabù perfino ai giorni nostri. Le protagoniste non hanno paura di reclamare uno spazio che spetta loro di diritto e nel farlo non dimenticano di sostenersi a vicenda, a dispetto di quanto il patriarcato ci abbia fatto credere per anni. Non è vero che il peggior nemico di una donna è un’altra donna, il peggior nemico di una donna è il patriarcato. Come si fa a non tifare per una squadra così?

Prisma

prisma amazon

Prisma, creata da Ludovico Bessegato (SKAM Italia) e Alice Urciuolo, esplora le relazioni e le identità (anche di genere) di Andrea e Marco, due gemelli identici ma molto diversi nell’approccio alla vita e il loro gruppo di amici. La serie è un teen drama per cui la fanno da padrone le relazioni interpersonali fra i vari protagonisti, che in quanto adolescenti, sembrano amplificare o estremizzare tutto ciò che accade loro: le prime esperienze, l’amore, la ricerca di sé nel mondo e il bisogno di accettazione fra pari. A differenza però di altri prodotti, non assisterete a scene esagerate (per intenderci all’Euphoria) ma il corso degli eventi procede con naturalezza, dando un ritratto della generazione Z, mostrando temi e dinamiche che, specialmente in un prodotto italiano, scarseggiano. La serie merita quindi attenzione per il percorso di scoperta della propria identità di genere e orientamento sessuale di Andrea, così come il superamento della timidezza e ritrosia di Marco nel lasciarsi andare, ma anche il viaggio di Carola, una ragazza con disabilità assolutamente autodeterminata: è bello come lo strumento che aiuta Carola nella vita di ogni giorno – la protesi – non sia mostrata come un fardello, ma come ciò che permetta a Carola di fare le stesse esperienze di un qualsiasi altro adolescente. A chiudere il cerchio troviamo Caterina, lesbica e vegetariana (il vegetarianismo è sicuramente una novità nella rappresentazione di un adolescente, eppure rintracciabile negli ideali e all’attenzione della generazione Z) e Daniele, che all’inizio sembra il classico bulletto ma che invece mostrerà una sensibilità nascosta.

Circeo

Circeo

Circeo è la ricostruzione mediale di uno dei fatti di cronaca nera più gravi d’Italia. Donatella Colasanti e Rosaria Lopez vengono rapite, torturate e violentate per giorni da tre ragazzi della Roma bene. Lopez viene uccisa, Colasanti si salva solo perché riesce a fingersi morta. Ciò che colpisce assolutamente in positivo della serie è che parla del massacro del Circeo senza mostrarne l’inaudita violenza né mettendo al centro i carnefici, ma concentrandosi solo sulla sopravvissuta senza peraltro relegarla a vittima. Come è possibile? Perché la serie decide di concentrarsi sulle conseguenze sociali e legali che avrà questo caso e cosa significherà non solo per Colasanti, ma per l’Italia intera. Non si assiste quindi alle ore terribili che le due ragazze hanno vissuto, indulgendo così alla morbosità della violenza o del dolore, ma vediamo dispiegarsi il processo scaturito da questi eventi. Accanto a Colasanti troveremo Teresa Capogrossi, un’avvocata che la aiuta nel suo percorso di giustizia legale e un attore corale interpretato dai movimenti femministi che useranno l’evento per instillare cambiamenti radicali nella società, fino a cambiare nel 1996 lo stupro da delitto contro la morale (paragonabile all’orinazione in luogo pubblico) a uno contro la persona. Circeo è un ottimo esempio di come la serialità italiana non abbia nulla da invidiare a quella estera e di come possa aiutare nel leggere gli eventi e la cultura della nostra società, purtroppo ancora contraddistinta da tanto sessismo.

The Dropout

abbott elementary

The Drop Out racconta lo scandalo Theranos e la vicenda della sua fondatrice Elizabeth Holmes, senza fare l’errore di Inventing Anna, ossia cercare di farci piacere a tutti i costi la protagonista. La serie si inserisce infatti nel filone di quei prodotti che raccontano le più grandi truffe della storia. Holmes è famosa per aver progettato una macchina avanguardista per il prelievo del sangue, la quale però è rimasta tale solo in teoria, perché a dispetto dei numerosissimi test e anni di ricerca, non riuscirà mai a realizzare il suo intento nella pratica. Il problema è che Holmes, pur essendo a conoscenza di questi problemi, non ha esitato a mentire ai suoi investitori. La serie fa un ottimo lavoro nel mostrare il cambiamento da ragazza entusiasta e armata dalle migliori intenzioni di cambiare il mondo, fino alla sua trasformazione in arrivista, truffatrice ed egoista. Molto di questo merito è da attribuire ad Amanda Seyfried che è magistrale nell’immedesimazione di Holmes tanto da valerle un Emmy come miglior attrice protagonista in una miniserie. Ma ciò che rende più interessante di tutto la serie è che offre uno spaccato sul doppio standard che colpisce le donne, il loro essere costretta ad essere perfette e il problema per cui quando sbaglia una donna, pagano tutte. La vicenda di Holmes, infatti, ha ancora ripercussioni sulle donne che cercano di ottenere finanziamenti proprio per colpa del suo spettro.

The Bear

The Bear racconta la storia di Carmy Bearzatto, interpretato da Jeremy Allen White e vincitore di un Emmy per il suo ruolo. Carmy è uno chef di successo che è costretto a tornare a casa, a Chicago, e gestire il ristorante disastrato di famiglia, dopo che suo fratello maggiore morto suicida, gli lascerà in eredità il ristorante. La cifra stilistica di The Bear, e il motivo per cui entra in questa lista, è il ritmo frenetico della serie, teso a ridare allo spettatore la sensazione di essere effettivamente in una cucina: tempi scanditi, divisione dei ruoli, velocità, spazi angusti, ma anche amore per ciò che si tratta e attenzione ad ogni dettaglio. La serie attinge ad uno spaccato inflazionato in tv, specialmente se si pensa ai reality show sul mondo gastronomico, senza idealizzarlo, mettendo in luce i turni e i sacrifici immensi che questo lavoro comporta. Il ritmo della serie è mantenuto in vita grazie anche ai protagonisti, non solo Carmy per cui salvare il ristorante fatiscente diventa quasi un modo per perdonarsi di non salvato il fratello, ma ogni personaggio ha una fame di fare e dire qualcosa: dalla dolcezza di Gary (Corey Hendrix), all’intensità di Sidney (Ayo Edebiri) e la follia di Richie (Ebon Moss-Bachrach). Infine, due chicche che vale la pena sottolineare a livello di regia e scrittura: il take frenetico girato in 17 minuti continuativi (episodio 7) e la best punchline:

Ehy Carmy, I thought you killed yourself. – No, sir, that’s my brother

Carmy, pensavo ti fossi suicidato. – No, signore quello è mio fratello.

Severance (Scissione)

Anche in Severance, come The Bear, la regia (in questo caso di Ben Stiller) si sposa perfettamente con le ambientazioni e la trama. Ogni inquadratura è fatta per trasmettere inquietudine e nervosismo, questo perché i luoghi in cui la serie si muove e i temi che affronta sono esattamente così: asettici, spersonalizzanti e a tratti claustrofobici. Severance racconta la storia di alcuni impiegati della Lumos Industry che si sono sottoposti volontariamente alla scissione (severance ndr), ossia un intervento chirurgico che scinde i ricordi della vita personale da quella lavorativa. Una volta fuori dall’azienda il lavoratore non ricorderà né cosa ha fatto, né tantomeno i suoi colleghi, creando così una completa scissione anche di personalità, fra outie (chi sei fuori dal lavoro e cosa fai) e innie (chi sei e cosa fai quando sei a lavoro). La serie si muove esattamente fra queste due personalità, da un lato esplora il perché alcune persone scelgano di sottoporsi volontariamente a questo trattamento che è spaventoso esattamente quanto sembra, e dall’altro perché l’azienda richieda un tale procedimento. Ciò che conquista di questa serie è che l’unico modo per sapere la verità e rispondere a entrambe le domande è proprio ricucire la personalità di ogni personaggio, lavorare sui propri traumi e affrontarli e sarà questo anelito a trainare la trama fino a giungere a quello che, a mio parere, può essere annoverato fra i migliori finali di stagione degli ultimi tempi.

Somebody Somewhere

abbott elementary

Somebody Somewhere è una di quelle storie che ti colpisce, senza farti male. Sam è una donna sulla quarantina, queer, che torna nella sua città natale nel Kansas più profondo con una vita completamente alla deriva. La premessa della serie non è poi così innovativa: Sam sta affrontando il lutto della sorella e, come succede a molte persone nella stessa situazione, deve imparare a gestire di nuovo la propria vita, il proprio lavoro e le relazioni interpersonali. È proprio al lavoro che incontra Joel (un bravissimo Jeff Hiller) ex compagno di liceo, ma con cui non aveva mai avuto un rapporto. L’amicizia che si instaura fra Sam e Joel è così naturale e rinvigorente da stamparti un sorriso ogni volta che interagiscono fra di loro. Grazie a Joel, Sam ritrova la gioia di ricominciare a vivere, il permettersi di stringere nuove amicizie o divertirsi, senza che questo tolga niente al suo dolore. Quella di Sam è a tutti gli effetti una storia di rinascita che avviene proprio grazie alla ricchezza e bellezza dei rapporti umani, mostrando cosa succede quando gli esseri umani mostrano il loro lato migliore, quello dell’empatia, della vulnerabilità e della genuinità. Una nota che arricchisce la serie è la rappresentazione di molti personaggi LGBTQIA+ in un contesto decisamente di periferia, che trovano il loro spazio senza problemi facendo parte della comunità cittadina a tutti gli effetti. Il merito di questa serie è quindi quello di infonderti una sensazione di speranza e ottimismo, senza che questo scada nell’irrealtà o nel buonismo (che ricorda un po’ il motivo per cui ci era tanto piaciuta Ted Lasso. Potrebbe sembrare una frase fatta, ma è davvero così: non è mai troppo tardi per scoprire nuove bellezze che il mondo ha da offrirti.

Abbott Elementary

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In questo elenco non poteva mancare una comedy e fortunatamente quest’anno abbiamo avuto Abbott Elementary. Una comedy sul luogo di lavoro così ben fatta non si vedeva dai tempi di The Office e Parks and Recreations, e non a caso la serie ne imita il linguaggio comico e l’espediente del “mockumentary”. Abbott Elementary è ideata da Quinta Brunson, che troviamo anche nei panni della protagonista, Janine Teagues. La serie narra le vicende di alcuni insegnanti di una scuola pubblica elementare e i suoi studenti. Il focus è puntato sulle difficoltà che questi docenti hanno per ciò che riguarda risorse, strumenti e mezzi economici per consentire la migliore educazione possibile e la loro capacità di resilienza e di inventiva, per supplire a queste mancanze senza arrendersi o indulgere in una situazione di mediocrità visto che tanto “le cose non cambiano mai”. La scrittura comica in Abbott Elementary riesce a brillare perché ironizza sulle situazioni tristi o umilianti, senza svilire i protagonisti o renderli ridicoli, semplicemente perché ci “provano” così tanto. Forse il personaggio meglio riuscito però è proprio quello di Ava Coleman, la preside della Abbott Elementary che avrebbe tutte le carte in regola per essere una villain, ma monopolizza la scena con il suo carisma e la simpatia (imprevista) che suscita. Infine, un ulteriore plus in Abbott Elementary è uno slow burn raro di questi in tempi in tv fra due protagonisti della serie, che ti porta inevitabilmente a tifare per loro, pur consapevole che ci vorrà un po’ per arrivare lì. Ma, ehi, non siamo noi che scegliamo la ship, è la ship che sceglie noi. E si sa, le ship sono la linfa delle serie TV. Per fortuna che Abbott Elementary è già stata rinnovata.