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La vendetta è un mito antico quanto l’uomo. Non è mai stata solo un atto impulsivo, ma una delle pulsioni fondanti della narrazione umana. Dai tragici greci che raccontavano di eroi consumati dal bisogno di vendicare il torto subito, fino a Shakespeare che ne ha fatto il motore di capolavori come Amleto e Otello. Ebbene, la revenge non è mai un gesto isolato.
È un’ossessione che divora chi la porta, una catena che lega vittima e carnefice in un abbraccio mortale. Eppure, se il mito e la letteratura ci hanno sempre mostrato figure maschili che si macchiano le mani pur di ottenere soddisfazione, la serie tv Revenge, attualmente disponibile su Disney +, ha avuto il coraggio di ribaltare lo schema. Al centro della serie non c’è un uomo in cerca di rivalsa, ma una donna: Emily Thorne, o meglio Amanda Clarke, la figlia di un uomo tradito, incastrato e distrutto da un sistema di potere marcio fino alle radici.

Per Emily la vendetta diventa una missione esistenziale
Non basta punire i colpevoli, bisogna riscrivere la memoria di un padre infangato, ridare dignità a una figura cancellata. Emily, di fatto, non vuole processi né sentenze, ma solo la verità. Una verità che, però, non si limita a ristabilire la giustizia, diventando, così, il mattone di una nuova identità. Perché per Amanda Clarke, diventare Emily Thorne significa abbandonare l’infanzia spezzata e indossare i panni di un’eroina tragica.
È la nascita di un alter ego che, appunto, ha solo lo scopo di vendicarsi. Ma proprio qui sta il cuore pulsante di Revenge. La vendetta non è mai una liberazione, è un’eredità tossica. Non si sceglie davvero di abbracciarla: la si riceve, come una maledizione (ecco i set avvolti da una maledizione). Emily eredita il dolore del padre e lo trasforma in arma. Ma in questo passaggio il trauma non si attenua, si amplifica, incidendo ancora più a fondo.
Revenge ci mostra come l’eredità diventi distruttiva
Emily orchestra trame perfette, smonta la famiglia Grayson con un’intelligenza strategica impressionante, ma ogni vittoria la allontana da sé stessa. Più i suoi nemici cadono, più Emily si svuota. Non c’è mai gioia, non c’è mai pace: solo un altro passo verso l’oscurità. È qui che la serie svela la crudele verità che la ripicca logora soprattutto chi la porta. Chi la subisce, come i Grayson, cade, sì, ma cade nella stessa rovina che già aveva costruito. Emily, invece, sacrifica legami autentici, amicizie, amori. Jack, l’amico d’infanzia, rappresenta la possibilità di una vita diversa, eppure lei lo mette da parte, lo inganna, lo manipola pur di non tradire la sua missione. Nolan, il complice fedele, diventa più un’estensione del suo piano che un vero amico. In questo vortice, Emily diventa sempre più simile ai suoi nemici, finendo per perdere il confine tra vittima e carnefice.
La cornice degli Hamptons, inoltre, con le sue ville da sogno e i calici di champagne, non è mai un semplice sfondo glamour. Piuttosto, è il palcoscenico perfetto per una tragedia greca travestita da soap di lusso. Come nei miti antichi, qui i personaggi non agiscono mai davvero in libertà. Sono tutti prigionieri del destino, intrappolati in una spirale che li trascina verso l’inevitabile. Victoria Grayson, la regina crudele e manipolatrice, è l’avversaria perfetta di Emily. Ma più che un villain (qui i migliori delle serie tv) da abbattere, Victoria è lo specchio in cui Emily rischia di riflettersi. Entrambe sono donne che hanno fatto della manipolazione un’arte, che hanno sacrificato l’amore in nome del potere. Guardarle scontrarsi è come assistere a un duello shakespeariano, in cui a cadere non è solo la maschera del nemico, ma anche quella dell’eroina.

Cosa resta di Amanda Clarke dietro la corazza di Emily Thorne?
Se Medea, per vendicarsi, arrivava a sacrificare i propri figli, Emily sacrifica la propria identità. In entrambi i casi, il riscatto diventa più grande della vita stessa. Non è un caso che Revenge si inserisca in un panorama televisivo in cui l’anti-eroe è al centro della scena. Pensiamo a Walter White in Breaking Bad (ecco la spiegazione del finale della serie), che parte da un torto subito dal destino per intraprende una discesa agli inferi giustificata da un presunto “bene della famiglia”. O a Dexter Morgan, che traveste la sua sete di sangue con la maschera della giustizia. In tutti questi casi, la giustificazione morale è il pretesto che permette ai personaggi di abbracciare l’oscurità senza sensi di colpa immediati.
Emily si colloca in questa stessa linea: come Walter e Dexter, comincia con una causa “giusta”. Ma proprio come loro, perde per strada la purezza della missione. Non c’è più un bene superiore da salvare. C’è solo la necessità ossessiva di continuare, di non fermarsi. E se vogliamo guardare al cinema, Tarantino in Kill Bill ci aveva già mostrato una sposa assetata di vendetta, che attraversa il mondo intero pur di eliminare chi l’ha tradita. Ma se lì la vendetta era catartica, sanguinosa, esagerata fino a diventare liberatoria per lo spettatore, in Revenge non c’è mai catarsi. Non c’è mai un momento in cui il sangue lava via il dolore. C’è solo silenzio, solitudine, macerie.
Fino al finale di Revenge non si riconosce la vera vittima
È forse David Clarke, incastrato dai Grayson? I Grayson stessi, caduti sotto il piano spietato di Emily? O Emily, che pur di riscrivere la memoria del padre ha distrutto la propria vita? La verità è che Revenge non offre vincitori, solo sopravvissuti. Emily ottiene ciò che vuole, ma a prezzo della sua umanità. I Grayson pagano per i loro peccati, ma il loro crollo non restituisce davvero giustizia. Jack e Nolan sopravvivono, ma portano con sé le cicatrici di un viaggio che non hanno scelto.
La serie non concede mai la soddisfazione di un finale liberatorio. Di fatto, la storia ci ricorda che la rivalsa non finisce quando il nemico cade, ma continua a risuonare dentro chi l’ha portata avanti, come un’eco che non si spegne. Emily credeva che la sua prigione fosse la menzogna costruita attorno a suo padre. Ma la verità è che la sua vera prigione è stata la scelta di non lasciar andare. La vendetta l’ha resa potente, astuta, implacabile. Ma allo stesso tempo l’ha privata della possibilità di vivere davvero.

Emily non è mai libera
La guardiamo muoversi elegante tra sorrisi falsi e intrighi mortali, ma rimane sempre Amanda, quella bambina ferita che cerca disperatamente di cancellare il passato. Ma cancellare il passato non è possibile, lo si può solo riscrivere. E in questo tentativo lei ci si perde.
A tal proposito, lo fa con la lucidità di chi non cerca di darci lezioni morali, ma semplicemente di metterci davanti a uno specchio. Emily Thorne, dal suo canto, è la dimostrazione vivente che la vittoria più grande può coincidere con la perdita più totale. E forse, alla fine, questa è la vera tragedia di Revenge: non il crollo dei Grayson, ma la lenta e inesorabile scomparsa della piccola e innocente Amanda Clarke.



