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The Handmaid’s Tale 2×13: scoprire l’amore nel riflesso dell’altro

[…] scendevi come una vertigine
saltando gli scalini, e mi conducevi
oltre l’umido lillà nei tuoi possedimenti
al di là dello specchio

I’ll be your mirror è un singolo del 1966 realizzato dai Velvet Underground & Nico. Una canzone per certi versi antitetica rispetto alle altre produzioni della band ma amatissima dal leader di allora, Lou Reed. Parla di amore, di specchiarsi nell’altro e trovarvi un contrappunto. June in The Handmaid’s Tale la canticchia a sua figlia, la trasforma in una ninnananna protettiva e rassicurante. Sarò il tuo specchio / rifletterò quello che sei / nel caso non lo sapessi / sarò il vento, la pioggia e il tramonto / la luce alla tua porta / per mostrarti che sei a casa.

Nico amava Lou ma quella canzone non riusciva proprio a cantarla. Provarono e riprovarono: le parole uscivano sporche, roche, stridenti. Lou prese il braccio di Nico, la guardò. Lei pianse. “Non ci riesco”. “Un’ultima volta, e poi al diavolo tutto!”. Nico ricambiò lo sguardo e ripensò a quella notte di fine 1965 quando fissando Lou Reed gli aveva confessato, tremante: “Sarò il tuo specchio”. Iniziò a cantare. Quell’incisione sarebbe finita sui 45 giri di tutto il mondo.

The Handmaid’s Tale, finale di stagione. Lo specchio e l’amore.

June, Serena, Emily, Rita: sono tutte parimenti protagoniste. Sono volti diversi, a volte antitetici di donne che dominano il racconto. Donne che combattono, resistono, soffrono. Attorno a loro è uno specchio. Uno specchio che le riflette vicendevolmente. L’una si rivede nell’altra, si riconosce nella sua natura di donna e combattente. C’è sempre spazio, in tutte loro, per l’amore.The Handmaid's Tale

Un amore declinato in tutte le sue sfumature. Per amore Emily guida la resistenza, lotta, si oppone e fa perfino del male. Per amore, o per bisogno di esso, Serena ringhia, graffia, urla e mostra i denti. E nel tributo a questo stesso sentimento June racconta, dà voce alla sua disperazione. Per perpetrare l’amore. Per consacrare suo figlio al ricordo e farlo vivere nel tempo del racconto.

C’è un riflesso in ogni donna di The Handmaid’s Tale.

Un riflesso di madre, figlia, amante. Di donna. Non è semplicemente un ruolo. Non si tratta di quella categorizzazione imposta da Gilead, non è “l’uniforme: moglie, ancella, marta, madre, figlia, fidanzata, regina, stronza, criminale, peccatrice, eretica, prigioniera”. No. È l’essenza del loro essere.

Ma l’amore nell’animo di ogni donna si riflette in modo diverso. Lo specchio, come sappiamo, può distorcere l’immagine, alterarla, offuscare la realtà. Così Serena è mossa da un disperato bisogno di amare ed essere amata. In nome di questa tensione disperata è disposta a tutto. Non ha scrupolo a ferire June, a calpestarla. Sarebbe perfino propensa ad andare contro il bene di quella bambina che chiama col nome di figlia.

Cosa vuoi fare, tenerla rinchiusa qui come un’orchidea?”. Gilead vorrebbe rinchiudere e conchiudere Dio. Vorrebbe dominarlo, renderlo comprensibile, relegarlo tra quattro pareti. Farne un idolo da adorare quando vuole. E strumentalizzare a piacimento. La stessa sorte il regime ha immaginato per l’uomo: vorrebbe dividerlo in categorie, classificarlo. “Tutto ciò che lasciamo è l’uniforme: moglie, ancella, marta, madre, figlia, fidanzata, regina, stronza, criminale, peccatrice, eretica, prigioniera”. Perché “Abbiamo tutti un ruolo da svolgere”.

Serena risponde a questa convinzione. Il suo è un amore distorto e morboso.

In Gilead Dio è senza Parola. E ogni sentimento è programmato, costruito. Fittizio. Posticcio come un matrimonio combinato e un figlio surrogato. Dio è Amore, abbiamo ricordato nella scorsa recensione di The Handmaid’s Tale, ma l’amore autentico è bandito da Gilead. Quando prova a emergere, quando tenuamente ma strenuamente si fa largo tra le pieghe di un mondo grigio e insensibile viene reciso, spezzato sul nascere. Come nel caso di Eden, di quella ragazza indottrinata alla distorta morale di Gilead eppure capace di sacrificarsi come “martire”, testimone del vero Amore.The Handmaid's Tale

Cos’è che l’ha guidata? Cosa ha permesso all’Amore vero di vincere qualunque coercizione smembrando l’uniforme di “devota” al regime? La Parola. Eden legge la Parola di Dio, studia, inserisce appunti, macchia e imbratta l’asettico e vuoto biancore di pagine proibite. “Lei cercava di comprendere Dio”, afferma June. E quella ricerca la porta a scoprire che lungo tutta la storia dell’umanità, quella storia fatta di violenze, soprusi e vendette, Dio si manifesta in un solo caso. Non è nel “vento impetuoso e gagliardo”, nel “terremoto” o nel “fuoco”. Ma in una “voce di sottile silenzio”.

Dio è nella debolezza, nella fragilità. Nel silenzio.

Dio, Eden lo comprende, è nell’Amore. Nell’incertezza di un sentimento che accomuna l’uomo a Dio. Che lega l’uomo all’uomo. Per questo Gilead nega l’istruzione. Perché dalla conoscenza passa la consapevolezza. Dalla consapevolezza la ribellione. E così anche Serena alla fine è costretta a guardarsi allo specchio e a rendersi conto che davanti a lei è un riflesso distorto d’amore.

E la donna ha la forza di riparare le crepe della sua visione. Di realizzare, mossa – ora sì – da un amore viscerale e autentico che “Lei non può leggere la Sua Parola”. Quella sua figlia tanto voluta sarà privata della libertà. Il distacco è doloroso e difficile. Ma Serena ha la forza di fare ciò che è giusto. Di rispondere a quell’amore che non consiste nel pretendere ma nel donare. Quell’amore caritatevole che Eden cita nello scorso episodio di The Handmaid’s Tale.

Così la benedizione di Dio all’uomo si trasforma nella benedizione di una madre per sua figlia.

Di Serena per Nicole. “Il Signore ti protegga, il Signore faccia risplendere per te il Suo volto e ti faccia grazia, il Signore rivolga a te il Suo volto misericordioso e ti conceda pace”. Il volto di Dio, il volto dell’Amore, si riflette così in Serena come uno specchio che dà vita. E Serena diventa madre proprio in quell’istante. Nel momento in cui sacrifica il suo bisogno per quello della bambina. Nell’attimo in cui si consacra al vero amore. Così come June che rinunciando alla libertà diventa dopo Eden e Serena, e per l’ennesima volta, martire dell’amore. Madre di un sentimento che non muore mai.The Handmaid's Tale

Come ogni protagonista di The Handmaid’s Tale anche noi finiamo per guardarci allo specchio. Finiamo per rispecchiarci in quelle sofferenze, lotte, dolori e perfino egoismi. È questa la forza del racconto. Di una storia che si fa emblema dell’umanità. Di quella contraddittoria, dannata ma profondissima umanità che cerca Dio e scopre di averlo trovato nell’amore.

Viviamo guardando in uno specchio.

Siamo riflessi di noi stessi nelle nostre debolezze e nei nostri vizi. Siamo ombre distorte di qualcosa che vorremmo ma non riusciamo a essere. Qualcosa a cui tendiamo disperatamente. Vediamo in maniera confusa. Ma come Serena, June, Rita ed Eden possiamo trovare nuova luce in un riverbero. In uno sguardo che da riflessivo diventa propositivo. Nella finale volontà di diventare riflesso d’amore per l’altro e permettere che l’altro si rispecchi in noi. Nell’affermare, in conclusione, con slancio d’amore: “Io sarò il tuo specchio”.

Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.

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