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Teheran – La Recensione della seconda stagione, ora su Apple Tv+

Attenzione! Se non avete visto Teheran proseguendo nella lettura incapperete in qualche spoiler.

Giovedì 16 giugno scorso Apple Tv+ ha trasmesso l’ultima puntata della seconda stagione di Teheran, la serie di spionaggio israeliana creata da Dana Eden, Maor Kohn e Moshe Zonder, quest’ultimo già sceneggiatore dell’impressionante Fauda, altra serie di successo.
Sì, perché Teheran, con i suoi sedici episodi spalmati su due stagioni, è un successo di pubblico e di critica affermato che ha già vinto un Emmy come miglior serie drammatica internazionale.

La storia narra le vicende al cardiopalma di Tamar Rabinyan, interpretata da Niv Sultan (vincitrice per questo ruolo di un Award of the Israeli Television Academy), una giovane ebrea nata in Iran ma cresciuta in Israele. Tamar è un’agente del Mossad (agenzia di intelligence israeliana) che ha il compito di infiltrarsi sotto copertura a Teheran, la capitale dell’Iran, per disattivare le difese aeree iraniane in modo da permettere all’aviazione militare israeliana di bombardare e rendere inoffensivo un reattore nucleare.

Quando arriva a Teheran Tamar assume l’identità di una dipendente della compagnia elettrica nazionale sfruttando l’incredibile somiglianza. Recatasi sul posto di lavoro della sua sosia e in procinto di collegarsi via informatica per hackerare il sistema radar iraniano permettendo così l’incursione israeliana qualcosa va storto. Tamar, infatti, viene sorpresa dal capo della sua sosia che, scoperto l’inganno tenta di violentarla. L’agente del Mossad durante la colluttazione lo uccide ed è costretta a fuggire abbandonando, per il momento, la missione.
Tamar è ligia al dovere, però, e decide di riorganizzarsi per portare a termine il suo dovere.

La seconda stagione ritroviamo Tamar ancora bloccata nella capitale iraniana, uno dei luoghi più terrificanti e pericolosi per un agente del Mossad. Pur ricca di scene d’azione, nella seconda stagione l’impressione è che gli sceneggiatori abbiano deciso di puntare più sulla parte introspettiva dei personaggi. Tamar, infatti, vive sulla sua pelle l’incredibile responsabilità di dover servire il suo paese e, al tempo stesso, cercare di proteggere parte della sua famiglia a Teheran evitando di metterla oltremodo nei guai.
Tamar è ostinata e in questo somiglia un po’ a tutte le eroine delle spy stories televisive e cinematografiche. Malgrado situazioni sempre più difficoltose e un continuo procedere in salita tutta la caparbietà della giovane hacker viene fuori accompagnata dall’insistente desiderio di non potersi permettere di fallire vista la posta in gioco.

Nella seconda stagione l’obiettivo di Tamar è, inizialmente, quello di mettersi in salvo. Poi si trasforma in una missione di salvataggio e infine una missione di vendetta personale. Malgrado questa tensione operativa crescente riescono a emergere le caratteristiche dei personaggi dando così l’occasione di mostrarne il lato umano e non soltanto la spietatezza nel dover ultimare l’incarico ricevuto.
Accanto a Tamar, infatti, compaiono diversi personaggi molto ben caratterizzati. Perché è molto facile tifare per lei nella sua lotta per abbattere un regime totalitario che usa la tortura e le impiccagioni pubbliche come deterrente per mantenere la popolazione alla sottomissione. Molto meno, invece, è riuscire a empatizzare con l’avversario. Così dall’altra parte della barricata troviamo Faraz Kamali, interpretato da Shaum Toub, già noto per esser stato Yinsen in Iron Man 1 e 3, Terence in Snowpiercer ma soprattutto Majid Javadi in Homeland, dove interpretava il capo dell’intelligence iraniana che viene reclutato da Saul Berenson.
Proprio il personaggio di Faraz è la dimostrazione di quanto agli autori importi di andare oltre certi cliché seriali.

Teheran

Faraz è un importante funzionario delle Guardie della Rivoluzione Islamica, un corpo militare che si occupa, con metodi brutali e violenti, di controllare la sicurezza interna. È lo strumento di repressione del governo iraniano e in questo Faraz è perfetto. Per puro caso scopre della presenza di un agente del Mossad a Teheran e decide, perché suo dovere, di dargli la caccia abbandonando la moglie, in procinto di partire per Parigi, poiché gravemente malata.
Faraz, dolce e al tempo stesso spietato, è un funzionario potente ma non abbastanza perché incapace di evitare di avere a che fare con la stupidità dei suoi colleghi e superiori. Dentro di lui covano orgoglio e rabbia, frustrazione ed esasperazione. La sua ostinazione nel voler trovare a tutti i costi Tamar e chi l’aiuta risulta irreprensibile e, paradossalmente, ce lo fa piacere. Molto. Persino più della protagonista.

Tamar e Faraz, seppur dalla distanza, non si risparmiano colpi sotto la cintura. Arroccati su due fronti diversi e con ruoli opposti, una la preda, l’altro il cacciatore, i due personaggi hanno qualcosa che li accomuna e li rende molto vicini tra loro: la loro cocciutaggine e il fatto che la missione sia, per entrambi, un fatto personale che li porta a lavorare al di fuori dei protocolli stabiliti dalle rispettive gerarchie.
Accanto a loro, in questa avvincente seconda stagione, spiccano Milad, il compagno di Tamar, interpretato da Shervin Alenabi e Marjan Montazeri, un alto ufficiale del Mossad, interpretata dalla strepitosa Glenn Close. Mentre il primo risulta essere la classica, inetta zavorra capace solo di dare problemi alla protagonista, la seconda appare come una sorta di divinità dell’intelligence, dotata di grande carisma e forte potere di persuasione. Il personaggio di Glenn Close è luce e ombra, capace di sbrogliare e ingarbugliare le matasse e con un segreto e una malevolenza che, com’è ovvio che sia, pesano di più ogni puntata.

Teheran

Teheran è stata ingiustamente paragonata a Homeland quando della pluripremiata serie americana non ha nulla. E non in senso negativo. Il prodotto israeliano è uno spettacolo unico nel suo genere che, al massimo, potrebbe essere avvicinato a Fauda o Prisoners of War, opere connazionali. Nella sceneggiatura di Teheran si respira un’ansia del tutto particolare, che potrebbe richiamare anche a The Americans per via della vita sotto copertura. La storia generale risulta carica di una emozione particolare. Come in Fauda, infatti, è chiara la necessità di organizzarsi per sopravvivere, di dover fare qualcosa per non venire annientati. Mentre Homeland è una serie verosimile Teheran è una serie con venature politico-sociali concrete, reali, che raccontano le tensioni tra Israele e Iran e la rendono, appunto, unica.

Seppure in certi frangenti si potrebbe provare l’impressione di avere dei déjà-vu (ma in fin dei conti non lo sono un po’ tutte le storie?)Teheran racconta, comunque sempre in maniera romanzata e con gli occhi di parte, un paese a noi lontano, sconosciuto. Un paese pieno di contraddizioni, diviso tra chi segue il regime, i più giovani, e chi cerca di cambiare le cose, gli anziani che hanno conosciuto un paese più simile al nostro Occidente prima della Rivoluzione Islamica del 1979.

Nella seconda stagione di Teheran, attraverso il ritrovamento, l’assimilazione e poi l’abbandono di legami e radici, non assistiamo più alla semplice lotta tra il Bene e il Male. Il dualismo viene superato da un insieme di complesse, quanto fragili, architetture che rispecchiano quei timori e quelle paure nemmeno poi tanto irrazionali che aleggiano perennemente in Medioriente.
La serie targata Apple Tv+ è ricca di tensione, molto suggestiva e capace di offrire intelligenti spunti di riflessione, soprattutto culturali. È un dramma avvincente che dipinge con eleganti sfumature il ritratto di un paese e della sua gente troppo spesso rappresentati in quella fastidiosa maniera caricaturale.

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