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Fiori sopra l’Inferno – La Recensione: una fiction intrigante, ma non impeccabile

Carlo Carlei dirige Fiori sopra l’Inferno – I Casi di Teressa Battaglia, la nuova fiction Rai con Elena Sofia Ricci nei panni di Teresa Battaglia: buerbera commissaria della Polizia sulle tracce di uno spietato serial killer. La fiction, andata in onda a partire dal 13 febbraio su Rai 1, è tratta dal romanzo omonimo di Ilaria Tuti che ha appassionato moltissimi lettori, trepidanti alla notizia di una trasposizione televisiva delle vicende.

Partiamo dal principio: si tratta di una fiction Rai che presenta tutte le caratteristiche di una fiction Rai. Fatta eccezione per alcuni casi, gli attori non brillano per particolare talento attoriale, dandoci talvolta l’impressione di vedere una sorta di recita scolastica. Se riusciamo a chiudere un occhio con determinati attori magari ancora inesperti, Fiori sopra l’Inferno diventa una bellissima fiction che, in fin dei conti, vi consiglio di vedere su Rai Play.

Se riuscite a non fermarvi al primo episodio vi appassionerete di certo alle vicende di Fiori sopra l’Inferno – I casi di Teresa Battaglia.

Fiori Sopra l’Inferno – I Casi di Teresa Battaglia (640×360)

La trama merita ed è appassionante, anche se il colpo di scena finale è piuttosto prevedibile, ma questo non rovina la visione generale che risulta godibile.

La vera protagonista non è neanche Elena Sofia Ricci, ma la natura che fa da cornice alle vicende. Nei sei episodi che compongono la serie ci immergiamo negli scenari incontaminati di Travenì, piccolo paese immaginario vicino Udine, immerso tra misteri e neve. La scrittrice Ilaria Tuti si è ispirata ai luoghi della sua infanzia, essendo nata e cresciuta in Friuli-Venezia Giulia. Proprio in Friuli si sono svolte le riprese, a Tarvisio, piccolo paese tra le Dolomiti che fareste bene a segnare nella vostra bucket list perché è di una bellezza disarmante.

Sono stati davvero bravi a intersecare la promozione dei luoghi con il mood generale della serie. Ho apprezzato anche l’intramezzo della festa popolare, con fiaccole e maschere inquietanti che ci restituiscono quel tiepido benessere delle tradizioni che si tramandano di generazione in generazione. Solo chi è nato e cresciuto in un piccolo paesino di provincia può capire la verità di fondo sull’importanza di queste feste popolari che uniscono l’intera comunità anche in momenti difficili.

Si tratta dello scenario perfetto per una storia tanto violenta quanto commovente. Gli schemi di base sono tipici dei gialli polizieschi: troviamo il genio intuitivo, i simpatici aiutanti e un profilo complesso e romanzato di serial killer.

Il genio intuitivo in questo caso è proprio il personaggio di Elena Sofia Ricci. La commisssaria ha un approccio immersivo riguardo ai casi che segue, spesso tralasciando la sua stessa salute che dal principio ci viene presentata come claudicante. Non le si può dire nulla, spesso è antipatica e schietta ma chi lavora con lei non può fare a meno di stimarla per il suo intuito e la sua capacità di entrare nella mente del killer. Piano piano, inoltre, scaviamo più a fondo nel personaggio che lascia trapelare diverse sfumature e che si rivela profondamente fragile e impaurito, consapevole che la vita è un costante equilibrio instabile.

Di lei avremmo voluto sapere qualcosa di più, nonostante mi abbia colpito negativamente la versione del diabete che ci viene mostrata nella serie tv. È chiaro che il malessere che afflige Teresa Battaglia non riguarda solo il diabete, ma restituirci l’immagine di una donna che deve fermarsi in mezzo alla strada per misurarsi la glicemia con l’aghetto è qualcosa di superato da ormai molto tempo. Una donna che tiene così tanto alla sua salute e che è sempre in movimento dovrebbe sapere che al giorno d’oggi esistono moltissimi strumenti tecnologici in grado di minimizzare il disagio e la pericolosità del diabete.

Al suo fianco ci sono il giovane ispettore Massimo Marini (Giuseppe Spata) e Giuseppe Parisi (Gianluca Gobbi). Il primo si rivela dedito al lavoro e desideroso di entrare nelle grazie della commissaria, si preoccupa della sua salute anche quando lei continua a respingerlo e, alla fine, riesce davvero a farsi volere bene (oltre che a salvarle la vita). Il personaggio è standard, chiaramente strutturato per far innamorare un paio di spettatori, soprattutto se si considera il fatto che è chiaramente di bell’aspetto, intelligente e dai modi gentili. Insomma, l’uomo perfetto se non fosse che non riesce a portare a termine neanche un appuntamento galante senza una chiamata di emergenza e qualche caccia al killer non preventivata. Perlomeno da questa esperienza abbiamo imparato tutti che non bisogna andare tra le Dolomiti con i mocassini.

La trama in sè di Fiori sopra l’Inferno è davvero intrigante.

Fiori Sopra l’Inferno – I Casi di Teresa Battaglia (640×360)

Non avendo letto i romanzi ed essendo fan dei gialli polizieschi, non nego che mi è venuta davvero la curiosità di leggere il libro (anche perché in quel caso non avrei neanche il problema di attori e attrici che mi ricordano Corinna e Stanis di Boris). Il killer in sè si pone in conflitto con le canoniche categorizzazioni tra bene e male, giusto e sbagliato. Alla base degli atti violenti c’è uno sfondo morale, per qualcuno a cui è stata insegnata solo la violenza. Le emozioni diventano proprio fiori sopra un inferno subito senza alcuna colpa. Teresa Battaglia ci ricorda che i bambini sono sacri, e che ogni giorno tra le mura domestiche può nascondersi un piccolo inferno.

Il piccolo paese di provincia diviene un microuniverso in cui vengono a galla brutture, maschere e incubi. Come sempre il dito viene puntato contro le stesse persone innocenti, mentre i veri mostri si nascondono dietro indifferenza e abitudine.

Qual è il confine tra assassino e vittima? Tra scienza e tortura? Il finale di Fiori Sopra l’Inferno ci porta inevitabilmente a porci tutte queste domande, lasciandoci con qualcosa di cui parlare e un sapore agrodolce in bocca, pensando a quanto l’uomo riesca a essere crudele nascondendosi dietro un camice bianco e una cravatta.