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Ramy: la religione al centro e di lato

Nel 2020, la settantasettesima edizione dei Golden Globe premiava Ramy Youssef come Best Actor in a Television Series – Musical or Comedy per la serie tv di Hulu Ramy. Il riconoscimento ha sorpreso chi non si era mai approcciato al titolo ma, per chi si era già avvicinato al racconto la nomina e il successivo trionfo sono sembrati sicuramente più meritati e dotati di cognizione di causa. Ramy nasce proprio dalla mente dell’attore, comico e sceneggiatore americano di origini egiziane Ramy Youssef che, oltre ad esserne produttore e ideatore, ne è anche protagonista.
Parlare di multiculturalismo, fede e valori religiosi non è sempre particolarmente semplice nel globalizzato mondo in cui viviamo attualmente, specialmente se per farlo si impiega un medium come quello televisivo. Lo sconfinato panorama seriale odierno sembra aver toccato in maniera più o meno generale buona parte delle sfaccettature del quotidiano trattabili, ma sono pochi i prodotti occidentali che si sono approcciati alla fede con la delicata schiettezza con cui Youssef ha tentato di trasporre lo spaccato routinario di un giovane millennial disorientato. Far convergere audience eterogenee in prodotti trattanti tematiche potenzialmente controversie come quelle connesse al rapporto più intimo che il singolo ha con la spiritualità è un intento non facile da realizzare, ma Ramy è riuscito a portare a casa un risultato più che positivo.

Lo show offre un ritratto satirico e dolceamaro, a tratti autobiografico, di un giovane musulmano nato da genitori migrati negli Stati Uniti. Cresciuto nel New Jersey, Ramy Hassan conduce una vita non propriamente fedele ai principi dettati dal suo credo e dalla sua tradizionale (non-così-tradizionale) famiglia. Nelle due attuali stagioni (da dieci episodi ciascuna), il conflitto interiore che divide il personaggio tra la realtà mondana occidentale e la propria fede con radici e valori non troppo solidi da origine ad un viaggio fisico e spirituale che conduce il protagonista, e noi con lui, verso un nuovo tortuoso cammino.

Ramy si muove tra comedy e drama, i due generi si scontrano ed incontrano grazie proprio al continuo dualismo offerto dal racconto e dalla perenne contraddittorietà del protagonista. Nella prima stagione, Hassan è un musulmano tutt’altro che brillante. Si divide tra feste, piaceri e sesso extra-coniugale, ma è comunque dotato di una rilevante dose di coscienza che non lo lascia vivere a cuor sereno la realtà della periferia statunitense. La voglia di vivere alla giornata fa attrito con l’altrettanto forte desiderio di creare una propria famiglia e condurre una vita sana, ed è da ciò che il creatore trae spunto per ironizzare ed esasperare queste due rette che difficilmente sembrano scorrere in parallelo. Ramy è un giovane mussulmano di seconda generazione che non riesce a integrarsi pienamente in nessuno dei due contesti in cui si inserisce sin dalla nascita. E’ un antieroe dalle azioni e scelte discutibili e autodistruttive che riflettono il contesto e le convenzioni sociali americane in cui si è formato e che si oppongono ai valori della cultura mussulmana che avrebbe dovuto assimilare. Non è in grado di prendere una posizione definita e gestire le due realtà che in lui convivono in modo tutt’altro che conciliato.

Il protagonista tenta di seguire il codice morale e culturale che sin da piccolo ha percepito come parte della propria identità. Ovviamente però, soprattutto nello scenario popolare occidentale determinati valori e stili di vita faticano a rimanere saldi e/o sembrano piuttosto datati ed opinabili. Il continuo contrasto e scontro che esasperano il povero personaggio non fanno altro che renderlo un disadattato per la quale è impossibile non fare il tifo. Tra l’altro, con ciò Ramy si fa simbolo e riflesso di un’intera generazione culturale, quella dei figli di due terre spesso lontane.
Una narrazione onesta e non-stereotipata di ciò che può voler dire essere un mussulmano di nuova generazione in una realtà occidentale e globalizzata. La società e il suo progressivo mutamento vanno di fretta, il giovane Ramy non riesce a stare al passo. Smorzato da situazioni esagerate e autoironiche, Youssef ci racconta celatamente lo svilente tentativo di conciliare mondi contrastanti e trovare una propria collocazione in una realtà in continua e rapida crescita.

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Cosa può voler dire essere un giovane mussulmano negli Stati Uniti del ventunesimo secolo? Ramy ce ne parla onestamente e dettagliatamente, tra razzismo, violenza, stereotipi e Muslim ban (episodio 01×04 in particolare).

Nella serie tv, la religione è prevalentemente percepita dal protagonista come elemento integrante del proprio status e della propria identità come individuo e membro della società.
Proprio a fronte del tradizionale contesto familiare in cui è cresciuto, il protagonista percepisce un incalzante pressione sulla sua condizione e sul suo futuro. Ramy non è disposto a rinunciare al proprio retaggio culturale, ma il conflitto con gli eccessi occidentali lo scuote dentro e provoca una crisi interiore che non riuscirà più ad ignorare, e che lo porterà fino in Egitto. La decisione di intraprendere questo viaggio alla riscoperta di sé stesso e delle proprie radici è il centro pulsante della serie tv. Le scene conclusive del primo ciclo di episodi ambientate in oriente portano lo show al suo apice, proponendo una raffigurazione delicata e autentica di una realtà lontana. In questo contesto, la religione – che tanto sembra un pretesto – diviene opportunità di vita e narrativa.

Nel costante tentativo trovare una propria dimensione nella retorica occidentale fortemente interiorizzata nell’immaginario comune, di definirsi come membro della società e mantenere salde le proprie radici come parte della propria identità, Ramy è confuso e perso. Cerca rifugio nella fede, alle quali regole però non riesce a aderire completamente; cerca rifugio nei piaceri della vita occidentale, in cui è limitato dalla forte morale religiosa e culturale che lo frena. È fuori luogo negli Stati Uniti e inadeguato in Egitto.

Nel ventunesimo secolo, la rappresentazione mediatica e audiovisiva della religione e il rapporto con essa è sicuramente sempre più complessa e rara. La relazione che il singolo instaura con la propria spiritualità è personale e difficile da articolare concretamente, ma Youssef riesce a portare in scena una storia che sa toccare in modo chiaro e sincero una pluralità di aspetti che da tale tema scaturiscono. La scissione interiore di Ramy consente l’identificazione in esso; la dettagliata generalità con la quale il singolo si rapporta a fatica con la fede in un 2020 di consumi e libertà permette allo spettatore di riconoscersi sullo schermo, divenendo veicolo e immagine figurata di qualcosa di ancora più grande.

Nello show, la fede è sicuramente un elemento preponderante con cui l’autore e attore gioca a proprio piacere a livello costruttivo. In alcuni episodi è importante oggetto e soggetto narrativo, in altri lascia spazio ad ulteriori caratteri ad essa ad ogni modo connessi. Uno dei temi più antichi, da cui riflessioni e argomentazioni derivano e si diramano inevitabilmente in maniera pervasiva. In Ramy la religione è elemento un culturale e identitario che permea anche le dinamiche che sembrano da essa più distanti. Pur non essendo propriamente seguace dei dettami mussulmani, Hassan non riesce a rinunciare alla fede in quanto parte della propria eredità culturale e della sua formazione e crescita in quanto individuo.

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Nella serie tv, i personaggi secondari sono altrettanti funzionali alla trama e al dispiegarsi del racconto. Attraverso gli episodi focalizzati su una singola figura vengono illustrate ulteriori sfumature della tematica prevalentemente trattata. La fede è un filo conduttore nel corso delle puntate, ma la famiglia è allo stesso modo centrale in Ramy, proponendo focus specifici sul nucleo degli Hassan e illustrando come anche i singoli familiari del protagonista fatichino a conciliare le due realtà.
La sorella minore Dena, ad esempio, è altrettanto vittima delle aspettative e degli standard dettati dalle consuetudini impartite dai genitori e dal proprio bagaglio culturale. La figura di Dena è strumentale a veicolare una critica alla condizione femminile nel mondo musulmano. Infatti, nonostante sia laureata, a differenza del fratello, la giovane è frustrata dalla costante disparità di trattamento che i genitori riservano ai due figli. Super-protettivi e pervenuti nei confronti della ragazza, si mostrano molto più permissivi ed accomodanti col protagonista.

Grazie a ciò, viene messo in luce quanto in realtà Ramy non sia l’unico in famiglia con problemi e a percepire le aspettative e i pregiudizi dettati da entrambi gli ambienti, occidentale e orientale. Così facendo, pur proponendo un focus principale sulla singola figura di un millennial alla ricerca della propria identità e strada, nel corso della ironica narrazione vengono portati a galla i problemi e le peculiarità di un’intera comunità, in particolare in relazione allo status di minoranza che questa è costretta a vivere nella maggior parte dei contesti nazionali occidentali.
La raffinatezza tecnica che accompagna la narrazione è efficace a comporre le atmosfere e ambientazioni, sia quelle spirituali che quelle più viziate, rendendo Ramy una perla di rara bellezza. Uno show che gioca sui dualismi, che non si prende troppo sul serio e che cerca di dare voce corretta e concreta a nicchie non sempre sufficientemente rappresentate.

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