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Bello Ramy, ma mi manca Ramy

Attenzione: L’articolo può contenere spoiler su Ramy.

Il piccolo grande successo americano targato Hulu Ramy è tornato con un’inedita terza stagione disponibile tutta in un’unica soluzione dal 30 settembre negli Stati Uniti. La serie tv creata, diretta e interpretata dal comico e sceneggiatore Ramy Youssef si inserisce ancora una volta nel panorama mediale brillantemente, dimostrando di avere tutte le carte in regola per divenire un cult seriale nel mondo delle dramedy introspettive e ironiche. Ramy è il dolceamaro racconto di un giovane mussulmano di seconda generazione che si districa nella vita di un New Jersey capitalizzato e tanto lontano dai valori a cui si sente legato e lontano allo stesso tempo. Il tumulto che scinde interiormente il millennial tra una vita rispettosa dei dettami religiosi e una realtà corrotta fatta di vizi e piaceri comuni e occidentali è proposto nel corso delle tre stagioni attualmente disponibili su Hulu e in Italia su Starz Play. Il tormento interiore di Ramy Hassan e il suo conflittuale rapporto con la fede mussulmana sono il motore portante della serie tv che si ibrida sempre di più col genere drammatico. Infatti, il desiderio del giovane di conciliare le due realtà e la difficoltà nel sentirsi pienamente parte di almeno una delle due sono il punto di partenza dell’aspra storia di ricerca del sé.

Se nella prima stagione Ramy era il protagonista indiscusso dell’omonimo show Hulu, la seconda aveva già di per sé rappresentato un capitolo di transizione, aprendo la narrazione a una maggior coralità. Con la terza stagione, Ramy diventa ufficialmente una serie tv corale, dedicando maggior attenzione allo sviluppo e all’approfondimento delle dinamiche inter e intra personali del nucleo di individui che circondano il protagonista: il padre Farouk, la madre Maysa, la sorella Dena, lo zio Naseem, gli amici Ahmed, Mo e Steve. Il viaggio spirituale e personale di Ramy passa in secondo piano, mentre ciascuno dei dieci episodi della terza stagione dedica spazio a nuove storie. Infatti, mentre in precedenza la serie tv era il manifesto del viaggio (autobiografico e) individuale di un giovane uomo di origini musulmane nella periferia degli Stati Uniti, con il nuovo formato, Ramy si apre a una possibilità di direzioni narrative maggiore. Così facendo, la serie tv sposa una causa più grande: può tentare di rappresentare sulla televisione americana (e internazionale) i diversi conflitti personali che un gruppo di musulmani di diverse età, condizioni socioeconomiche e background personali possono vivere in veste di immigrati nel Nord America.

Dalla celata omosessualità dello zio Naseem, alle pressioni sociali, familiari e accademiche sull’ambiziosa sorella Dena e al suo percorso di psicoterapia, al disagio che affligge i genitori Maysa e Farouk che dopo molti anni fanno ancora fatica a integrarsi in un contesto occidentale e persistono nel sostenere i valori datati di un tempo. Ramy rappresenta il disagio e il malessere che individui differenti possono vivere, mentre continua a muoversi sullo sfondo il percorso spirituale e di ricerca personale del protagonista, che per metà stagione sembra quasi una guest star vista la quasi totale assenza dallo schermo.

Nonostante le storyline personali dei nuovi protagonisti di Ramy, ora non più solo spalle e personaggi ricorrenti, siano emotivamente coinvolgenti, in qualche modo mi manca Ramy.

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Maysa, Dena e Farouk Hassan (640×391)

La terza stagione non fa altro che confermare la spietata e diretta storia della serie tv che ci racconta con cruda introspezione le difficoltà intime che il conflitto tra mondi può far sorgere in ciascuno dei suoi comuni protagonisti. Eppure, il coinvolgente viaggio oscuro che porta Ramy a trionfare e fallire ciclicamente non è ancora giunto al termine. Ragione per la quale, l’assenza dell’antieroe alla Bojack Horseman di Netflix si fa ancora sentire. Probabilmente per la precocità della scelta narrativa.

Ramy è uno show oscuro, drammatico alleggerito dalle esagerazioni umoristiche e assurde del caso (si pensi a esempio ai fratelli Halal nella terza stagione), eppure col passare degli episodi l’alone grigio che lo circonda si espande. La dissonanza cognitiva che affligge i personaggi non fa che rendere la serie tv Hulu sempre più una Bojack Horseman non animata e proiettata in un contesto differente. Ramy Hassan ha molto di Bojack Horseman in sé: è un antieroe per cui odiamo fare il tifo, ma che finiamo solitamente per sostenere e seguire nel suo percorso di vulnerabilità in cui finisce per essere sempre più miserabile. Ramy è miserabile, e ciascuno degli individui che animano la sua esistenza è miserabile a modo suo. Le scelte sbagliate del passato e del presente non fanno altro che aumentare l’eterna insoddisfazione provata. Nello specifico, Ramy tenta in tutti i modi di essere una buona persona, di inseguire la beata spiritualità, di essere migliore. Ma è patologicamente irrecuperabile: è egoista, senza speranza ed egocentrico. E così sono anche gli individui che lo circondano una volta scoperti i lati celati e intimi nel corso della terza stagione. Ma Ramy è il peggiore di tutti. Ogni qual volta compie un passo in avanti, sembra migliorato o sulla giusta strada, Hassan ricade in una serie di azioni e scelte moralmente discutibili che ridefiniscono il suo ruolo di mussulmano e membro di una comunità e della società stessa. Tutto ciò fino al punto di toccare il fondo.

Dopo la fine della seconda stagione, Ramy Hassan ha toccato il fondo e fa fatica a ripartire.

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Ramy (640×403)

Nella terza stagione, Ramy non ha più nulla da perdere, con la conclusione del secondo capitolo ha perso sé stesso. Il blackout totale della sua persona e della sua percezione lo smarriscono, anche sullo schermo. Ed è così che Ramy passa in secondo piano. Il tormentato percorso spirituale e umano del protagonista viene messo in pausa per proporci nuovi punti di vista e tumulti individuali di soggetti a esso simili e vicini. Nella vita è bene rallentare, tentare di fermarsi per osservare il quadro generale, ma a patto che il personaggio possa proseguire la sua ascesa o discesa fino a un climax totale della sua esistenza.

La terza stagione realizzata ancora una volta da Ramy Youssef per Hulu è ancora più drammatica e controversa. La direzione sempre meno comedy e sempre più orientata verso introspezione e disagio personale alla Bojack Horseman si fanno sentire in un racconto che conferma ancora una volta la sua eccellente struttura narrativa in grado di inglobare una storia fatta di scissione, fede, controversia e crisi. Crisi identitaria, religiosa, sentimentale, emotiva, accademica, professionale, e chi più ne ha più ne metta. Ramy si riafferma a dramedy rivoluzionaria in grado di scardinare, con una narrazione dolceamara, le certezze di ciascuno. Anche con il formato corale, la serie tv Hulu riesce nei suoi intenti comunicativi e introspettivi. Nonostante mi manchi molto il viscerale cammino di redenzione e regressione di un tormentato protagonista ormai simbolo occidentale della continua scissione personale e umana di molti individui, non soltanto di quelli ancorati a una speranza e fede religiosa. Proprio per questo, pur rimarcando la necessità di una storia collettiva e universale come quella che coinvolge i nuovi protagonisti dello show Hulu, a me manca Ramy. In questo nuovo capitolo ho percepito l’assenza del vero antieroe traghettatore della serie tv. L’evoluzione-involuzione di Ramy Youssef e Hassan è ancora in corso, e la dipendenza per le trame contorte e irrisolte nutrono senza sosta la mia emotività bisognosa di spiare ancora per un po’ il tormento personale di un inetto come molti che è ancora alla forte ricerca di un senso e di una speranza.

A proposito di Ramy e Bojack Horseman: La classifica delle 5 puntate più struggenti di BoJack Horseman