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Vorrei poter dire che è stato difficile individuare la miglior stagione di Pretty Little Liars per poterle dare più credito. Ma la verità è un’altra. C’è solo una stagione che può essere considerata la migliore. Solo una che guarda le altre dall’alto verso il basso. Parlo della prima.

La prima stagione di Pretty Little Liars è ben impressa nella mia memoria. È chiara, mentre le altre sono un’accozzaglia di ricordi sfocati e confusi. Il motivo di tale confusione è da ricercarsi nella debolezza della trama, troppo debole e piena di buchi impossibili da colmare. Col tempo, c’è da dire, le cose non sono migliorate. Alla follia di una serie sempre più mainstream si è aggiunta l’assurdità di scelte di regia troppo trash. La credibilità che Pretty Little Liars si era costruita nella prima stagione è stata devastata e distrutta nelle stagioni successive.

Pretty Little Liars

Facciamo un piccolo passo indietro, voglio raccontarvi come e perché ho cominciato a guardare questa serie tv. Era un’estate molto calda e avevo finito qualunque tipo di impegno scolastico. Cercavo disperatamente qualcosa con cui colmare il mio tempo libero e, in campeggio, lontana dal mondo, parlare di televisione o serie tv era come sperare che nel 2015 andassimo davvero in giro con scarpe che si autoallacciano e skateboard volanti, come immaginato in Ritorno al Futuro.

Perciò, in una afosa mattinata di giugno, mi recai in una vecchia libreria, una di quelle che vedi nei film, stretta ma colma di libri e colorata tanto da essere un orgasmo per gli occhi. Nella sezione “Ragazzi”, tra i vari titoli, mi rapii  quel “Giovani, carine e bugiarde – Le bugie hanno le gambe bellissime“. Il mio cuore di adolescente cominciò a battere e lo acquistai immediatamente.

Mi immersi nella lettura di quella storia e la divorai. Presto scoprii, mentre cercavo il secondo capitolo, che aveva da poco fatto il suo debutto una serie tv basata sull’omonimo romanzo. E che, a quanto pare, era solo alla seconda puntata. Vidi un estratto su Youtube, c’era la scena di Hanna e Mona nel centro commerciale e me ne innamorai. Tornai a casa per un paio di giorni solo per poter guardare i due episodi. Per me che avevo tredici anni quella serie era pura genialità.

Gli intrighi, il mistero, la sigla che mi faceva accapponare la pelle e contemporaneamente mi intrigava, contribuivano a rendere la mia ossessione per Pretty Little Liars sempre più grande e preoccupante. Convinsi le mie amiche a guardarla e, nel tempo di un’estate, ne eravamo tutte follemente innamorate. Finalmente c’era una serie tv su delle ragazze bellissime con le consistenze sotto. Una serie adolescenziale in cui le eroine erano le quattro ragazze, una serie che contemporaneamente mostrava e nascondeva i difetti, la cattiveria e i drammi di cui sono prigionieri gli adolescenti.

La paura di essere troppo grassa o non abbastanza bella per gli standard dei ragazzi, accompagnata dall’orrore dei disturbi alimentari; l’ansia di dover essere sempre all’altezza delle aspettative dei genitori, rinunciando a essere se stessi per comodità; la competitività che distrugge i legami di amicizia e quelli familiari; la voglia di mostrarsi speciali, diversi, trasformandosi in qualcuno o qualcosa che non si è veramente. Ecco cos’era la prima stagione di Pretty Little Liars. Prendeva gli adolescenti e li denudava di ogni paura, difetto, imperfezione, mostrandoli in tutta la loro vulnerabilità.

Nella prima stagione di Pretty Little Liars l’interesse rivolto a risolvere il mistero della scomparsa di Alison Di Laurentis non era solo un espediente per intrattenere il pubblico, era anche un espediente per mostrare la complessa psicologia adolescenziale. -A ricattava e giocava con la vita delle Liars grazie al potere dei segreti. I segreti che sono un po’ il filo conduttore di tutte le esperienze adolescenziali. Gli stessi che ancora facciamo fatica ad ammettere, quelli che abbiamo confidato solo ai nostri amici più stretti. A coloro che ci capivano in un periodo in cui ci sembrava che non ci capisse nessuno.

È quello il potere di questo personaggio misterioso. Pretty Little Liars si sarebbe potuta concludere al secondo episodio se le ragazze avessero deciso di non aver paura dei propri segreti. È proprio questo il bello, è qui che risiede la credibilità della serie. Nessuno, in quel periodo della propria vita, avrebbe mai avuto il coraggio di esporsi in quel modo e rivelare i suoi segreti. Piuttosto sarebbe rimasto a perire del bullismo di un personaggio losco come -A.

Pretty Little Liars

Nella prima stagione di Pretty Little Liars c’era una trama sensata e logica.

A un anno dalla scomparsa della loro ape regina, quattro ragazze si ritrovano a dover riallacciare i rapporti per far fronte a una misteriosa figura che conosce tutti i loro più oscuri segreti, segreti di cui era a conoscenza solo Alison. Il ritrovamento del cadavere di quest’ultima porterà le quattro amiche a fare ancora di più fronte comune per riuscire a scoprire l’identità della persona che le sta opprimendo.

Ha senso. È una trama chiara. Lineare. Dopo la fine della prima stagione cosa è successo? Come si è finiti in una spirale di trash da cui è stato impossibile risalire? È un po’ come Gossip Girl, permettetemi il paragone un po’ forzato. Sai che c’è una persona che è a conoscenza di tutti i segreti, riesci a scoprire chi è e poi non è più lei. E ne diventa un’altra e poi un’altra e alla fine non c’è più un minimo di senso e credibilità. Tutto si riduce a un ammasso di confusione. E cominci a chiederti quando è cominciato a precipitare.

Pretty Little Liars aveva potenziale da vendere. La trama super intrigante, e per quel tempo anche innovativa, garantiva tanti spunti per uno sviluppo decente. Dopo la rivelazione troppo prematura dell’identità di -A nella seconda stagione è caduta nell’abisso del nonsense e non è stata in grado di risalire. Capisco che l’idea di allungare il brodo il più possibile per poter guadagnare e continuare a vendere la serie al pubblico adolescenziale facesse gola ai produttori e al network, ma c’è andata di mezzo la credibilità.

Non voglio nemmeno addentrarmi nelle stagioni successive alla rivelazione di Cece (qui il nostro commento) perché sono assurdità pura. Ancora non riesco a capire quale problema avessero gli sceneggiatori con i gemelli e con le forze dell’ordine. Per non parlare poi di tutti i problemi di maternità e paternità che c’erano a Rosewood. Nemmeno a Sunnydale (città fittizia di Buffy l’ammazzavampiri), la bocca dell’inferno sulla Terra, c’erano così tanti squilibrati. Jenna, Nate/Lyndon, Ian, Shana, Sara, il detective Wilden, Garrett, Elliott Rollins, Cece, Jessica, Noel, Mona, Mary Drake e questi sono solo alcuni.

Pretty Little Liars

Insomma, se i produttori avessero scelto di inseguire la strada della qualità piuttosto che quella della quantità avremmo avuto un prodotto migliore. Un prodotto che si sarebbe potuto sviluppare seguendo la linea tracciata dalla prima stagione che, continuo a ribadire, è stata la migliore in assoluto. Una stagione fresca, intrigante, appassionante ed entusiasmante. Una serie che prometteva tanto e che è crollata per interessi economici. Ecco come la penso.

Penso che se si fosse ridotta a tre, massimo quattro stagioni ben strutturate, ben pensate, adesso potremmo celebrare Pretty Little Liars… e non come emblema del trash. Certo, non sarebbe comunque stata una serie d’autore, né una di quelle che avrebbe rivoluzionato il mondo seriale, ma sarebbe stato un prodotto valido, coerente e interessante. Probabilmente non avrebbe ricevuto tutta la visibilità che ha ottenuto, ma sono sicura che sarebbe stata apprezzata di più.

Ripeto, i presupposti c’erano tutti. La trama, già perfettamente delineata da Sara Shepard nei romanzi, avrebbe potuto seguire un percorso lineare e coerente senza le brutali cadute di stile e gli incommentabili buchi di trama nonsense che hanno caratterizzato tutte le stagioni successive alla seconda (che non è la mia preferita proprio a causa della rivelazione di -A).

È stato un amore prematuro e come recita il famoso detto: la fretta fa i figli ciechi. Ogni riferimento a Jenna è puramente casuale.

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