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Dentro l’anima di Pose

L’incedere dei tacchi sul parquet della ballroom ricorda il ticchettio di un orologio. Falcate di calze velate e paillettes, decise, inarrestabili. New York non è mai stata tanto scintillante come in quella sala da ballo decadente, negli anni 80, dove la storia di Pose ha aperto il suo sipario ai nostri occhi curiosi. Scostate le tende rosso carminio, vellutate e morbidissime si cela di fronte al nostro sguardo un mondo underground, sotterraneo al punto da arrivare a conoscerlo solo ora. L’ambientazione non è granché, i muri cadono a pezzi, il pavimento di legno ha qualche asse sollevata, capita pure di inciamparci e i tacchi di certo non aiutano. Tutto risplende però, ed è un ossimoro a dirsi, ma a vedersi è tutto così limpido, fidatevi. Tende di lustrini cadono dal soffitto riflettendo le luci strobo che abbelliscono la pista. Rosa, viola, verdi, blu e tutti i colori del mondo. Il mondo come ce lo ricordiamo fuori non esiste più, al suo posto è stato sostituito da una palla stroboscopica attaccata al soffitto che ogni volta che la si guarda si ha quasi paura possa cadere da un momento all’altro, sempre se non sia successo. E il mondo, se guardi bene, è tutto lì. Con i partecipanti della ballroom che lo abitano, che camminano sulla sua passerella, che si vestono e si truccano nei camerini con le lampadine a farne da cornice, come quelli delle dive; che litigano per un voto immeritato, che si amano in quella stanza piena di specchi dove specchiarsi insieme è più facile che farlo da soli. Un microcosmo argenteo dove le anime possono liberarsi del duro peso dei loro corpi e del gravoso compito di sopravviversi fuori dai riflettori.

Pose
Pose

Perché là fuori il cielo è fatto di stelle, non di glitter, e l’asfalto fa molto più male di un parquet incostante: ti brucia la pelle, ti fa sanguinare le ginocchia e finire faccia a faccia con il brulicante ribollire di una giornata calpestata. Ma è quando si chiudono i vestiti in un sacco e si abbassa l’interruttore della sala da ballo che l’anima è costretta a scappare dagli abusi e dai soprusi di chi quell’anima non la comprende e non ha intenzione di decifrarla, o anche solo di parlare. Di chi non vede l’ora di attaccarsi a uno sguardo sbagliato per punire la tua essenza. Spezzandoti la voce, strappandoti tutta la passione che hai in corpo, facendoti appassire non lasciando nient’altro che un involucro scheggiato. Tumefatti e violati, sotto quel cielo di stelle lucenti che non ti permettono di esistere compiacendoti.

Sentirsi soli, desolati dal dolore di un vissuto che ancora fatica a farsi strada in un presente inospitale è il punto d’incontro delle sofferenze di molti che hanno appeso alla carta parati di qualche catapecchia il sogno di riabbracciare le stelle e non vivere più nei sotterranei delle vite degli altri. L’anima di Pose esiste taciturna sotto quei lividi, i portafogli vuoti e l’ennesimo sconto di pena che ogni serata trascorsa in un nightclub a vendere il cuore richiede alla propria libertà. Solo dentro la ballroom l’anima può ballare, esprimersi e gioire senza pregiudizio, in un cerchio aperto dove ogni incontro, e talvolta anche scontro, fanno parte di un mondo in cui le leggi sono scritte da chi lo abita.

Pose
Pose

Una gara di lipsync, una sfilata di moda, vogueing sulla pista e una casa in cui stare, un luogo a cui appartenere. Una famiglia fatta di una sola madre e tantissime sorelle e fratelli, qualche zia e tutta la cura che solo chi ci ama può dare, incondizionatamente. Un tetto sopra la testa, l’asporto caldo che mangiamolo subito che poi si fredda , mani strette intorno al tavolo per non perdersi mai, una preghiera a Dio e mille altre a quelle stelle. Una casa che diventa fortezza il cui bottino all’interno pesa solo 21 grammi. L’anima di Pose è l’insieme di un caleidoscopio di emozioni esposte al loro più alto grado di purezza: dall’amore straripante al dolore lancinante, dalla felicità incontaminata all’attanagliante tristezza. Ma forse è proprio l’estremo di quel malessere, recidivo nel dolore, a rendere grande la conquista della vittoria: la vita come la si desiderava da tanto tempo.

Una conoscenza profonda, quella che di puntata in puntata – poche ma così intense come non capitava da tempo – è quella che ci viene concessa a poco a poco dai protagonisti di Pose, da quelle madri e dai quei figli, sfibrati sì, ma mai recisi dalla vita.

Pose
Pose

Pose non si limita a raccontare la storia di una parabola ascendente con qualche intralcio lungo la strada, dei beniamini su cui puntare e delle prove che desideriamo riescano a superare per arrivare al tanto agognato lieto fine, e possibilmente con meno difficoltà e brutte sorprese possibili. No, Pose non si limita a fare questo: la serie di Ryan Murphy scava in profondità nella sua stessa essenza, a piene mani dentro di sé, nella sua anima, per raccontare una storia che abbia i contorni di un realistico documentario ambientato nella ballroom scene e di un’ampissima comunità queer afrodiscendente, e non. In quegli anni così sfavillanti e lussureggianti per qualcuno, quanto allo stesso tempo miserabili e illusori per qualcun altro, nella città che non dorme mai.

Ed è proprio in questa antitesi situazionale che l’anima viene fuori e racconta se stessa: nascondendosi nei dettagli, eludendo le telecamere della rappresentazione come la intendiamo oggi, semplicemente autorappresentandosi essendo, vivendo in sé finalmente pienamente, in una casa grande piena di cose e in un palcoscenico dove ora chiunque può esibirsi e vedere le stelle, quelle vere.