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Il tema dell’accettazione, delle prime esperienze, positive e negative, del desiderio di emergere e di libertà sono tutti il condimento classico dei teen drama. Quante serie tv hanno affrontato questi stessi argomenti? In quante serie tv adolescenziali siete incappati in questi anni? E quanti prodotti originali di questo genere ha sfornato Netflix? Troppi, anche solo per vederli tutti e tenerli a mente. Quindi non c’è da stupirsi se non erano alte le aspettative che hanno accompagnato l’uscita di Never Have I Ever (in italiano Non ho mai…). Eppure, se non risulta chiaro fin dal primo episodio, nei successivi nove che scendono lisci come l’olio non si può far a meno di notare che Non ho mai… è originale per davvero. Sì, il sostrato di cui si compone la serie è sempre il medesimo, ma è il modo di trattare situazioni e personaggi, temi ed evoluzioni che le permette di distinguersi.

La scrittura è brillante, irriverente e tenera al tempo stesso. I personaggi concreti, reali, sono persone in carne e ossa. Talmente verosimili negli atteggiamenti e nelle battute che sembra di star parlando con degli amici. E la storia che si snoda pian piano, svelando il fulcro della questione solo verso la fine è fresca, intelligente e sensibile. Non ho mai… è una serie leggera, ma che sotto la maschera di semplice comedy per ragazzi nasconde invece molto di più.

Ma procediamo con ordine.

La protagonista è Devi Vishwakumar, una quindicenne figlia di immigrati indiani, in procinto di iniziare il nuovo anno scolastico dopo uno precedente doloroso e traumatico. Prega quindi gli dei hindu di potersi lasciare alle spalle non solo la morte del padre, con cui condivideva un forte legame, ma anche la sua temporanea successiva paralisi, unici motivi per cui era rinomata a scuola. Nerd ed emarginata, sogna la vita di una normale adolescente e di vivere delle avventure che siano degne di questo nome, ma soprattutto “un superfigo che può darci dentro tutta la notte”. Ma il desiderio di emancipazione di Devi si scontra con la madre Nalini, rimasta vedova troppo presto e sola in un paese straniero così diverso da quello delle sue origini. Il conflitto madre-figlia è molto forte fin dal primo episodio e fornisce costanti spunti per gag esilaranti e riflessioni. Nalini cerca in tutti i modi di preservare l’integrità della famiglia, di rispettare la tradizione indiana e di avvolgervi dentro Devi, che invece fa di tutto per scrollarsela di dosso e immergersi nella cultura californiana del nuovo millennio.

Il punto di forza della serie è proprio la sua protagonista. Egocentrica come solo gli adolescenti sanno essere, senza malizia o cattiveria, ma con la pretesa di essere sempre gli unici a soffrire e a trovarsi in situazioni spiacevoli. L’importanza del giudizio altrui grava enormemente sulle spalle di Devi, che finisce per perdere se stessa nel tentativo di rincorrere un’immagine di sé che sia vincente, ma povera di ogni genere di affetto sincero. Per fortuna, nel suo tentativo di essere quella che non è, avrà modo di conoscere due ragazzi che insospettabilmente si riveleranno per lei la chiave di svolta della sua vita, anche se non come avrebbe immaginato.

non ho mai...

La storia d’amore che ne deriva non stona e si inserisce perfettamente nel panorama di casa Vishwakumar. Amore e amicizia si confondono, si scontrano. Devi si trova divisa tra sentimenti contrastanti e incastrata in situazioni da lei stessa provocate e che feriscono lei e gli altri. A sue spese, la ragazza scoprirà che gli amici non vanno mai dati per scontati, ma bisogna prendersene cura e preservarli. Così come capirà le relazioni amorose non si basano su aspetto fisico e popolarità, ma sono la sintesi dei sentimenti, della complicità e delle attenzioni. Nonostante questi temi siano importanti, non costituiscono il centro della serie (come spesso invece accade in molte comedy che polarizzano l’attenzione solo sul dramma romantico) Non ho mai… amplia invece il punto di vista, ci mostra la vita di Devi, i disagi con sua madre e la competizione con la cugina Kamala. Ci mostra una famiglia divisa dalle diverse prospettive sul medesimo argomento.

Il fulcro si svela pian piano, concentrandosi intorno al padre defunto e alla difficoltà di interfacciarsi con la morte così prematuramente e ingiustamente.

Non ho mai...

Ma ancora, pure nella modalità di trattare questo tema si distingue: lo fa con il sorriso. Un sorriso sornione e ammiccante che non manca mai e che, proprio per questo, nella parte finale dell’ultimo episodio riesce ancora meglio: grazie a un acme ascendente di sentimenti, ci ritroviamo commossi. È la scomparsa del padre che fa da collante. La sua figura aleggia come un fantasma per la maggior parte degli episodi, ma sempre accennato e raramente approfondito fino a quando alla fine si capisce che è intorno alla sua figura che è costruita la famiglia, è lui ad aver formato e plasmato Devi. Lui, l’assenza, il vuoto incolmabile che si percepisce in casa e nel rapporto madre-figlia. E così, in riva al mare, la morte diventa il pretesto (simbolo) della rinascita di una famiglia distrutta.

Quando abbiamo approcciato questa serie non ci saremmo aspettati una conclusione tale.

Non ho mai… in soli dieci episodi mette in campo una storia toccante e irriverente, sorprendente. Uno scontro di culture, la lotta tra due generazioni e due modi diversi di affrontare il dolore. Il diverbio tra percezione di sé e realtà, tra accettazione e diversità.

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