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Chi troppo vuole nulla stringe: ascesa e caduta di Félix Gallardo

Alzi la mano chi non si è mai sentito dire “chi troppo vuole nulla stringe”. Questo famoso proverbio, come sappiamo, viene usato per rimarcare che chi non riesce mai ad accontentarsi o chi è alla costante ricerca di qualcosa in più rispetto a quanto ha già finirà per rimanere a mani vuote. Ricordo di aver sentito questa frase la prima volta quando, da piccola, ero alla smaniosa ricerca di tutte le figurine dell’album dei Pokemon: per sdrammatizzare, i miei genitori mi avevano detto proprio così. Questo proverbio è un bagno di umiltà per chiunque brami una conquista, di qualsiasi tipo, e invita a rimanere coi piedi per terra con il monito di poter perdere tutto. Ma qualcuno ha sogni più ambiziosi di finire un album di figurine. Ad esempio qualcuno che, molti anni prima, aveva sognato di controllare il narcotraffico mondiale, riuscendoci: stiamo parlando di Miguel Angel Félix Gallardo, il protagonista di Narcos: Messico.

Un povero sinaloense alla conquista del mondo

Narcos

Come dice una famosa canzone di Drake “started from the bottom now we’re here”, “partendo dal fondo siamo arrivati fin qui”: a Félix Gallardo è successa la stessa cosa. Sì, perché come molti uomini di grande successo, il protagonista di Narcos: Messico è partito proprio così: nato in un piccolo paesino fuori Sinaloa, in Messico, era (paradossalmente) un semplice poliziotto. E se confrontiamo la sua immagine all’inizio della scalata al successo con quella al momento dell’apice della sua carriera, Félix ci sembra quasi irriconoscibile. Dimessosi dalla polizia, inizia a coltivare il suo più grande sogno. Vuole infatti creare un’organizzazione che riunisca i più importanti trafficanti e produttori di droga messicani, così da poterli confederare in quello che sarebbe poi passato alla storia come il Cartello di Guadalajara. Dopo esserci riuscito, da subito lui ne è leader indiscusso: ambizioso e scaltro, è riuscito a mettere insieme gli interessi di tutti e a placarne i contrasti. E così gli affari iniziano, con il benestare della polizia e della politica corrotta. Nel frattempo la sete di potere di Félix non si è comunque placata, infatti la sua mossa successiva è stringere rapporti con i colombiani, storici produttori di cocaina, che erano alla ricerca di qualcuno che portasse il loro prodotto al consumatore più famelico: gli Stati Uniti d’America. E grazie alla “collaborazione” Messico-Colombia quest’uomo diventa lo zio Paperone del narcotraffico, gestendo un giro d’affari di miliardi di dollari.

narcos messico

Tuttavia, mentre si realizza il sogno del protagonista di Narcos, c’è qualcuno che lo sta osservando da molto vicino. Si tratta di Enrique Camarena, poliziotto della DEA inviato in Messico per contrastare il narcotraffico. La serie Narcos ce lo mostra diverso da tanti poliziotti in quelle zone che, essendo corrotti, fingevano di non vedere molte atrocità che li circondavano. Enrique, detto Kiki, va a fondo fino a quando, in una mossa tanto azzardata quanto pericolosa, si mette a lavorare sotto copertura come bracciante in una piantagione di marijuana del cartello. Vede tutto con i suoi occhi e da quel momento per le istituzioni non ci sono più scuse: l’immensa piantagione di marijuana viene assaltata e bruciata. Siamo a un punto di svolta, perché questo blitz sarà un successo per la carriera di Kiki, ma gli costerà moltissimo (e di riflesso si ripercuoterà su Félix). Mentre Kiki ha fatto la cosa giusta scoperchiando il vaso di Pandora del narcotraffico messicano, Félix, “El Padrino” in Narcos, ha imboccato la via più sbagliata. Infatti, come atto dimostrativo contro la DEA Félix decide di rapire Camarena e di torturarlo atrocemente finendo poi con l’ucciderlo. Questa decisione gli costerà molto, ma, nonostante gli avvertimenti di alcuni dei suoi sulle ripercussioni che avrebbero subito sugli affari lui se ne infischia. Perché sì, alla DEA l’uccisione di uno dei loro agenti non è andata giù, e da quel momento i controlli al confine tra Messico e U.S.A. hanno iniziato ad inasprirsi, requisendo sempre più droga.

Il potere che Félix aveva accentrato su di sé è come un grande puzzle: è necessario che tutti i pezzi siano perfettamente incastrati perché l’intero disegno si realizzi. E se un tassello si stacca, anche tutti gli altri risultano più fragili.

Con l’uccisione di Kiki, Félix ha voluto troppo, finendo per autoprovocare la sua rovina. La fiducia dei componenti del cartello ha iniziato a vacillare e i controlli sui carichi di droga si sono fatti più stringenti, il che ha provocato maggiori perdite economiche. E si sa, alla Colombia del narcotraffico perdere milioni di dollari non sta bene. D’altra parte, inimicarsi dei narcotrafficanti colombiani è decisamente pericoloso. Tassello dopo tassello, il puzzle del suo potere ha iniziato a sgretolarsi. Félix ha voluto troppo, perché uccidendo Kiki si è creduto al di sopra della legge. Non che questo sia strano per personalità criminali del suo calibro, visto il sistema di corruzione che aveva messo in piedi dove le forze dell’ordine venivano pagate per non vedere e non sentire, ma l’uccisione di un poliziotto è stato davvero troppo. Così Félix ha perso tutto.

La letteratura antica greca insegna il significato di una parola dal suono bizzarro: tracotanza. La tracotanza è la superbia dell’uomo mortale, il quale, invidiando le divinità, compie atti superbi cercando di mettersi al pari degli Dei. E nella letteratura greca chi si gonfiava il petto di tracotanza veniva puntualmente punito. Forse Félix Gallardo non invidiava nessuno, ma molto probabilmente si è creduto al pari o addirittura superiore a qualche divinità. La sua smania di potere e controllo si è espansa sempre di più, e di fronte a un “fallimento” come l’incendio dei campi di marijuana ha probabilmente pensato di dover riaffermare nel modo più violento possibile il suo potere. Ma come la letteratura greca insegna, la superbia sconfinata porta solo alla rovina.

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