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Mindhunter – E se il vero villain fosse Holden Ford?

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sulla prima stagione di Mindhunter 

“Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro”. 

Lo affermava Friedrich Nietzsche, e noi non siamo nessuno per contraddirlo. Soprattutto dopo aver vissuto fino in fondo la prima stagione di Mindhunter ed esserci ritrovati ora, ancora sballottati dall’incredibile esperienza, a farci più di una domanda. Per esempio: chi è realmente il personaggio misterioso che ci ha tormentato per dieci episodi e ha chiuso il primo arco narrativo del capolavoro di David Fincher? Abbiamo risposto qualche giorno fa, senza paura d’esser smentiti, con un articolo che lo presenta in ogni sua sfaccettatura (se volete dargli un’occhiata lo trovate qui), ma ci siamo fermati a un bivio: sarà lui il vero villain della serie? Forse sì, forse no. Perché esiste un’alternativa intrigante, già accennata nel pezzo citato, che darebbe un senso totalmente diverso a questa grande storia. Allora riformuliamo il quesito: Holden Ford sarà il vero villain di Mindhunter? Difficile affermarlo ora con la stessa sfrontatezza con la quale è stato smascherato BTK Killer, ma la psicologia, sostenuta da un piccolo test, potrebbe darci una mano.

Mindhunter

L’uomo mite e curioso che avevamo conosciuto nei primi episodi ha lasciato spazio ad un personaggio più cupo. Difficile da decifrare, ma niente è impossibile. Quel che dobbiamo comprendere fino in fondo è la natura del crollo seguito all’ultimo incontro con Ed Kemper. Mindhunter, tratta da un libro che trova in John E. Douglas il coautore e il protagonista delle vicende narrate, unisce sapientemente la realtà alla finzione, ma non sappiamo ancora quanto sarà labile la linea di demarcazione. Anche Douglas, ex agente dell’FBI attraverso il quale è stato tratteggiato il profilo di Holden, ebbe un crollo simile che rischiò di ucciderlo. Non è detto tuttavia che la serie tv intenda ripercorrere in toto la sua biografia e non voglia invece fare del suo eroe un pericolosissimo villain. Forse un serial killer, e qui sorge un dubbio: il crollo riporterà Holden sui binari giusti dopo aver scoperchiato il vaso di Pandora? Oppure non è altro che l’avvio di una deriva inarrestabile? In sintesi: Holden Ford è o no un pericoloso psicopatico?

Il portale statunitense Vulture si è fatto la stessa domanda in questo articolo, e ha utilizzato la Hare Psychopathy Checklist, diffusissimo test psicologico, per formulare la sua tesi. Il metodo misura l’ampiezza della psicopatia di un individuo attraverso l’analisi di venti punti fissi, più o meno decisivi, raccolti in due gruppi: il “Fattore 1” prende in esame il “narcisismo aggressivo”, il “Fattore 2” lo “stile di vita socialmente deviante”. Eviteremo di menzionarli tutti, ma vi possiamo assicurare che il nostro Holden non ne esce benissimo, soprattutto sul Fattore 1. Il soggetto analizzato, infatti, presenta più di un “sintomo” preoccupante. Per esempio la pienezza crescente di sé che sembra averlo reso infallibile (caratteristica che lo associa a svariati serial killer) e consapevole di essere il deus ex machina di un progetto che riscriverà la storia dell’uomo (seppure sia reale l’importanza vitale). Non lo trovate sufficiente? Fate bene: è solo la punta dell’iceberg.

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Se al narcisismo imperante si aggiunge infatti una notevole capacità di manipolare il prossimo, emersa in svariate occasioni (la scarpa di Brudos, la pietra unita alla divisa da cheerleader con l’assassino di Lisa Dawn Porter e la modifica delle trascrizioni del nastro relativo alla conversazione con Speck), la tendenza reiterata alla menzogna e al sovvertimento di un ordine che non lo porta al raggiungimento degli obiettivi personali, il cerchio si stringe, ma non è tutto. Ancora più importante è l’apparente assenza di rimorsi e sensi di colpa, esplosa soprattutto col caso del preside accusato di pedofilia, al quale è stata rovinata la vita per mezzo di un’intuizione senza prove.

In quella circostanza Holden non ha mai preso in considerazione l’idea di aver fatto un passo falso (neanche dopo il duro confronto con la moglie dell’incriminato), e la necessità di far prevalere il proprio ego, giustificata dalla necessità di tutelare i bambini della scuola, ha avuto la meglio senza imbattersi in alcun compromesso. Gli ultimi tasselli da inserire nel profilo psicologico analizzato riguardano l’assenza di una risposta emotiva forte ai racconti dei serial killer incontrati, palese invece negli occhi e i comportamenti di Bill (perfetto contraltare in questo senso), e alla chiusura della relazione sentimentale con Debbie, liquidata con estrema freddezza e lo stesso distacco che avrebbe meritato una  pratica burocratica. Un atteggiamento, a suo modo pericoloso, che avevamo già intravisto in occasione del tradimento subito e il successivo riavvicinamento.

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Questi fattori, messi insieme, ampliano la psicopatia di Holden in modo rilevante, ma ciò non implica per forza che delineino il profilo di un pericoloso psicopatico, rafforzando tuttavia l’idea che abbia le potenzialità per vivere una deriva che potrebbe andare ben oltre il crollo dell’ultima puntata. Mindhunter ha scavato (e scaverà) nella mente di Holden, portandoci all’ultimo, grande, interrogativo: è un soggetto fortemente empatico? Oppure non lo è per niente? Nel primo caso riavremo l’Holden che abbiamo conosciuto nei primi episodi, rafforzato dall’esperienza traumatica del crollo vissuto. Più consapevole di chi sia e quali siano i confini da non oltrepassare. Nel secondo, invece, vedremo i suoi occhi riaprirsi e brillare di una nuova luce. Più inquietante, misteriosa e indecifrabile. Come quella tipica di un uomo che ha guardato a lungo nell’abisso, al punto da farsi assorbire dall’irriverenza delle ombre. Un uomo nuovo, forse un serial killer. Chissà, uno dei migliori villain nella storia delle serie tv, svestito dai panni dell’eroe.

Antonio Casu 

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