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Cosa non ha funzionato in Maniac?

Il piccolo ma coraggioso atto di coraggio di Cary Fukunaga in Maniac, per quanto nel suo complesso risulti vincente e intrigante, non manca di presentare diversi punti deboli all’interno della sua narrazione. Accattivante l’analisi di una psicologia ben strutturata e un viaggio tra sogno e realtà, divisi da una linea di demarcazione molto sottile (qui nel dettaglio). Tuttavia con un’attenta osservazione è indubbia la presenza di piccoli buchi di trama ed elementi poco inerenti al contesto.

L’arma vincente di Maniac è senza dubbio nella sua stravaganza, che si manifesta in diverse forme durante tutta la visione.

Il viaggio nel mondo dei sogni è un insieme di colonne sonore, colori e scenografie, mescolati con eleganza ed un pizzico di follia. Difatti un’aroma di grottesco e trash non sono alieni al prodotto. Con tali premesse, la nuova proposta di Netflix aveva ottime carte in mano per giocare con lo spettatore una partita eccellente. Raccontare un tema inerente alla psicologia con toni nuovi, singolari, non è stato facile.

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Nonostante ciò, Maniac ne è uscita vittoriosa. Tuttavia ferita, tronfia di un successo amaro. Un retrogusto tipico di quel piccolo ingrediente dimenticato, fondamentale, il quale riesce a trasformare un semplice piatto da trattoria in una esposizione da ristorante stellato.

In Maniac sono appunto pochi e sporadici gli ingredienti dimenticati ma di rilevante importanza.

Partiamo dal presupposto iniziale: la scarsa credibilità di una protagonista che riesce a eludere ogni sistema di sicurezza di una “presunta” azienda innovativa e futuristica nel campo della medicina. La vicenda risulta forzata e priva di serietà, espressione del fatto che un’azienda di tale calibro non riesce a selezionare con cura i suoi pazienti. Inoltre non viene curata minimamente la caratterizzazione degli altri personaggi. Essi non vengono neanche presentati a dovere e rimangono macchiette nello show.

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Sono proprio i pazienti un altro elemento amaro della narrazione.

Palese pretesto di uno scheletro narrativo in background, i personaggi secondari non hanno altro scopo oltre questo. Escludendo i due protagonisti – Owen e Annie – sarebbe stato interessante osservare, capire e sperimentare anche in secondo piano le esperienze di tutte le vittime designate per lo scopo. Tuttavia la loro presenza rimane vuota, inconsistente e soprattutto inutile ai fini della trama. Probabilmente ciò non rientrava nel progetto iniziale. Difatti nel finale di stagione possiamo osservare un piccolo accorgimento in questo senso.

Maniac tenta disperatamente un collegamento con gli unici altri due pazienti leggermente caratterizzati dalla narrazione. Un viaggio di pochi secondi in ascensore: la connessione che aveva reso unici i due protagonisti si fonde, a ogni piano in cui si aprono le porte, con le fantasie di altri due pazienti. Tuttavia non basta, l’amaro resta.

I colori sbiadiscono e la visione assume toni talvolta zoppicanti e confusionari.

Tale impostazione è in gran parte giustificata dal tipo di approccio che lo show vuole trasmettere al pubblico. Parliamo di riflessione, introspezione, stabilità e instabilità tipica essa stessa della mente umana. Piccoli accorgimenti anche in questo aspetto potevano senz’altro migliorare l’esperienza visiva di un racconto. Sebbene ogni fantasia dipinga un sistema di difesa e un disagio principale che il paziente tenta di arginare, il tutto è spesso troppo condito da un trash ingiustificato. Inoltre scene fin troppo interpretabili rischiano di far cadere il prodotto in una soggettività pericolosa, in grado di snaturare completamente il tema preposto.

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Sebbene lo show sia pensato come miniserie e si sia scelto di focalizzarsi esclusivamente sui protagonisti, risulta disturbante l’assenza di qualsiasi struttura logica in tutto ciò che ruota intorno a loro. Ne abbiamo il massimo esempio nella morte improvvisa del Dottor Robert Muramoto. D’impatto, scioccante e con leggeri toni trash tipici della narrazione, la morte del dottore non viene spiegata quasi in alcun modo. Inoltre nessun personaggio reagisce a tono di fronte a una tragedia di tale calibro, passata totalmente in sordina nella collettiva indifferenza.

Maniac è un miscuglio coraggioso di troppi elementi gestiti in poco tempo.

L’aspetto psicologico è ben trattato, sebbene si potesse scavare più in profondità, data la natura fortemente riflessiva del prodotto. La sceneggiatura purtroppo presenta uno schema ambiguo, a tratti ben strutturato e a tratti debole con evidenti buchi di trama. Il finale aperto risulta l’ultima incognita di uno show buono ma poco credibile. Un’incognita che ben si sposa con la soggettività del pubblico a casa, vero pilastro della serie.

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