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La prigione onirica di Tony Soprano, quella di ghiaccio di Ingmar Bergman

Isak Borg, l’ennesimo nome che nella letteratura cinematografica si intona simbolicamente, si scandisce con un vocalizzo per disegnare nell’aria un significato che va oltre l’individuo. Come Tony Soprano dopo di lui, l’uomo che aveva stampata nel nome la nota più acuta che la voce umana possa mai avere, quella a lui eternamente irraggiungibile per natura. Borg (“fortezza“) e is-ak (“di ghiaccio“); è questo il gioco di parole che, dal genio di Ingmar Bergman, dà forma al nome del protagonista di Wild Strawberries, pellicola del 1957. In che modo questo vada a intrecciarsi con la psicologia – a due tempi nuda e pudica – di Tony Soprano è una congiunzione ben più complessa di un sagace gioco di parole.

Ben più complessa di un sogno, ma che proprio nell’assurda teatralità del sogno trova il miglior linguaggio possibile.

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Tony Soprano in una scena de I Soprano

Tony Soprano calca i passi pesantemente, annaspa sull’asfalto della città ma con l’insolita armonia che non sia addice alla sua stazza. China il capo quasi a stare attento a dove mette i piedi, a calcolare metaforicamente (e non) il suo prossimo passo, e di tanto in tanto lo alza per posare lo sguardo a mezz’asta, smorto, verso il centimetro di potere che ancora non gli appartiene. Quello in cui prova a insuperbirsi il suo prossimo nemico, che nella goffaggine di Tony Soprano vede l’inconsapevole spietatezza di un elefante in una cristalliera. La più pericolosa che esista, proprio in quanto sconsiderata. Già, perché nessuno tra le strade del New Jersey direbbe che quel dualismo nella figura di Tony sia di natura conflittuale, esistenziale. Nessuno direbbe che quell’omaccione fatalmente buffo nasconda delle debolezze.

Il dottor Isak Borg è la foce dell’esistenzialismo sartriano che assale l’animo in età avanzata. Sessantottenne professore di distinta presenza: magro, capelli bianchi e baffetto accuratamente abbinato, con quell’aria da intellettuale cocciuto che ha perso ogni interesse nelle relazioni sociali. Nella metanarrazione di Ingmar Bergman, il protagonista de Il Posto delle Fragole (titolo italiano per Wild Strawberries) condivide col regista le iniziali del nome, e già questo è prodromo di un parallelismo che rende perfettamente la proporzione “David Chase: Tony Soprano = Ingmar Bergman: Isak Borg”.

Le mie giornate trascorrono in solitudine e senza troppe emozioni. Ho dedicato la mia esistenza al lavoro e di ciò non mi rammarico affatto. Incominciai per guadagnarmi il pane quotidiano e finii con una profonda, deferente passione per la scienza.

Isak Borg – Il Posto delle Fragole

Con queste parole, e con l’inizio di un viaggio che fa da introduzione nel mezzo, un finto e geniale medias-res che divide la vita del protagonista letteralmente in due parti, si apre Il Posto delle Fragole. Lo stesso crinale che si ritroverà a fiancheggiare Tony Soprano nella scelta della sua strada, giunto a ritroso alla soglia del passato con tanti, troppi traumi irrisolti. Il viaggio di Isak è verso Lund, dove il protagonista si dovrà dirigere per ritirare un premio alla carriera di cui è stato insignito, e per farlo sarà accompagnato da Marianne, la moglie di suo figlio.

Il professor Borg, come attesta il suo monologo d’apertura, nel lavoro ci si è immerso e perso.

Giunto al culmine simbolico della carriera, questi non ha più domande alle quali trovar risposta, se non quelle che mancano all’uomo in quanto tale. Che senso ha la vita? Ma, soprattutto, che senso ha che questa debba volgere al termine? (un tema che abbiamo ampiamente affrontato anche qui, grazie a un altro colosso della tv)

Tale viaggio, che nasce dal fisico per maturare nello spirituale, indagherà nel passato del protagonista, esplorandone gli aspetti più oscuri e traumatici del passato. È proprio da qui che prende il nome Il Posto delle Fragole, che in Svezia è la metafora per indicare la gioventù, un non-luogo di candida innocenza spirituale. Quei primi anni successivi l’adolescenza, l’astratta dimensione del passato e del ricordo, saranno i temi centrali del film. Inevitabilmente, l’onirico entrerà prepotente come mezzo narrativo. Tanto quanto accade ne I Soprano, per Tony Soprano, in quell’attimo indefinito che sancisce l’inizio del “resto della propria vita”. Il momento del bilancio dell’esistenza. La riflessione ultima dopo una vita di dedizione, qualunque sia la causa.

È proprio qui che prende vita il punto d’incontro più intimo tra Il Posto delle Fragole di Bergman e I Soprano di David Chase. Precisamente nella scena che segue in video: il sogno di Isak Borg.

Il sogno di Isak Borg influenza visibilmente quelle che nella mitologia de I Soprano sono tra le scene allegoriche più inquietanti e meglio esplicative nell’indagine della psiche di Tony Soprano: quelle del sogno in auto. È nella problematica figura paterna che Tony custodisce la genesi del trauma, probabilmente ancor più che nella nefasta figura materna. In quest’ultima c’è l’emblema del suo tormentato rapporto con la figura femminile in senso assoluto, che in qualche modo è condizionato dall’evanescente quanto deviante figura criminale di suo padre, tra tradimenti e violenza sui figli. È nella figura paterna che, a sua volta, Bergman trova ispirazione per il viaggio esistenziale de Il Posto delle Fragole.

E a sua volta, Isak Borg attraverso le confessioni della nuora si rende conto di aver trasmesso il fardello di un retaggio esistenziale che va di padre in figlio.

Mi rendevo conto di star disegnando un personaggio che esteriormente somigliava a mio padre, ma che in fondo ero io in tutto e per tutto. Proprio io, a trentasette anni, fuori dalle relazioni umane, che distruggevo i rapporti, chiuso, completamente fallito. Circondato dal successo, però. Un uomo buono, per bene. E disciplinato»

Ingmar Bergman
I Soprano, il sogno di Tony Soprano (1200x675)
Il sogno di Tony Soprano ne I Soprano

Nel sogno di Tony Soprano come in quello di Isak Borg aleggia il perturbante lynchiano che sgorga dal grigio inconscio delle paure, quelle percepite ma soppresse. Qui Tony si guarda attorno nella vecchia Cadillac DeVille di suo padre, seduto sul sedile posteriore come a indicare la recondita (ma quantomai profetica) paura di non riuscire a prendere in mano il volante della propria vita, che affida dunque a Carmela. Accanto a lei, lato passeggero, i fantasmi (il defunto Ralph Cifaretto) della vita criminale di Tony, quelli che hanno infettato la loro vita matrimoniale, così come hanno fatto le donne che appaiono (cambiando di volta in volta) di fianco a Tony sul sedile posteriore. La figura in penombra che vedrà scendere le scale della sua vecchia casa sarà, contemporaneamente, sua madre e la “donna tutta”, come soggetto del suo più grande dilemma emotivo.

Nelle due trasposizioni oniriche è palpabile quel viscerale ma teso rapporto con la morte (la bara con la salma di se stesso per Isak Borg, la falena sulla testa di Ralph Cifaretto per Tony Soprano). Teso perché in costante giudizio sulla vita dei due protagonisti, suonato a corde tese da un tempo incalzante e forsennato.

Tony e Isak fanno così di una morte senza requie la più grande condanna, se come credono la vita non ha mai portato a dei veri obiettivi.

L’angoscia e la disperazione del padre dell’esistenzialismo incontrano il perturbante del padre dell’onirico, per un’espediente (quello del sogno) di lynchiana memoria. Un ricamo inconscio che veste una verità nascosta in un non-luogo sbiadito. Quel luogo pittoresco come una maschera, ma triste come il trauma che la indossa. Dolce e amaro, come le fragole che vi danno colore.

Fatto del bello che racconta il brutto, o del brutto che raconta il bello, è il sogno il vero posto delle fragole di Tony Soprano. Quello in cui può essere contemporaneamente uno spensierato spettatore sul sedile posteriore di un’auto e il nemico di cui non è mai riuscito a liberarsi.