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I May Destroy You – La Recensione di una miniserie di cui avevamo bisogno

Attenzione: L’articolo può contenere spoiler di I May Destroy You.

Dopo oltre due anni dalla messa in onda americana su HBO e britannica su BBC One nel giugno 2020, la miniserie originale creata, scritta, co-diretta e prodotta da Michaela Coel è finalmente disponibile anche in Italia. In arrivo nel nostro Paese grazie a Sky e Now TV, la pluripremiata I May Destroy You fa il suo sbarco nel territorio in cui è anche parzialmente ambientata. La serie tv è valsa a Michaela Coel un British Academy Television Award come migliore attrice e miglior miniserie, e un Emmy Award per la migliore sceneggiatura di una miniserie, oltre a un’importante incetta di nomination varie, nonostante il riconoscimento non sarà mai forse abbastanza per un prodotto televisivo di tale portata. Infatti, pur essendo un titolo provocatorio e dalla qualità indubbia, I May Destroy You non ha goduto di una risonanza mediale sufficiente. Rimasta un po’ troppo in secondo piano nei mesi che ne hanno seguito la premiere, la miniserie anglo-statunitense avrebbe meritato qualche occhio di riguardo in più, non soltanto da una critica che l’ha sempre acclamata ma mai premiata abbastanza.

La storia di I May Destroy You è quella di un racconto che dà forma a un mondo concreto e presente. Le vicende sono quelle di Arabella Essiedu (interpretata dalla stessa creatrice che scende anche in campo di fronte alla telecamera), una giovane scrittrice di origini ghanesi che vive nella Londra d’oggi. Star di Twitter e personaggio pubblico particolarmente attivo in rete, la protagonista è divenuta un’icona della generazione Y con la sua prima opera, Chronicles of a Fed-Up Millennial. Si tratta dunque di una millennial sopraffatta da una realtà di eccessi e drammi propri di un’età e un contesto avviliti da precarietà e rabbia. L’annoiata protagonista in cerca di ispirazione finisce per essere coinvolta in una spirale che ne determina vita, trauma, presa di coscienza e rinascita. Sopraffatta dalla pressione sulla sua seconda opera, l’episodio pilota catapulta la donna in una serata fuori per locali in cui, tra drink e balli scatenati, le cose non vanno come sperato. La realtà di Arabella si trasforma in un incubo difficile da decifrare tra ricordi soffocati da trauma e alcool. Infatti, la mattina seguente la giovane si risveglia con uno straniante vuoto: i ricordi sulla nottata sono confusi, sparpagliati e colmi di momenti di buio in cui non c’è chiarezza su cosa sia accaduto. Ci sono soltanto un preoccupante taglio sulla fronte e lo schermo rotto dello smartphone a indizi del fatto che forse non sia andato tutto liscio come al solito.

Con l’aiuto degli amici Kwane e Terry, la miniserie ci proietta nel tentativo di Arabella di ricostruire gli eventi della notte che tanto preme sulla sua coscienza. Il bisogno di far chiarezza incalza sulla salute psicofisica della protagonista che si sente bloccata dal vuoto che la sta piano piano consumando.

i may destroy you
I May Destry You (640×425)

Fino a quel momento, la vita della spensierata millennial in ascesa era stata determinata da una personalità forte e sicura, difficile da scalfire e segnata da una concatenazione di storie d’amore relativamente deludenti. La carriera apparentemente florida, un gruppo di amici coetanei con cui spassarsela, un flirt esotico con un giovane italiano conosciuto in viaggio, e un nuovo volume letterario, sembrano i presupposti perfetti affinché la vita della protagonista prosegua alla grande. Ma, con un effetto farfalla di portata rilevante, gli eventi della serata che fatica a ricordare sradicano ogni ingenua certezza di Arabella, finendo per ripiegarla su sé stessa e assorbirla in un vuoto che rischia di divorarne concezione e identità. Reagire e razionalizzare sono aspetti chiave in un racconto schietto e provocatorio che si muove sul tema principale del consenso sessuale (oltre che attorno ad altre tematiche di estrema rilevanza connesse prevalentemente al mondo del sesso e della violenza).

Con I May Destroy You, Michaela Coel offre una serie tv che parla della cultura dello stupro in una società che continua a essere pervasa da sessismo, classismo e razzismo.

Nel corso degli episodi scopriamo in I May Destroy You un racconto pungente, ruvido, a tratti comico. Infatti, la miniserie viene canonicamente etichettata a tragicommedia e black comedy, ma la commistione con il dramma psicologico è tale da permeare buona parte del racconto. La serie tv di Michaela Coel finisce per essere prevalentemente drammatica e introspettiva tanto da far passare in secondo piano gli aspetti segnati da un umorismo tagliente che si muovono di quando in quando per sdrammatizzare o rinforzare la ferocia del racconto. L’ibridazione è forte e un genere finisce col prevalere sull’altro in una storia che in dodici episodi da trenta minuti ciascuno ci cala in un viaggio doloroso e dall’eccentrica vena ironica. E’ il viaggio di Arabella che riscopre la propria voce: la protagonista passa dall’essere incoronata in rete a voce di una generazione intera, a dover ritrovare sé stessa e la sua vera identità e voce soppresse da fatti celati. La ricerca della verità e la rivendicazione della propria indipendenza come donna portano il personaggio di I May Destroy You a scoprire di esser stata drogata e violentata nella notte che ha rimosso.

I May Destroy You è una scossa. E’ il racconto semi-autobiografico con la quale Michaela Coel narra sullo schermo la difficoltà di processare la violenza subita, le fasi che conducono a una nuova consapevolezza, dagli alti più elevati ai bassi più profondi.

I May destroy you
I May Destroy You (640×428)

Arabella va incontro al caos di un puzzle da ricostruire.

In I May Destroy You si parte con lo stupro di Arabella, drogata e violata, quale forma più esplicitamente comune di violazione del consenso sessuale. Da qui, la miniserie arriva a dinamiche amare e intenzionalmente taglienti in cui rabbia e ingiustizia sono preponderanti. A seguito della più chiara manifestazione di violenza sessuale, lo show attraversa le più labili situazioni in cui il consenso continua a essere un elemento chiave, negato in qualche modo, e animo di violenza. Attraverso il corpo e le storie di Arabella, Terry e Kwane vengono rappresentate altre situazioni in cui la privazione della consensualità è perpetuata. Dal subdolo tentativo di Zain di rimuovere di nascosto il preservativo durante l’atto, alla manipolazione subita da Terry che la conduce a un rapporto a tre con due uomini che si fingono sconosciuti, I May Destroy You racconta alcune situazioni di violenza che spesso non vengono esposte a sufficienza e/o con consapevolezza. Gli stessi personaggi sono spesso vittime di dinamiche che, per un motivo o per un altro, non sono in grado di classificare, e lo straniamento prodotto da infide violenze di questi tipo li lascia in balia di confusione e dell’incapacità di decifrare sensazioni e determinare quali sentimenti dover provare.

Arabella è vulnerabile a seguito di quanto accaduto, ma non per questo decide di tacere. La rabbia permea una storia che decide di esporre una realtà silenziosa ma ingombrante arrivando anche a sequenze autodistruttive e conclusioni controverse. La donna reagisce a modo suo, arranca e tenta di sposare il dolore per aggredire una realtà ingiusta e opprimente con la forza di chi controbatte e non si arrende.

Michaela Coel e Arabella decidono di non tacere sulla sistemica violazione del consenso. Con una serie tv ruvida e provocatoria espongono una società che ha ancora molto da lavorare.

Ingiustizia, indipendenza, trauma e rabbia aleggiano in I May Destroy You, facendola diventare un manifesto finalizzato a esporre qualcosa di importante. Ma non mette in luce soltanto fragilità e rimpianti. Lo show dà una nuova voce alla sua protagonista che con forza e cruda tenacia anima una delle serie tv più d’impatto del 2020. Una sceneggiatura diretta e volta a delle finalità enunciative chiare, senza poi considerare le denunce più velate calate all’interno del titolo, in particolare concretizzate dalla presenza e rappresentazione della black community britannica nella produzione. Con l’opera, Michaela Coel espone anche le mancanze ancora presenti (alcune alle volte impercettibili per un’audience bianca) nel mondo dello spettacolo e nell’industria creativa che la donna ha vissuto e vive tutt’ora sulla sua pelle. Ed è proprio la voce che la produzione seriale dà alla sceneggiatrice e attrice britannica a essere emblema del mezzo di diffusione che la televisione (e la serialità in genere) sono ancora: l’impatto che è scatenato da uno strumento di tale formato è inarrestabile. Sta poi al rancore e al carattere di personalità come Michaela Coel la capacità di esporre col linguaggio audiovisivo quanto di più pressante sul tessuto sociale passato, presente e futuro. I May Destroy You arriva dritto allo stomaco senza preoccuparsi delle conseguenze grazie anche e soprattutto a una sceneggiatura solida, un cast messo brillantemente alla prova, e a una continua tensione provocatoria che conferisce il giusto nervo al racconto. Si tratta di una miniserie pesante, ma necessaria che si colorisce con l’elettrico umorismo di Michaela Coel, perfetta nel proporre la prospettiva di una millennial di colore che cerca di affermarsi nel mondo londinese dell’editoria tra microagressioni, misoginia e vita mondana.

I May Destroy You: la rivoluzione passa dalla tv