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5 monologhi di Annalise Keating che rimarranno nella storia della televisione

Se c’è una cosa che ci manca di How to Get Away with Murder è senz’altro Annalise Keating. Un personaggio che fin dall’inizio ci ha fatto capire chi fosse: cinica, spietata, senza scrupoli, ambiziosa, dedita al lavoro e alla carriera. È un avvocato brillante e un’insegnante dalla quale tutti vogliono imparare, nonostante i suoi metodi possano essere discutibili e la sua severità sia leggenda. Ma abbiamo scoperto che Annalise è molto di più.

How to Get Away with Murder ci ha dato la possibilità di conoscere la vita di un personaggio stupendo, tridimensionale, reale.

Nel corso della serie vediamo ogni sfumatura della donna. Conosciamo la sua cattiveria ma anche la sua gentilezza. È una villain, un antieroe, un avvocato ma anche un’amica, una madre, una moglie e un’amante. Però soprattutto è una forte donna nera che alla fine riesce ad accettarsi, dando a tutti noi una grande lezione.

Di monologhi significativi Annalise ce ne ha lasciati parecchi. Andiamo a vedere insieme quelli che entrano di diritto nella storia della tv.  

1) L’arringa finale (6×15)

Iniziamo dalla fine, da uno dei monologhi più belli di sempre. Annalise difende se stessa nell’unica maniera possibile: dice la verità. La maschera che aveva indossato fino a quel momento cade definitivamente davanti alla giuria, alla famiglia, ai nemici e agli amici. Ma soprattutto di fronte a se stessa. Perché diventare Annalise Keating, seppellendo Anna Mae Harkness, non le è servito. Ha fatto carriera ma a che prezzo? Ha perso tanto, troppo, tutto. E quando ha provato a scappare, perché terrorizzata, l’hanno colpevolizzata. Dimenticando subito quello che la donna ha fatto per tutti, ciò che ha sacrificato.

Certo, ha fatto cose discutibili. Corrompere i testimoni, manipolare i giudici, far mentire i suoi clienti sotto giuramento sono solo alcuni esempi. Ma non è un’assassina. È semplicemente una donna nera, bisessuale, arrabbiata ed esausta. Quella stanchezza la sentiamo in ogni sua parola. Come sentiamo il suo orgoglio quando ammette chi è, senza più vergogna.

È un momento potente ed intenso in How to Get Away with Murder.

L’interpretazione di Viola Davis l’ha reso ancora più bello: ogni parola, gesto, espressione si carica di un significato profondo, che ci colpisce dritto al cuore. Perché non stava recitando, era lei al cento per cento.

2) Il discorso alla Corte Suprema (4×13)

Nel crossover con Scandal della quarta stagione di How to Get Away with Murder, Annalise Keating discute un caso alla Corte Suprema con un’arringa da brividi. Senza paura denuncia apertamente le falle del sistema giudiziario americano. Una condanna che si estende a tutta la società. Perché ci sono persone come Jim Crow che vivono attraverso la mancanza di diritti civili garantiti ai detenuti e cittadini afroamericani. Perché, citando le stesse parole dell’avvocato:

“Il razzismo fa parte del DNA dell’America. E finché chiuderemmo un occhio davanti alla sofferenza di coloro che ne subiscono i soprusi, non sfuggiremmo a quel patrimonio genetico”.

Sono due frasi potenti e toccanti perché purtroppo per molte persone questa è la realtà. La nostra mente non può non tornare a George Floyd sentendo quelle parole. Inoltre sono ancora più significative se a pronunciarle è una donna di colore che ci porta a riflettere sulle piaghe della società.

A dirle, infatti, è stata Viola Davis, più che Annalise Keating. Questo rende la scena più vera, insieme alla telecamera che indugia non sui personaggi, non su Annalise, Oliva e Ophelia, ma su tre forti donne nere: Viola Davis, Kerry Washington e Cicely Tyson.

3) L’arringa finale nel caso Nate Senior (5×05)

Annalise dà il meglio di sé in tribunale con i suoi monologhi che da aggressivi sono diventati più calmi. Ma non per questo meno impattanti. In alcuni casi, infatti, non c’è bisogno di urlare. Annalise lo dimostra nella 5×05 di How to Get Away with Murder. Il caso di Nate Senior viene ridiscusso di fronte a una giuria che non sembra convinta di ribaltare la sentenza. Quell’insuccesso potrebbe condizionare la sua class action, dato che quello è il caso di punta.

Allora Annalise gioca il tutto per tutto.

Di fronti ai giurati descrive dettagliatamente quello che Nate Senior deve aver provato nel suo lungo periodo di isolamento carcerario, chiuso in una cella grande quanto un posto auto. Restare solo per tutto questo tempo ha avuto impatto sulla sua salute mentale. Una volta uscito ha fatto qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di fare: è esploso. Non potrebbe essere altrimenti. Perché tutto quello che ha sentito in quella solitudine infinita è stato un silenzio così profondo da essere assordante.

Un silenzio terribilmente rumoroso.

E lo sentiamo anche noi grazie a quel minuto di silenzio insopportabile. Eppure, è solo una frazione di ciò che deve aver provato quel pover uomo di Nate Senior.  

4) Annalise parla di suo figlio (4×06)

In una delle sessioni di terapia con Isaak, Annalise finalmente si apre. Sostenere il peso delle aspettative che le persone hanno su di lei è difficile. Secondo il mondo deve essere una moglie, una mamma, un avvocato di successo, un’eroina. Ma soprattutto deve essere forte, in ogni momento e con tutti, perché questo è quello che insegnano alle donne. Non può mostrare debolezze, non può vacillare perché troppi contano su di lei. Però Annalise è umana. Ha il diritto di essere debole, di piangere, di vacillare nei momenti bui e poi di rialzarsi in quelli luminosi. Non può essere forte sempre. Eppure questo vuol dire esserlo.

Riesce anche a venire a patti con la morte di suo figlio, parlandone per la prima volta in How to Get Away with Murder.

Si sentiva terribilmente in colpa, tanto che ha iniziato a bere e ha tentato il suicidio. Un sentimento che tuttora prova, vive, sente. Anche se Isaak le dice che non è colpa sua, Annalise vuole essere libera di provare quello che vuole, non quello che dovrebbe.

Questa è la parte più commovente e intensa del suo discorso perché è uno dei rari casi in cui vediamo Annalise Keating non come l’avvocato badass che distrugge tutti in tribunale, ma come la donna che si nasconde dietro quella corazza.

5) La scena del cuscino (6×01)

All’inizio della sesta stagione, Annalise è protagoniste di una delle scene più meravigliose e significative di How to Get Away with Murder.

È in riabilitazione, anche se è scettica sulla cura. Però una frase le entra dentro come un tarlo fastidioso: “Io ti vedo e ti voglio bene”. Perché, in fondo, lei non è mai riuscita ad amarsi. Anzi si odia così tanto che ha preferito cambiare, indossare un costume, essere qualcun altro. Ma prima o poi il trucco cade e succede anche ad Annalise.

Su quel cuscino riversa il dolore, la vergogna, gli abusi, il bullismo, il maschilismo, la violenza e, soprattutto, l’odio. Per la società, per se stessa: si definisce un fallimento, un mostro, un rifiuto, una sgualdrina. Ma solo lasciando andare quei sentimenti negativi può iniziare davvero a guarire.

Chi non si è mai sentito così almeno una volta nella vita?

È qui che sta la potenza e l’inspirazione di questo monologo. Tutti indossiamo delle maschere prima di uscire di casa. Maschere che ci rendono accettabili nella società, forti e formidabili. Maschere che nascondono i nostri traumi e le nostre insicurezze. Viola Davis non mette a nudo solo se stessa, ma tutti noi in un momento così realistico da metterci a disagio.

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