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5 motivi per amare (oppure odiare) Frank Underwood

Frank Underwood
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Attenzione: nel pezzo che segue potrebbero essere presenti tracce di spoiler su “House of Cards”, “I soliti sospetti” ed “Un perfetto criminale”. Per gli ultimi due, ci si rivolga a Caparezza.

È un uomo dall’altissimo senso dello Stato: “La Costituzione è come le gomme: non morirai per averle inghiottite”. È un inguaribile romantico d’altri tempi: “Io amo quella donna. La amo più di quanto gli squali amino il sangue”. È fondamentalmente buono: “Se devi fargli male, assicurati di farlo in modo eccessivo ed insopportabile, affinché capisca che puoi causargli un dolore molto più forte di quello che potrebbe causarti lui”. Dategli un Nobel per la Pace: “Stringi le mani con la destra, ma tieni sempre una pietra nella sinistra”. Ah sì, è decisamente un ottimo politico: “La natura delle promesse è quella di farle rimanere immuni al cambiamento delle circostanze”. In una parola, è Frank. Frank Underwood.

IL “SOTTOBOSCO” DEL POTERE“Nel bene o nel male, purché se ne parli”. Giulio Andreotti, il personaggio più teatrale della storia della politica italiana dell’era repubblicana, incarnò in sé la massima di Oscar Wilde a tal punto da far pensare a molti che fosse frutto unicamente del suo pensiero. Quando si pensa ad Underwood, in fondo, la sostanza è la stessa: la distanza tra amore e odio è minima, i sentimenti si confondono, rendendo superflua la differenza tra bene e male. Lo si può amare, lo si può odiare, ma l’impatto carismatico del personaggio è tanto forte da non lasciare mai indifferenti. I cinque motivi per amarlo sono gli stessi per odiarlo: è il destino dei villains di successo, la chiave di volta della rivoluzione delle serie tv degli ultimi quindici anni. Ai lettori la scelta. Le polarizzazioni nette hanno stancato il pubblico, le sfumature sono molto più intriganti. Gli autori di “House of Cards” l’hanno capito benissimo.

CINQUE MOTIVI PER AMARE (OPPURE ODIARE) FRANK UNDERWOOD

1. ULTIM’ORA: FRANK UNDERWOOD È UN ESSERE UMANO! – Incredibile, ma vero: persino la star di “House of Cards” ha bisogno di un amico. Chi interpreta il ruolo? La moglie? No, Claire è una donna pericolosissima, tanto fragile quanto ambiziosa, in bilico perenne tra il conflitto d’interessi ed il sentimento contrastante nei confronti del marito. È troppo simile a Frank per essere sua amica. I due non sono protagonisti di un matrimonio, ma di un contratto di lavoro. Coppia in pochi momenti, azienda del potere nel resto del tempo. E allora chi? Doug? È solo un braccio armato. Meechum? Troppo debole. Freddy? In minima parte. Thomas? Anche. Chi è, Frank? Chi diavolo è? Il mondo intero. Sembra un paradosso delirante, ma non lo è: l’uomo più diffidente ed inaffidabile del pianeta, affida sfoghi e confidenze a milioni di spettatori, il mondo che osserva il teatrino del Congresso americano di “House of Cards”. L’attività preferita di Frank, oltre che buttare sotto i treni le amanti ripudiate, divorare costolette come se fossero i suoi nemici e divertirsi con i videogames, è intrigare gli spettatori attraverso lo sfondamento della quarta parete. Non è un semplice esercizio di vanità di Kevin Spacey (“È lui Kaiser Souse nei Soliti Sospetti!”): ha una funzione ben precisa. Un politico alla Underwood non può avere confidenti, deve passare la vita a mentire e indossare una, dieci, centomila maschere. Eppure c’è un problema: è un uomo e deve sfogarsi con qualcuno, quindi ogni tanto oltrepassa lo schermo e parla con il resto del mondo, alle uniche persone che non possono interferire con i suoi interessi. Ascoltatelo, ne ha bisogno.

2. MACHIAVELLI A TEATRO, ATTRAVERSO UNA SERIE TV – Tra una ripresa e l’altra di “House of Cards”, Kevin Spacey (“Cattivo di Superman? Kevin Spacey!”) vola a Londra e interpreta a teatro il “Riccardo III” di Shakespeare. Un caso? No, affatto. Riccardo III è il riferimento culturale più vicino ad Underwood. Esasperando un po’ i toni, si può dire che Frank sia il pronipote ideale del re inglese vissuto tra la metà e la fine del XV secolo. In parte nella realtà storica, ma sopratutto nella costruzione teatrale shakespeariana. Anche Riccardo si confida col pubblico (“Prenderò per moglie la figlia più giovane di Warwick. Sì, le ho ucciso marito e padre, ma che importa?”), anche Riccardo è ambizioso e sanguinario, tirannico e arrivista, vanitoso e carismatico. Come Frank, alleato unicamente con l’idea di potere. Dai trattati di Machiavelli al teatro di Shakespeare il passo è breve, dal teatro inglese alle serie tv americane lo è ancora di più. “House of Cards” è la serie tv più teatrale mai concepita. Merito di Frank Underwood, merito di Kevin Spacey (“Perfetto Criminale? Kevin Spacey! Ho capito, non c’è bisogno che mi stressi!”). La politica americana, in fondo, è solo un pretesto: l’obiettivo finale è creare un trattato moderno sul potere alla portata di tutti, raggiunto attraverso la modernizzazione di strumenti e linguaggi. Grazie, Frank.

3. FRANK È SINCERO“House of Cards” è l’ennesima dimostrazione del fatto che la crudezza in tv paga. Frank, nel momento in cui si muove con crudeltà all’interno delle dinamiche di potere della politica americana, parla, involontariamente, anche della politica italiana (e non solo). Il concetto di potere è universale, ma non lo è la sincerità con la quale si affronta il tema. In Italia ci sarebbe spazio e temi per realizzare tanti “House of Cards”, ma non lo si fa. Manca la libertà per farlo ed il coraggio di spogliare il Renzi o l’Andreotti di turno (Sorrentino, purtroppo, è poco più di un’eccezione). Le confidenze di Frank sono una manna dal cielo: i re, finalmente, sono nudi.

4. IN FONDO, È IL PROTAGONISTA DI UN LUNGO FILM – Underwood, dopo tre stagioni e trentanove episodi, ha ancora moltissimo da dare. Il pericolo di un “one man show” (si esagera, ma il protagonismo del protagonista è evidente. Non regge da solo la serie, ma poco ci manca) è che esaurisca le pile dopo una stagione, massimo due, venti o venticinque episodi, mentre il personaggio di Frank, nonostante tutto, ha ancora la capacità di stupire senza sentire il peso degli anni. La terza stagione è, a detta di molti, la migliore di “House of Cards” e la quarta, in bilico tra un matrimonio in frantumi e la campagna verso le presidenziali del 2016, promette scintille. Il dualismo con Petrov e la nuova veste di Frank nei panni da Presidente hanno dato nuova linfa alla serie, sempre più sfaccettata. Prima o poi ci si stancherà anche di Frank, ma non ora. Un’altra stagione, please: non abbiamo ancora capito tutto del terribile Underwood.

5. IL FASCINO DEL LEADER – L’ultima motivazione è legata ad un personaggio imprevedibile. Enrico Letta, ex presidente del Consiglio (silurato da un politico del quale non riveleremo l’identità e chiameremo per comodità Matteo Underwood), odia “House of Cards”. Ha detto: “Io detesto House of Cards. Credo che sia la peggiore delle fiction televisive che si possa far passare. L’idea di politica che esce da lì è una politica tutta fatta di intrighi, di cose terrificanti”. Sì, in minima parte ha ragione, e proprio per questo non sarà mai il protagonista di una fiction Rai interpretata da Beppe Fiorello. Mai. E “House of Cards” avrà ancora vita lunga. Si torna al punto di partenza: i villains sono il trionfo dell’odio associabile all’amore e all’idolatria. Frank può “stare sereno” (almeno lui): il suo fascino non è sarà mai in discussione. Vincerà sempre. Come può lasciarci indifferenti?

Antonio Casu