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Homeland, l’ombra di Brody e l’eterno viaggio tra quiete e tempeste

E se Homeland non fosse mai cambiato?

Ci si potrebbe rivolgere la stessa domanda cambiando però il soggetto: e se Brody ci fosse ancora? Le critiche rivolte a Homeland alla fine della terza stagione, e anche a causa di come la terza stagione è finita, non sono state leggere, e l’ombra di Brody è stata una costante nella stagione successiva. Basterebbe pensare a quanti fan hanno smesso di vedere la Serie solo per questo. Ma non si poteva e non si può pretendere che un capolavoro come Homeland prolunghi le sue storyline per tantissimo, troppo tempo. La decisione di cambiare totalmente tema di fondo a partire dalla quarta stagione ha dato nuova vita alla Serie e si sa, quando si cambia si ha bisogno di un po’ di tempo per trovare il giusto equilibrio.

Un equilibrio che Homeland non ha mai avuto e non ha mai neanche ricercato. La sua trama è sempre stata dinamica, profonda, al limite tra la vita e la follia.

La fine di Brody è stata per certi versi, la fine del primo Homeland. Siamo rimasti inermi, come la stessa Carrie, nel guardare una fine che non ci aspettavamo e che avremmo voluto evitare fino agli ultimi istanti. In realtà, abbiamo pensato che non sarebbe accaduto, che in qualche modo Carrie Mathison, che fino ad allora non aveva fatto altro che uscire vittoriosa da situazioni impossibili, avrebbe anche in quel caso evitato l’inevitabile. Abbiamo sentito la tensione, abbiamo stretto le mani intorno a quel recinto con gli occhi spalancati, aspettato che succedesse qualcosa. Ma l’unica cosa che abbiamo visto accadere è stata la sua fine.

Eppure in tre stagioni siamo stati abituati a vedere la realtà così com’è, questa Serie non ha mai nascosto nulla. L’azione, il dinamismo e la crudeltà hanno sempre fatto parte dello scenario. E con il senno di poi, quella morte, la fine di quel personaggio, è stata una scelta azzardata, ma in fin dei conti azzeccata.

Ed è così che Homeland è rinato, sulle ceneri di un uomo ormai al limite.

Ovviamente le conseguenze della sua morte hanno invaso la trama, hanno reso la figura del soldato Brody un’ombra ancora più che presente nella vita di Carrie. Quello che le ha lasciato è stato forse anche di più di quello che le ha potuto dare in vita. Una figlia che prima di diventare sua figlia è stata un ricordo costante dell’uomo che ha amato e che non ha potuto salvare.

Il nostro brusco risveglio non è lo stesso dell’inizio della quarta stagione che riparte molto tempo dopo la morte di Nicholas Brody. Non ci sono elementi che rimandino al finale precedente, ma rimane Franny, rimane il ricordo di una morte inevitabile.
Carrie cambia prospettiva, non è più guidata dalle emozioni, ma da una sincera volontà di andare via dal passato, scappare da sua figlia e da ciò che la distrugge.

É Carrie infatti a prendere il posto di assoluta protagonista di Homeland. Come lo è stato all’inizio della prima stagione e come continuerà a esserlo anche nelle stagioni successive. É  la parte che nell’equazione è sempre presente. Mentre tutto intorno a lei cambia, si stravolge e muore, lei rimane, soffre e rinasce. Come in un insolito paradosso.
É una donna dalla straordinaria follia (come spieghiamo in questo articolo), non pretende nulla, cerca un suo equilibrio e vive per il suo lavoro. É sempre stata parte della CIA e lasciare andare l’agenzia dopo tutto quello che le è accaduto è stata una necessità.

Dalla quarta stagione subisce una lenta trasformazione che per ora arriva fino alla sesta stagione. Trova un equilibrio che le serviva, ma non è quello che le servirà per sempre (qui potete trovare le recensioni della stagione appena conclusa).

Homeland continua a essere un capolavoro, con o senza Brody. Carrie Mathison è l’ago della bilancia che crea equilibrio e genera il caos. Non può essere altrimenti, è per lei che ne varrà sempre la pena.

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