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Quand’è che Homeland ha smesso di essere Homeland

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler su Homeland

Mettiamo subito in chiaro una cosa fondamentale: l’articolo è un atto d’amore nei confronti di una serie fantastica, un caposaldo dell’ultimo decennio (e non solo). Detto questo, è chiaro che nel pentolone ci sono tanti ingredienti di cui poter parlare, alcuni dei quali potrebbero risultare a sfavore, altri ad appannaggio della serie.

Un breve excursus storico e narrativo sembra, tuttavia, doveroso prima di abbracciare in pieno la tematica principale: quando Homeland ha smesso di essere Homeland. La serie di spionaggio con Claire Danes e Damon Lewis si colloca tra i migliori prodotti di genere degli ultimi anni, al fianco di 24 e del sottovalutato The Americans.

I sotterfugi, i travestimenti, le bugie, il terrorismo, il doppio gioca, la guerra, la diplomazia; dieci anni dopo i tragici eventi dell’11 settembre, Homeland ripesca dal cilindro spauracchi e paure americane mai sopite e l’eterno conflitto contro Al Qaida il cui leader risponde al nome del machiavellico e subdolo Abu Nazir, a lungo inseguito dai protagonisti della serie fino alla seconda stagione.

La protagonista, un’inquieta e cinica agente della CIA, Carrie Mathison, affetta dal disturbo bipolare, è fortemente convinta che un marine americano, da tempo dato per scomparso e clamorosamente rientrato in patria dal nulla, si sia, dopo otto anni di prigionia a seguito della guerra in Iraq, convertito all’Islam diventando la principale arma di Al Qaida all’interno dell’establishment politico americano come fidata talpa e fine stratega dello spionaggio.

Nicholas Brody, interpretato da un tormentato Damian Lewis, farà di tutto per convincere il proprio Paese della propria onestà e integrità in un turbolento rapporto con la propria nemesi, Carrie Mathison, con la quale nascerà persino un’intrigante e passionale storia d’amore.

In un vorticoso sali e scendi di emozioni, attentati e colpi di scena, la linea narrativa principale si esaurirà con la terza stagione quando Brody, tornato a collaborare con gli americani nel tentativo di riscattare la propria reputazione, verrà impiccato in pubblica piazza dopo l’omicidio del capo dell’intelligence iraniana Akbari.

Un evento formidabile e tremendamente raro per una serie televisiva che vede, così, perdere il proprio protagonista maschile con una morte violenta quanto inaspettata che ci ricorda, in termini di sorpresa, la traumatica dipartita di Ned Stark al tramonto della prima stagione di Game of Thrones.

Cosa succede a Homeland dopo questo improvviso cambio di scena e modifica di direzione? La terza stagione, di fatti, rappresenta un vero e proprio crocevia dell’intero prodotto in questione.

Qui iniziano le prime polemiche da parte degli agguerritissimi fan della serie che avrebbero gradito un epilogo del tutto differente.

Homeland, invece, in barba alle critiche e alle possibilità di inciampare in nuovi e ostili territori, coraggiosamente decide di proseguire le vicende di Carrie Mathison trasferendola in giro per il mondo all’insegna di nuove e poderose avventure giocando finemente su alcune delle tematiche più contemporanee degli ultimi anni.

Homeland, quindi, riesce a snaturare sé stesso? Forse si, forse no.

La caccia alla spia (sottotitolo, del resto, dell’edizione italiana andata in onda sul canale Fox di Sky) che aveva caratterizzato l’arco narrativo di ben tre stagioni si esaurisce qui, così come l’elegante e voluttuoso flirt tra i protagonisti (dal quale nascerà anche la piccola Franny), mentre la minaccia Abu Nazir, il vero antagonista della serie, svanisce con la sua uccisione per mano dei cecchini.

Tutto lascerebbe pensare a una conclusione definitiva della serie, d’altronde le vicende che ci hanno tenuto col fiato sospeso per ben tre stagioni finiscono lasciandoci persino l’amaro in bocca.

homeland

Cosa succederà adesso? Quali saranno le vite dei protagonisti a seguito degli accadimenti fin qui narrati? Sarebbe opportuno proseguire la serie nonostante un importante cerchio si sia definitivamente chiuso?

Nonostante tutto facesse presagire, comprensibilmente, il contrario, gli autori decidono di adornare Homeland di innovative vesti aggiungendo storie differenti, seppur autoconclusive stagione per stagione, impreziosendo la caratterizzazione di personaggi fino ad ora rimasti in secondo piano (su tutti Max Piotrovsky, esperto di tecnologia informatica e l’agente della Cia Peter Quinn e la sua toccante trasformazione dominata dai trascorsi professionali) e arricchendo il cast di nuovi e sorprendenti personaggi come il presidente americano Keane e il suo avversario mediatico Bett O’Keefe, pungente conduttore radiofonico di estrema destra.

Homeland, del tutto rinnovato e restaurato rispetto le stagioni precedenti, non perde brillantezza, anzi, finanche migliora. E come ci riesce?

Semplice. L’imprinting rimane fedele a sé stesso (l’avvincente trama da spy story che affonda le sue radici non solo in strazianti e sorprendenti colpi di scena di stampo bellico, ma anche nelle astute trame politiche ordite nelle stanze dei bottoni dei Paesi coinvolti), ma la forza della serie consisterà nella grande abilità di percorrere, anno dopo anno, tematiche più che mai attuali come lo spionaggio virtuale, le fake news o il primo presidente americano donna laddove, negli Stati Uniti, si dava ormai per scontata l’elezione di Hilary Clinton nelle presidenziali del 2016, poi, con un colpo di coda inaspettato, vinte dal repubblicano Donald Trump.

L’ultima stagione, trasmessa nel 2020, sarà un vero e proprio capolavoro. I sempre delicati rapporti tra USA e Russia e i continui tentativi di negoziati con i talebani la fanno da padrona con una conclusione perfetta che accontenta tutti gli spettatori rimasti, per quasi un decennio, fedeli all’opera (e sappiamo tutti quanto sia impervio e complicato il terreno dei finali di serie, vedi gli storici e controversi epiloghi di Lost, I Soprano o Il Trono Di Spade).

Con la terza stagione, quindi, Homeland smette di essere la serie che fino a quel momento aveva rapito pubblico e critica (incamerando cinque Golden Globes e ben otto Emmy Awards), ma, contestualmente, risorgendo come una fenice dalle proprie ceneri, diventa altro, spaziando anno dopo anno tra Stati Uniti e Russia, Israele e Iran, Germania e Afghanistan, camminando come un equilibrista sull’eterno e instabile confine tra bene male, molto spesso, purtroppo, complementari e indistinguibili.

Se, inoltre, fino alla terza stagione il cuore del cast è costituito dai due protagonisti, per cui provare allo stesso tempo ribrezzo e complicità, odio e amore, fedeltà e sospetto, dalla quarta in poi sarà solo Carrie la regina indiscussa e insindacabile della serie tv, con le sue contraddizioni, i suoi drammi interiori, la sua malattia, la sua abnegazione al lavoro, la famiglia trascurata, la sessualità libera e spinta, i sospetti e la sua inesauribile sete di giustizia e verità.

Una donna dal passato complesso e da un futuro ancora più burrascoso, divorata dai sensi di colpa scaturiti dalla natura e della violenta ferocia del suo lavoro; una donna instancabile, lungimirante, intuitiva, pronta a tutto pur di raggiungere il suo scopo, a costo di commettere scelte impopolari, scendere a compromessi, tradire uomini leali e compiere, persino, efferate atrocità.

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Carrie Mathison è l’emblema in persona del fine che giustifica i mezzi ed è proprio per questo che lo spettatore rimane eternamente indeciso se parteggiare per lei, volerle bene, provare empatia o discostarsi leggermente dal suo operato, stigmatizzandone le azioni più deprecabili e perdere progressivamente fiducia nei suoi intendimenti.

La stagione numero otto (qui potete leggere il nostro commento, Homeland e la stagione capolavoro come firma finale), quella che conclude l’intera serie, rappresenterà, tuttavia, il suo definitivo riscatto agli occhi del pubblico tornando a essere quell’inesauribile eroina che avevamo ammirato nel corso della prima stagione.

Homeland, in conclusione, rappresenta, se vogliamo, un unicum nel panorama televisivo internazionale. L’abilità degli autori Howard Gordon e Alex Gansa di chiudere un ciclo per aprirne di nuovi è encomiabile tanto quanto difficile da replicare e da rintracciare altrove.

Homeland nasce, muore, risorge e muore una seconda e ultima volta. Ci spiazza, ci tradisce, ci circuisce, ma non smette mai di sorprenderci.

Il ciclo narrativo principale si arresta alla terza stagione senza mai, di fatto, dare l’impressione che la serie possa arenarsi. Anzi, Homeland prosegue dritto per la sua strada di spy-thriller e lo fa in maniera impeccabile concludendosi dopo 96 entusiasmanti e adrenalinici episodi.

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