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Fondazione 2×01 e 2×02 – La Recensione: la fine si avvicina

From the universe to an atom, it all just falls apart in your own damn hands

È finalmente arrivata su Apple Tv+ la seconda stagione di un progetto seriale tanto qualitativamente ambizioso e ben fatto quanto ingiustamente snobbato: Fondazione. Anno 12240 E.I, Gaal Dornick si risveglia finalmente su Synnax, sua casa natale, trovando chiusa in un sarcofago l’ex protettore di Terminus Salvor Hardin. Nel frattempo, il nuovo Fratello Giorno, Cleon XVII, è deciso a prendere moglie e interrompere così la dinasta dei cloni che governa sull’Impero. Un impero che sta crollando su se stesso, corrotto dall’interno da guerre intestine e malcontento, mentre su Terminus la prima Fondazione ideata dal profeta Hari Seldon annaspa.

Una seconda stagione che inizia, dunque, a vele spiegate offrendoci da subito un quadro molto complesso e ricco di dettagli, degno delle pennellate più ispirate di Hieronymus Bosch. D’altronde il Ciclo delle Fondazioni scritto da Isaac Asimov, da cui la serie tv trae ispirazione, è un’epopea galattica di maestosa complessità in cui la fantascienza pura fa solo da mezzo per parlare di politica, scienza e religione. Dimostrandosi, ancora una volta, particolarmente audace, lo show non si tira indietro, fregandosene di farsi capire dal pubblico medio e riconfermandosi quindi un prodotto di nicchia per chi la fantascienza la ama davvero ed è disposto a farsi venire dei gran mal di testa.

Dopo averci presentato i personaggi di questo dramma galattico, Fondazione è pronta ad addentrarsi nei meandri più oscuri dell’Impero e delle sue crisi.

Fondazione
Fondazione (640×333)

La prima stagione rappresentava metaforicamente i primi, timidi passi di un bambino appena nato, di un impero giovane, in salute e presuntuoso perfino. I Cleon di 100 anni fa erano ancora degli imperatori arroganti e sicuri di sé, che non si facevano remore a sterminare popolazioni intere o a prendersi gioco della fede. Adesso, però, tutto sta cambiando. L’universo si contrae su se stesso, mostrando gli acciacchi e i dolori di un corpo maturo che si avvia inesorabilmente verso il declino, se nessuno vi porrà un freno. Una contrazione visibile in ogni parte dell’universo di Fondazione. Cleon XVII è un sovrano decisamente diverso dai suoi predecessori (pur interpretato sempre dal magnetico Lee Pace), deciso a rinnovare la tradizione andando persino contro la volontà dei suoi fratelli cloni.

Già nel rapporto con Demerzel è possibile notare una singolarità rispetto a ogni suo predecessore. L’uomo e la macchina sono più uniti che mai, legati morbosamente da un’attrazione carnale paradossale per la natura stessa di Demerzel. Nella “donna”, Cleon XVII riversa non solo le sue pulsioni fisiche ma anche il desiderio, forse fin troppo a lungo soppresso, di un legame profondo e personale che lo renda un Cleon diverso da ogni altro. Desiderio che viene esplicitato già nel prologo del primo episodio, quando Fratello Giorno chiede a Demerzel di chiamarlo con il suo nome di battesimo durante un momento di intimità.

Fondazione
Cleon XVII (640×320)

Prigioniero di un tracciato predisposto da molti prima di lui e identici a lui, Cleon XVII è pronto a sfidare le leggi del suo capostipite per rinnovare l’Impero e salvare innanzitutto se stesso. Che cosa è in fondo la procreazione se non l’impulso più primordiale di ogni specie di salvaguardare se stessa assicurandosi un futuro? Il desiderare un figlio è, innanzitutto, un mero egoistico tendere all’immortalità. La clonazione per questo Fratello Giorno non è più sufficiente, nonostante i dubbi e le incertezze mosse dalla sua promessa sposa Sareth I, discendente di Dominion. Un personaggio, quello di Sareth, che rimane al momento molto ambiguo, quasi indifferente alla possibilità di diventare imperatrice e più interessata alle motivazioni psicologiche di Fratello Giorno.

Un altro prigioniero è poi Hari Seldon, intrappolato all’interno del primo radiante e oppresso dalle sue stesse profezie. Seldon è il maestro, lo scienziato che si è fatto da sé ma anche il martire e il profeta che altri hanno eletto per dare un senso alla loro fede. Ecco quindi che Terminus, prima Fondazione che ha fallito nella sua missione, si è lentamente trasformata in luogo di pellegrinaggio di una religione di Vanna Marchi spaziali. Clerici-pubblicisti che esportano il verbo tra giochi di fuoco e promozioni prendi 3 paghi 2. La parola di Hari Seldon, la cui copia digitale uscì 100 anni prima dal Vault, è ormai solo uno slogan recitato male.

Il primo radiante (640×398)

In questo universo alla deriva che si affida in maniera incoerente alla religione o alla politica, la scienza tenta instancabilmente di tracciare un cammino più sicuro. Ed è proprio nella scienza incarnata dalla triade Hari – Gaal – Salvor che potrebbe risiedere la salvezza dalla nuova imminente crisi. Nella guerra che si affaccia all’orizzonte tra Terminus e l’Impero, la creazione di una seconda Fondazione su Ignis (pianeta finora sconosciuto) si prospetta come l’unica via possibile e anzi necessaria per impedire che si avveri la profezia apocalittica delineata da Hari Seldon, ormai molti secoli prima. Nell’oscurità che avanza, inoltre, pare nascondersi un’ulteriore minaccia dagli strani potri, nota finora solo con il nome di Mulo. Questo nemico temibile, dagli occhi brillanti ci appare attraverso una visione di Gaal come un anti-Cristo venuto a distruggere il profeta e i suoi discepoli, portatore di caos e distruzione in un Impero ormai in rovina.

Gaal, pur sentendosi fuori posto, è pronta a fare ammenda per aver deviato senza volerlo dal percorso preparato da Seldon per evitare le crisi multiple. È lei a rappresentare la scienza teorica che collabora con la scienza pratica incarnata da Salvor Hardin, eroina d’azione in senso stretto. E Hari? Dove si piazza la seconda copia digitale in questa triade? Lui è lo spirito che guida il cammino delle due donne come un faro luminoso.

Prima di salutarci in attesa della prossima volta, c’è un’ultima riflessione che penso valga la pena introdurre. Quella riguardo l’intelligenza artificiale. Mai come negli ultimi mesi, il tema dell’IA è diventato di capitale importanza, tanto da aver innescato una vera piccola rivolta nel mondo di Hollywood e non solo (al cinema e in tv se ne parlava già da parecchio tempo). Persino nell’universo fantascientifico di Fondazione il dibattito su tale tecnologia e sul rapporto tra essa e l’essere umano acquisisce un ruolo di primo piano. I robot, dai quali Asimov era tanto affascinato, si prospettano essere l’ago della bilancia delle trame della serie: l’androide Demerzel e le copie digitali di Hari Seldon indicano silenziosamente il cammino degli umani che li affiancano, decidendone nel bene e nel male le sorti.

Demerzel non è soltanto la consigliera ma anche la madre, la sorella e l’amante perfino, dotata di una intelligenza superiore e una fedeltà senza remore, che entra però adesso in conflitto tra il desiderio di accontentare il nuovo imperatore e quello di proteggere la dinastia genetica. Hari, intelligenza artificiale e ombra sbiadita del fu scienziato, possiede una maggiore libertà e una prospettiva più umana sulle cose, tale che lo rende meno imparziale. Infine, la seconda copia digitale di Seldon, quella contenuta all’interno del Vault, risulta finora la più crudele e insensibile delle tre.

Moltissimi spunti di riflessione quelli dunque offerti da questa seconda stagione di Fondazione che rimane coerente negli intenti e nella magnificenza estetica.