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Stasera cinema? – The Menu

Sotto la voce di dark comedy sul mondo della cucina stellata c’è The Menu, arrivato nelle sale da pochi giorni, spezzando finalmente il filone di film di poco conto che stavano popolando un cinema sempre meno frequentato. Diretto da Mark Mylod e prodotto da Adam McKay (Vice, Don’t Look Up), The Menu si propone come una satira equilibrata costruita su uno script che sembra un menu di alta cucina, ma che in realtà serve allo spettatore una serie di portate il cui ingrediente principale è l’ansia in tutte le sue declinazioni.

Con un cast di commensali di tutto rispetto, tra i quali la talentuosa Anya Taylor-Joy (La Regina degli Scacchi), la star di The Great Nicholas Hoult e l’indimenticabile Ralph Finnies, questo film dai toni dark convince a pieno, convogliando l’entusiasmo post visione in un grandissimo e sentito: wow.

La trama di The Menu

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The Menu (640×360)

Nei primi istanti del film conosciamo quello che sarà il cast di questo strabiliante film. Si inizia da quelli che capiamo subito essere i protagonisti, Margot e Tyler, una coppia di giovani fidanzatini che si recano sull’isola di Hawthorne per una cena stellata nella cucina dello chef Slowik.

Il menu servito dallo chef, basato su una cucina molecolare ricercata e dalle grandi presentazioni, lascia lo spazio a portate sempre più inquietanti, condite da una buona dose di ansia e disperazione che cresce a poco a poco nella mente degli ospiti. Quella che doveva essere un’esperienza stellata si rivela dunque un vero e proprio incubo, vissuto con la quasi totale incredulità degli ospiti, che fino alla fine non si abbandonano alla disperazione ma accettano quasi passivi quello che appare fin da subito un finale scritto.

Da qui in poi seguiranno spoiler.

Privilegio e superficialità

The Menu (640×360)

The Menu è sicuramente un film provocatorio, e lo capiamo dai primi minuti in cui le caratterizzazioni dei personaggi si fanno più evidenti. Il ristorante non rappresenta per gli ospiti un’esperienza culinaria, ma il raggiungimento e l’ostentazione di uno status sociale che li erge a privilegiati.

Tra i commensali troviamo appunto Margot e Tyler, la prima una ragazza evidentemente spaesata dall’ambiente, rispetto all’uomo che oltre a masticare il vocabolario culinario, si emoziona arrivando a piangere di fronte ai piatti serviti. A sedere ai tavoli rotondi seguono poi 3 amici e colleghi, proprietari di una startup in ambito tecnologico, che instaurano una conversazione con Liebrandt, una star del cinema ormai finita nel dimenticatoio e la sua amante. Seguono poi una coppia di politici e due critici gastronomici.

L’approccio di ognuno dei commensali è differente, parodico da parte dei critici, che cercano paroloni per descrivere un qualcosa che è già reso eccessivamente complicato di per sé, superficiale da parte degli altri, nullo da parte della coppia di politici che non bada neanche a quello che sta mangiando, entusiasta da parte di Tyler e disgustato da parte di Margot.

Tra capitalismo, banalità e ansia da prestazione

Ralph Finnies (640×360)

La costruzione filmica si articola in portate, i cui nomi e descrizioni permangono nella nostra mente circa 3 secondi, favorendo invece la memorizzazione di “titoli” sempre più significativi.

Quello che da subito viene più volte ribadito come un menu studiato in ogni suo aspetto e costruito su misura per gli ospiti in sala, diventa ben presto una carneficina, servita sotto gli occhi increduli dei commensali. Interessante è l’evoluzione del significato che il cibo prende all’interno del film, nella prima portata le pietanze vengono descritte con una terminologia ridotta all’osso: “vi nutrirò, ingerirete, proteine, grassi, ecosistemi“, accompagnati da quella che con il senno di poi si rivelerà l‘anticipazione più importante detta da Slowik: “accettate tutto e perdonate”.

Un perdono che non arriverà mai e che sarà al contrario la loro condanna. Il film prosegue e i segreti emergono ad ogni nuovo piatto e ci rendiamo conto che nessuno di loro è esente da peccati nascosti. Margot è in realtà una prostituta, che non solo sta accompagnando Tyler sostituendo la sua ex, ma ha avuto anche una relazione turbolenta con il politico. I tre giovani imprenditori emettono fatture false, l’attore tratta male l’amante (ed è un bugiardo) e i critici hanno appunto criticato i piatti dello chef. La colpa dei politici infine è quella di non aver neanche mai badato ai cibi serviti da Slowik, dandoli per scontati.

Sgomento in piatto

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The Menu (640×360)

Fino al terzo piatto i commensali non si rendono conto realmente di ciò che li aspetta. “La memoria“, nome appunto della portata servita, inizia come un racconto felice di infanzia e si trasforma in una confessione, quella in cui Slowik ammette di aver ferito il padre violento e ubriaco.

Mandato letteralmente giù lo sgomento in piatto, è il momento della portata che segna di fatto il punto di non ritorno: “il massacro“. Violenza e perfezione anticipano un nuovo ingrediente: l’ansia da prestazione, rappresentata in tutto e per tutto dal sous chef, che termina il monologo devastante dello chef con un suicidio.

A questo punto i commensali iniziano a capire la pericolosità della cena, e anche Margot viene messa di fronte a una scelta importante. Scoperta ormai dallo chef, si trova a dover scegliere la fazione a cui prendere parte “chi toglie (i commensali) e chi dà (la cucina).

Ode a Nicholas Hoult, star di The Menu

Nicholas Hoult (640×360)

Personalmente ho trovato estremamente talentuoso Nicholas Hoult, rivedendo in Tyler un personaggio incredibilmente simile a Peter di The Great. Per tutto il film non capiamo come l’uomo possa rimanere così impassibile di fronte agli eventi che si susseguono. Al suicidio reagisce mangiando, applaude ad ogni piatto e presentazione e non coglie nemmeno la possibilità di scappare quando gli viene concessa.

Le espressioni facciali di Hoult raggiungono l’acme nel momento in cui ci viene svelata la verità, ovvero che era al corrente di tutto e ha assunto il personaggio interpretato da Anya Tylor-Joy consapevole che sarebbe morta. L’esecuzione del suo terrificante piatto in cucina è tra i momenti più ansiogeni di tutti, il tempo si dilata e le espressioni di Margot sono anche le nostre: impietrite e consapevoli che da lì a poco sarebbe morto.

Il fuori menu

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Anya Taylor-Joy (640×360)

Come dicevamo all’inizio, il menu costruito dallo chef era studiato in ogni suo dettaglio e proprio per questo la presenza inaspettata di Margot crea un caos in tutta la cucina. Mentre il servizio prosegue, passando per una portata condita di violenza sulle donne e legge del contrappasso (unica portata che Margot mangia), il plot inizia a convergere verso un finale che in realtà ci stupirà anche senza un plot twist.

Margot viene in qualche modo resa parte della cucina, ma disobbedisce all’unica regola che viene data: “non entrare nella casa della chef”. Raggiunta una stanza speciale trova però l’informazione che le permetterà di uscirne viva. Aggredita da Elsa riesce a tornare in sala e chiede una portata fuori menu. A questo punto i fuori menu sono due: il piatto di Tyler e un semplice cheeseburger tradizionale.

La giovane donna, infatti, trova nella casa dello chef la foto di quest’ultimo al suo primo riconoscimento lavorativo, quando sorridente serviva un cheesburger in un fast food. Pattuisce il costo del panino e Slowik glielo serve. Astuta, dice di non riuscire a finirlo e chiede che le venga imbustato per portarlo a casa, servizio al quale lo chef non può dire di no.

Preparato con amore

Cucina (640×360)

La morale arriva alla fine, lanciandoci tutto il significato di questa satira culinaria. Nel momento in cui Margot chiede il panino utilizza termini molto significativi, affermando che lo chef ha tolto alla cena la gioia di mangiare, servendo un cibo fatto senza amore e portandola ad avere ancora “una fottuta fame“, di fatto non soddisfando l’unico grande scopo della cucina. L’amore messo nella preparazione emerge infatti quando lo chef prepara il cheesburger, ostentando appena il primo vero sorriso che gli vediamo sul volto in 1h 47 minuti di film.

Cheesburger molto significativo perché rappresenta di fatto un cibo indissolubilmente associato al proletariato. Margot riesce quindi a scappare e gustandosi il suo panino a bordo della barca lasciata dalla finta guardia che sembra finalmente soccorrerli, guarda da lontano la manifestazione brutale dell’ultima portata.

Gli ultimi due piatti tipici della tradizione statunitense si contrappongono ai piatti serviti fino a quel momento. Mai associato all’alta cucina, l’ultimo pasto servito è la versione umana dei campfire s’mores (un bastoncino con infilzato un marshmallow, sciolto nel fuoco e infilato tra due tavolette di cioccolato e due biscotti). Colpevoli di aver tolto la passione e l’amore dal suo mestiere, gli sventurati ospiti ardono adornati di marshmallow, componendo di fatto un finale conclusivo scioccante seppur aspettato.

Perché The Menu è uno dei migliori film di questo 2022

Hawthorne (640×360)

The Menu non dice niente di originale, non è né il primo né sarà l’ultimo film a fare satira sull’ambiente culinario, tema sempre più amato dalla serialità. Eppure la sua costruzione ha qualcosa di davvero interessante.

La semplice capacità di ambientare un intero film all’interno di una stanza, riuscendo a portare ugualmente il coinvolgimento alle stelle, è un fattore da non sottovalutare. La regia si compone di inquadrature essenziali ma d’effetto, sfruttando la scelta di un punto di vista spesso lontano da coloro che stanno parlando, facendoci sentire le voci di Tyler e Margot pur tenendo una visuale fuori focus sui critici. Il ritmo, accompagnato da una colonna sonora che fa solo da contorno, scandisce perfettamente la cena, aiutata da una scenografica e una luce che va a mano a mano ad affievolirsi, lasciando lo spazio alla notte.

Il cast, capitanato da Anya Tylor-Joy e Ralph Finnies è essenzialmente perfetto, sfruttando gli enormi occhi e l’espressività della prima e la capacità di interpretazioni dei ruoli da villain del secondo.

Quest’ultima cena, in tutti i sensi, è una tragedia culinaria al quale non vorremmo mai presenziare, ma un’esperienza cinematografica che non bisogna assolutamente lasciarsi scappare.