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Il film della settimana: Jackie Brown

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Jackie Brown.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Jackie Brown? Ecco la risposta senza spoiler.

Finalmente è arrivato in streaming su Netflix (e a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv) il film più atipico e sottovalutato di Quentin Tarantino. Jackie Brown è incentrato sull’omonima protagonista, che arrotonda il suo stipendio da hostess esportando illegalmente denaro per conto del non sempre affidabile trafficante d’armi Ordell Robbie e del suo maldestro aiutante Louis Gara. Questi devono vedersela con Beaumont, un loro scagnozzo incarcerato che chiede la liberazione se non vogliono che inizi a cantare. Intanto, Jackie viene beccata dalla polizia durante una consegna di routine. Allora, è costretta a collaborare e a vedersela con il suo stesso socio, disposto a tutto pur di non permetterle di testimoniare. Ma sarà davvero sincera?

Tarantino ha creato con questa pellicola qualcosa di paradossalmente unico. È il suo film meno personale perché non sono presenti molte delle caratteristiche tipiche della sua cinematografia. Eppure, è contemporaneamente il più personale perché rappresenta una storia delicata, intima, profonda, la cui protagonista è icona di forza femminile. È Pam Grier a interpretarla in un misto di cinismo, sensualità, opportunismo e scaltrezza; attrice esponente della blaxploitation, movimento di b-movies indirizzati agli afrodiscendenti. Tarantino riprende questo genere e lo elabora attraverso un’estetica personale, un grande uso della cinepresa e i soliti dialoghi di un affascinante no-sense che mette in bocca a strambi (anche se meno del solito) personaggi metropolitani. Tra questi, il Louis Gara di un Robert De Niro in costante ebollizione, la cui collera cresce in un climax che finirà inevitabilmente per esplodere. A loro si uniscono attori del calibro di Samuel L. Jackson, Michael Keaton, Bridget Fonda e Robert Foster.

Intriso di omaggi tratti da serie, film, musica e letteratura, Jackie Brown è una pellicola da seguire attentamente e da riscoprire, perché, come disse lo stesso regista:

“Con Jackie Brown non ho mai avuto intenzione di sorpassare Pulp Fiction, al contrario volevo mirare più in basso, volevo andare più a fondo”.

E ci è ampiamente riuscito, come vi mostreremo nella nostra recensione nella seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) di Jackie Brown

Jackie Brown

Jackie Brown è stato descritto con parole poco carine: impersonale, banale, noioso e anonimo sono solo alcune di esse. Ciò dimostra quanto questo film sia stato – ed è tuttora – incompreso. Insomma, Tarantino era consapevole che non avrebbe potuto ricreare un nuovo Pulp Fiction; si sarebbe solo suicidato artisticamente. Così, saggiamente e coraggiosamente, sovvertì sé stesso. Si allontanò sia dal pulp surreale della sua opera massima, sia dalla cruda violenza e dalla brutalità del sangue de Le iene. Jackie Brown è meno eccessivo, più lento, ci vivono esseri umani reali senza valigette illuminate o giacche nere ed è privo delle morti esagerate e violente delle sue pellicole precedenti. Senza dimenticarci che trae la sua sceneggiatura da un romanzo di Elmore Leonard e non è un film “written and directed by Quentin Tarantino”. Meno narcisista e più concreto, cambia registro narrativo ma, seppur non sono presenti alcune delle caratteristiche identitarie del suo cinema, non modifica il suo personalissimo stile.

Anzi, lasciando più sullo sfondo quella sua esagerazione ironica e distaccata, ci fa vedere in Jackie Brown che anche Tarantino possiede un cuore. Come ammise lui stesso:

“Questa è una storia d’amore. Se gratti via il resto, la perla dentro il film è la relazione tra Max e Jackie”.

Parlando della protagonista, Jackie è sola, cinica, disillusa, schiacciata dalla società e penalizzata in quanto donna afrodiscendente. È una bellezza sensuale, ipnotica e sottolineata dall’eleganza dei completi che indossa, soprattutto quello nero dotato di un’incredibile fascino. Però, la sua arma è un’altra. Non è la vendetta che arde in Beatrix Kiddo, né pallottole di alcun tipo. È l’astuzia con la quale riesce a manipolare gli altri, a calcolare alla perfezione ogni mossa del suo piano e a uscire dalle situazioni più difficili. Un’eroina femminile che ha camminato per permettere alle altre donne tarantiniane – come la Sposa, Shoshanna di Bastardi senza gloria e Daisy di The Hateful Eight – di correre.

Pam Grier interpreta Jackie – il cui nome è ispirato alla Foxy Brown che l’attrice rivestì nel 1974 – con una performance di carattere e intensa in moltissime parti. Esponente della blaxploitation (quei film indirizzati a un pubblico afrodiscendente), Tarantino la ripesca e se ne serve per omaggiare questo genere e per scrivere una lettera d’amore al cinema, anticipando e capovolgendo ciò che che farà in C’era una volta a… Hollywood.

Soprattutto, è uno dei racconti più intimisti sui personaggi dell’universo tarantiniano, sia per questo riguarda Jackie, sia per gli altri presenti nel film.

Non sono mai eccessive maschere dissacranti mosse da istinti violenti o caricature sboccate dalla parlantina facile, ma risultano insolitamente reali per il regista. Lottano contro i loro fantasmi personali mentre cercano di sopravvivere in una quotidianità marcia, intrisa di polvere da sparo e sommersa dalla criminalità. Ognuno segue il suo percorso psicologico che lo rende imperfetto e umano come noi. Il tutto supportato dal lavoro di grandissimi interpreti, a cominciare da Samuel L. Jackson. Tarantino gli cuce addosso il personaggio di Ordell Robbie e, assieme, realizzano un villain davvero originale. È un uomo pericolosissimo, senza scrupoli, freddo, calcolatore, che riesce a mentire così naturalmente per raggiungere i suoi obiettivi. Però, non prende minimante in considerazione l’idea che esista qualcuno più intelligente di lui e ciò lo fregherà. Allo stesso tempo, ha fascino da vendere e non possiamo che esserne attratti.

Ordell è il doppio di Louis Gara e l’antitesi di Max Cherry.

Con il primo si vede il grande coraggio di Tarantino. Perché a un attore del calibro di Robert De Niro si affida il ruolo principale, non quello di spalla compressa in un uomo che fa pure fatica a esprimersi. Eppure, la scelta di un ruolo opposto rispetto ai suoi soliti standard è vincente. De Niro recita eccellentemente in sottrazione, facendo affidamento sulla mimica, sul linguaggio del corpo e sulla postura, dato che Louis è un uomo taciturno, che borbotta tra di sé, dalla personalità passiva e pronto a esplodere da un momento all’altro. Si vede nel rapporto con Melanie e, assieme, fanno parte della scena più tarantiniana e iconica di Jackie Brown, apice di un’escalation comica e dissacrante.

Max Cherry è l’unica luce di onestà in un mondo di criminalità e l’unica mano amica per la protagonista. Nell’altro trovano la speranza e la salvezza data dall’amore. Tutto ci saremmo aspettati da Tarantino meno che il romanticismo; insomma, in Jackie Brown ci troviamo a commuoverci per un bacio. Incredibilmente. Ed è sorprendente anche perché Robert Forster aveva interpretato duri per tutta la sua carriera. Per lui era l’occasione della vita e non la spreca, ottenendo pure una nomination agli Oscar. Il suo Max è sveglio, risoluto, calmo, magnetico e che non chiude le porte all’amore. O ai sogni. E conclude il quadro il Ray Nicolette di Michael Keaton, in un ruolo più piccolo rispetto ai consueti ma ottimamente realizzato. Pensare che riteneva di non esserne all’altezza!

Jackie Brown

Eccola la splendida genialità controcorrente di Tarantino.

Genialità che traspare anche nella scena del centro commerciale. Lì ripropone per tre volte lo stesso momento visto da tre prospettive differenti, così da rappresentarne ogni sfumatura sia psicologica che dal punto di vista action, senza renderla mai noioso o ridondante per noi. Pur sapendo quel che succederà, perché è come se stessimo visionando il filmato delle telecamere di sicurezza, la tensione non diminuisce mai per un istante. E nello scontro tra la malavita di Ordell e la legge di Ray, in cui entrambi pensano di trionfare sull’altro, l’unicità sta nello scegliere la terza via di Jackie. Inoltre, non è questa scena una rivisitazione moderna di quel che Akira Kurosawa fece in Rashmon? È il classico citazionismo tarantiniano, di cui fanno parte ad esempio, oltre alla già citata blaxploitation, lo split screen di Brian De Palma e la scena iniziale all’aeroporto tratta da Il laureato.

Questa scena, sulle note di Across 100th Street di Bobby Womack, scatena la nostalgia e sottolinea quanto la musica sia parte fondamentale in Jackie Brown.

Preso dai film della blaxploitation, in realtà Tarantino non inserisce musica black in quanto tale, ma semplicemente perché hanno fatto parte della sua formazione. Le canzoni diventano interpreti di ciò che vediamo: ad esempio, Didn’t Blow Your Mind This Time dei Delfonics è rappresentativa di Jackie e Max; il già citato Across 100th street, aprendo e chiudendo Jackie Brown, sottolinea meravigliosamente due stati d’animi differenti. E se parliamo di finale, ci sorprendiamo della mancanza di colpi di scena o esplosioni, ma rimaniamo incantati mentre contempliamo i due protagonisti incapaci di amarsi come dovrebbero. O semplicemente di esprimere i loro sentimenti. Allontanandosi, forse per sempre.

Sì, Jackie Brown non è sovversivo come Pulp Fiction, non riscrive la storia alla Bastardi senza gloria né impegna la protagonista in improbabili battaglie con la katana. La narrazione è cristallina, visibile, eppure la curiosità è alta nello scoprire le mosse di Jackie e degli altri personaggi. Senza dialoghi barocchi o estetiche eccessive, la camera li tallona, li scruta senza mai essere invasiva, li immortala nelle loro fragilità e ossessioni. La pellicola si dilata, vive nelle azioni e si arricchisce mano a mano di riflessioni più profonde del previsto. E allora si spiega perché questo è, in realtà, un film personalissimo. Dietro ogni frame si scorge il Tarantino introspettivo, dalla scrittura umana, pieno di dettagli che ne riproducono la poetica visiva e dall’umorismo calibrato ma estremamente efficace. No, non tira il freno a mano. Semplicemente sceglie un’altra bellissima strada che non smetterà mai d’incantare e che merita di più dell’oblio in cui è caduto.

Il film della scorsa settimana: Tonya