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Il film della settimana: Era mio padre

Tutti abbiamo vissuto quella spiacevole situazione raccontata brillantemente da Zerocalcare in Strappare lungo i bordi: chi non è mai stato ore a scorrere i film sulle piatteforme streaming e non trovare niente da vedere pur avendo a disposizione “tutto l’audiovisivo del mondo” e pensando “è possibile che son tutti film de m*rda”? Certo, la roba bella magari l’abbiamo già vista, altra siamo in ritardo e altra ancora la teniamo per il momento giusto – se arriverà. Vogliamo evitare, però, di finire nella fantascienza polacca del ‘900 in lingua originale, andare a letto frustrati con la nostra coscienza sottoforma di Armadillo che ci costringe a interrogarci su noi stessi dicendo: “Dai su, se su ottomila film non te ne va bene manco uno, forse sei te che non vai bene”. Proprio per questo nasce la seguente rubrica settimanale, in onda ogni lunedì e rivolta sia a chi la pellicola in questione non l’ha mai vista, sia a chi l’ha già visionata e vuole saperne di più: infatti, nella prima breve parte vi consigliamo un film; nella seconda invece ve lo recensiamo, analizziamo o ci concentreremo su un aspetto particolare. E questa settimana abbiamo scelto Era mio padre.

PRIMA PARTE: Perché, dunque, vedere Era mio padre? Ecco la risposta senza spoiler.

Disponibile in streaming su Disney+ e Sky (a noleggio su Amazon Prime Video e Apple Tv), Era mio padre ci porta a Chicago negli anni ’30, dove Michael Sullivan è un killer al soldo della mafia irlandese capitanata dal padrino John Rooney, ma è anche un marito e padre di due bambini. Una notte, suo figlio Michael jr. lo vede ammazzare alcuni gangster assieme a Connor Rooney, l’erede di John. Non fidandosi del suo silenzio, Connor vuole eliminarlo, sebbene Michael lo rassicura che non parlerà. Il bambino sfugge, però, a un attentato in cui rimangono uccisi sua madre e suo fratello minore Peter. Da quel momento inizia per Sullivan e Mike un viaggio alla ricerca della vendetta, che sarà l’occasione per salvare la sua famiglia e per formare un vero rapporto tra i due, ma che costringerà il piccolo a crescere in fretta.

Secondo lungometraggio per Sam Mendes (e prodotto dalla DreamWorks di Spielberg), che dimostra ancora una volta la sua abilità registica nel costruire inquadrature e muovere la camera con originalità e attentissima cura dei particolari. Attraverso una narrazione tragica e violenta, omaggia i gangster movie, sorprendendo positivamente anche l’ideatore del fumetto da cui è tratto il film, Max Allan Collins, che dichiarò:

Avevo immaginato il racconto come una storia di John Woo, ma ne hanno fatto Il padrino e va bene lo stesso!”.

Era mio padre ha una meravigliosa fotografia desaturata che si ispira a Edward Hopper (premiata con l’Oscar), una colonna sonora fondamentale per creare l’atmosfera del film, una scrittura eccelsa e un ottimo cast. Da Daniel Craig a Jude Law, da Stanley Tucci a Jennifer Jason Leigh, passando per un giovanissimo Tyler Hoechlin e, soprattutto, un inedito Tom Hanks nelle vesti di un personaggio negativo (è il protagonista Michael) e un sempre grandissimo Paul Newman nei panni di Rooney, alla sua ultima apparizione al cinema e che crea con Hanks una chimica emozionante e reale. Il tutto si traduce in un brutale romanzo di formazione, in un film crudo ma pieno di calore, dove a essere al centro è il rapporto padre-figlio. E, se volete saperne di più, vi aspetta la nostra recensione nella seconda parte del pezzo.

SECONDA PARTE: La recensione (con spoiler) di Era mio padre

Era mio padre

Sam Mendes era solo alla sua seconda regia, eppure già emergeva il suo eclettismo. Era mio padre, tratto dai fumetti di Max Allan Collins, è completamente diverso da American Beauty, così come dai film che lo seguiranno (come Revolutionary Road o 1917), formando dei microcosmi differenti e a sé stanti. E non molti registi sono davvero in grado di farlo. In Era mio padre si respira l’aria dei grandi gangster movie del passato, come Il Padrino, e merito va anche alla fotografia e alla colonna sonora. La prima ci immerge in un grigio perenne (simbolo del marcio di quel mondo) e che svanisce solo alla fine, nel bianco di Perdition; in quella penombra visibile fin dalla prima scena della cena di famiglia in cui spariscono i colori pastello di American Beauty. Enfatizzando la neve e la pioggia, tutto viene ovattato, dando al film in streaming su Sky e Disney+ atmosfere particolari, misteriose e d’altri tempi. E la musica contribuisce a rendere tutto epico e sospeso. Esemplificativo di ciò è l’incredibile scena della sparatoria, con i personaggi che emergono dalla nebbia e i colpi di mitra che, dapprima sono silenziosi, ma poi, quando Sullivan deve sparare a Rooney, il suono è forte, segnando un diverso sentire nascosto dentro le pallottole.

Era mio padre guarda, con lo sguardo di Mendes, anche ai grandi noir che si trasformano in drammi esistenziali, in cui il regista inserisce temi a lui cari: onore, lealtà, legami di sangue e, soprattutto, i rapporti familiari. In questo caso, tra un padre e un figlio.

È attraverso la curiosità di Michael Jr, tipica di ogni bambino verso il mondo degli adulti, che osserviamo Sullivan; è la sua voce che ci narra la storia; è dal suo sguardo che vediamo le azioni del padre. Molte inquadrature, soprattutto inizialmente, sono girate dalla sua prospettiva: ad esempio, quando scruta suo padre da una porta socchiusa e nota la pistola o quando si intrufola nella sua macchina e osserva, da dentro un baule, lui e Connor uccidere dei gangster rivali. È una scelta forte quella di mostrare il mondo della malavita con gli occhi di un dodicenne e dà all’opera un tocco particolare. La crudezza e il dramma di quell’universo contrasta con la dolcezza con cui tutti lo trattano e la rivelazione scioccante sul padre rappresenta il suo brusco passaggio alla vita adulta. Infatti, Era mio padre è anche un romanzo di formazione. Ricordiamoci che Perdition è la città dove poter ricominciare, ma è anche la strada del titolo inglese del film (Road to Perdition) dal quale non è possibile tornare indietro, ovvero quella mafiosa.

E sarà in questa fuga on the road che padre e figlio si ritroveranno. Certo, il loro rapporto è legato al tempo in cui vivevano e, negli anni 30, i padri vedevano i figli come loro proiezioni. Infatti, Sullivan lo descrive in base alle somiglianze e differenze che vede tra i due. Però, durante il viaggio, in cui l’uomo sa che ha poco tempo per proteggere il futuro del figlio e insegnargli tutto quello che può, si conoscono sul serio e, così, crescono assieme – ed emblema di ciò sono le lezioni di guida. E Mike inizia piano piano a differenziarsi da lui, anche se non ne è pienamente consapevole. Perché Sullivan è anche terrorizzato che Mike possa seguire i suoi passi e perdere la sua innocenza; per questo, deve spezzare la violenza, allontanandolo da quella vita che ha fatto. Trasformando così il film in streaming su Sky e Disney+ non solo in una ricerca della vendetta, ma in un’opera sulla redenzione.

Il legame padre-figlio dell’opera di Mendes non è solo quello di sangue. Riguarda anche l’onore. Sullivan, per portare a termine la sua vendetta e salvare Mike, deve vedersela con chi, fino a poco tempo prima, considerava come un padre. Non può semplicemente odiare Rooney, tormentato dallo stesso identico conflitto, perché deve dare la caccia al suo amato figlioccio per aiutare Connor, che detesta ma che non può far a meno di salvare, perché sangue del suo sangue. Ecco che, se la famiglia Sullivan è il bene e quella Rooney il male, ci sono estreme somiglianze nel modo in cui i due padri amano i loro figli. Ed è quasi straziante il modo in cui il capomafia tenga a Connor. Fino alla morte.

Una pellicola del genere sarebbe potuta cadere nel melenso, ma è grazie alla maestria di Mendes che non accade, sorretto anche dalle grandi prove del cast.

Tom Hanks si supera nella sua prima prova da “cattivo”, riuscendo a esprimere così tanti sentimenti solo grazie alle sue grandi capacità espressive. Dona a Sullivan umanità, sensibilità, tenerezza, ma anche ineluttabilità e brutalità, senza mai cadere nella tentazione dell’eccesso. Al suo fianco c’è un tragico e granitico Paul Newman, alla sua ultima apparizione sul grande schermo – e la chimica tra i due è pazzesca nel film in streaming su Sky e Disney+. Attraverso di lui si respira l’aria delle tragedie shakespeariane e di quelle greche, che vivono di nuovo e sono tipiche dei gangster movie. Newman riesce a esprimere perfettamente il conflitto tra difendere il suo incontrollato sangue (e la famiglia tradizionale) o schierarsi dalla parte di chi lo ama davvero pur non avendo come cognome Rooney (e dell’idea moderna di famiglia), facendo emergere tutte le sfumature di un brutale boss, dalla presenza importante, ma che è capace di commuoverci.

Era mio padre

Accanto a loro troviamo un folle Daniel Craig, nei panni di un bambino che, vivendo all’ombra del padre, non è realmente cresciuto. All’epoca forse sottovalutato alla luce dei mostri sacri con cui recitava, non potevamo sapere che sarebbe stato il prossimo James Bond, né che venisse nuovamente diretto da Mendes in Skyfall e Spectre. Connor è mosso solo dal profitto, non avendo paura di tradire onore e famiglia per i suoi scopi. Allo stesso modo fa il killer Maguire, che fotografa i corpi dei cadaveri per un giornale e che, a sua volta, ritrae sulla macchina gli ultimi istanti di vita delle sue vittime, togliendoli la dignità oltre che la vita. Jude Law lascia il segno con quell’occhio psicopatico, quelle unghie trasandate e quello sguardo inquietante. Last but not least, il giovane Tyler Hoechin, nei panni di Mike Jr, regge bene la scena accanto a Hanks.

Sarà proprio il piccolo Mike l’unico a sopravvivere, l’unico tra tutti a rimanere puro e a non essere contaminato dalla corruzione del mondo mafioso e dell’intera società. Perché, anche coloro che non appartengono al primo nel film in streaming su Sky e Disney+, non si sono dimostrati tanto più retti ed etici – tranne la coppia di anziani dai quali Mike torna dopo la morte del padre. Sullivan capirà, prima di spirare, che un genitore deve accompagnare ed educare il figlio verso la sua strada, senza proiettarsi continuamente nella sua figura. Così, eviterà che la sua paura più grande divenga realtà, perché Mike non sarà mai come lui. E a coloro che gli domanderanno di Micheal Sullivan, risponderà semplicemente: “Era mio padre”.

Allora, di fronte a un film sui gangster così inusuale e con una tenerezza unica – tanto che quegli abbracci tra padre e figlio li sentiamo addosso – forse ha ragione Tom Hanks quando, dispiaciuto che Era mio padre non sia diventato un classico, dice:

Per un motivo o per l’altro, nessuno mi cita mai Era mio padre che, per me, è stato un film incredibilmente importante da fare”.

Forse un giorno lo diventerà, forse non lo sarà mai. In qualsiasi caso, è un peccato lasciare nell’oblio un film così significativo, profondo, innovativo e che, sicuramente, merita tutte le nostre attenzioni. Non siete d’accordo anche voi?

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