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Ero molto scettica su Cobra Kai. Poi mi sono ricreduta

Quando qualche anno fa è stata confermata l’uscita di Cobra Kai, serie tv sequel di Karate Kid, ho immediatamente odiato l’idea di ciò che sarebbe stato creato. Ero prevenuta, sì. Come lo sono la maggior parte delle volte in cui si decide di toccare prodotti vecchi e iconici per rinnovarli, per farli rinascere in maniera completamente diversa. Insomma, secondo il mio punto di vista la saga di Karate Kid (o meglio, la trilogia che ha come protagonista Ralph Macchio), era perfetta così. Perché riportare sugli schermi un prodotto cult degli anni ’80 e rischiare di rovinarne il meraviglioso ricordo che noi tutti abbiamo?

Se devo proprio essere sincera, oltre a essere scettica sui numerosi reboot e sequel che vengono prodotti negli ultimi anni, sono anche piuttosto sentimentale con tutto ciò che riguarda la mia infanzia. Quando mi sono messa seduta e ho fatto partire il primo episodio di Cobra Kai, quindi, ero prevenuta ma – lo ammetto – allo stesso tempo anche un po’ emozionata.

cobra kai

Già dall’inizio della serie abbiamo capito che le cose sono un po’ cambiate sia per Daniel LaRusso che per il suo eterno avversario Johnny Lawrence (qui 7 curiosità su William Zabka). Mentre Daniel ha una vita agiata, una bella moglie, due figli ed è il proprietario di vari autosaloni, Johnny è ancora “fermo” alla sconfitta avvenuta ormai molti anni prima. Vive di lavoretti precari, ha un figlio adolescente che non vede mai, ma soprattutto beve decisamente troppo. La sua spina nel fianco è ancora il buon vecchio Daniel LaRusso, che ogni tanto spunta fuori nella vita dell’ex allievo del Cobra Kai con un nuovo spot pubblicitario o un cartellone che sponsorizza il suo autosalone.

Nonostante l’idea di promuovere il proprio posto di lavoro con delle mosse di karate non mi abbia spinta istintivamente a provare simpatia per il nuovo Daniel San, non ho potuto fare a meno di pensare che anche le scelta di vendere automobili fosse un riferimento al Maestro Miyagi. È stato proprio lui, molti anni prima, a regalare all’allievo la sua prima automobile e a farlo appassionare alle quattro ruote.

Ma tutto ciò non basta, ovviamente, per farci tifare ancora una volta per lui. Adesso è Johnny la “vittima” della situazione, colui che ha bisogno di una mano e che dovrebbe essere compreso. Certo, il Sensei Lawrence non è esattamente un personaggio che amiamo incondizionatamente già dopo cinque minuti di visione della serie tv, ma a poco a poco impariamo a conoscerlo. Comprendiamo le motivazioni che lo hanno spinto, molti anni prima, a unirsi al dojo del Sensei John Kreese e a vedere quest’ultimo come un padre.

ralph macchio

Il bello di Cobra Kai è proprio questo: già dopo una manciata di episodi ci rendiamo conto che la serie non è un mero tentativo di scatenare la nostalgia di chi è cresciuto guardando Karate Kid e sognando di avere il Maestro Miyagi al proprio fianco. L’obiettivo principale della serie è realmente inventare una storia totalmente nuova, farci conoscere e scoprire al meglio dei personaggi che non sono esclusivamente “bianco” o “nero”, ma che hanno davvero tante sfumature che mai avremmo immaginato prima.

E così le strade di Daniel e Johnny si incrociano ancora una volta, e paradossalmente il Sensei Lawrence si ritroverà ad aiutare un ragazzino che – almeno inizialmente – ci fa immediatamente ricordare il suo storico avversario. Allo stesso tempo, Daniel diventerà addirittura la guida di Robby, il figlio adolescente di Johnny che si avvicinerà ai LaRusso soltanto per fare un dispetto a suo padre.

Daniel e Johnny, tuttavia, non sono più i ragazzi che erano in Karate Kid. Sono uomini adulti, cresciuti in modo diverso e che nella vita hanno affrontato sfide, vittorie e delusioni. Entrambi, tuttavia, si ritrovano con la stessa voglia di riscoprire il karate. E non stiamo parlando del karate fatto di calci e pugni, tutt’altro. Parliamo del karate visto come arma per riscattarsi, come fuga dal mondo, come una guida. E, durante la visione di Cobra Kai, abbiamo capito alla perfezione la frase pronunciata dallo stesso Maestro Miyagi ormai molti anni fa: “Non esistono cattivi studenti, solo cattivi maestri”. Ciò che ha fatto la differenza nella crescita di Daniel e Johnny sono stati proprio i loro insegnanti: mentre Miyagi mostrava al suo allievo come trovare l’equilibrio e cosa fosse il rispetto, Kreese inculcava in Johnny l’idea di “colpire per primo, colpire forte, senza pietà”.

Cobra Kai, dunque, non ci mostra dei personaggi ormai già visti e rivisti, cristallizzati in ciò che erano più di 30 anni fa. La serie ci dà la possibilità di conoscere realmente i nuovi Daniel e Johnny, quelli adulti: ci mettiamo nei loro panni, tifiamo per loro e non riusciamo a odiare uno o l’altro. Ci ritroviamo inevitabilmente ad affezionarci a entrambi, semplicemente perché sono umani.

Cobra Kai

Insomma, sì, ero prevenuta e pensavo che l’avrei odiata. In realtà, tuttavia, Cobra Kai mi ha stupita a tal punto che ho finito per divorare due stagioni in pochi giorni. Questa serie è molto più complessa e innovativa di quanto pensassi. Ci sono stati – ovviamente – dei momenti commoventi (prendiamo Daniel che va a visitare Miyagi al cimitero, per esempio), ma il bello è che gli ideatori della serie non si sono basati soltanto sull’effetto nostalgia: hanno osato, è vero, ma lo hanno fatto in maniera impeccabile. Hanno contribuito a omaggiare nel migliore dei modi una saga che rappresenta l’infanzia e l’adolescenza di più di una generazione.

E adesso non ci resta che aspettare la terza stagione!

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