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Christian, ai confini del bene e del male

Il racconto delle periferie sfugge a qualsiasi dicotomia, si sfila dal consueto dualismo, dalla contrapposizione tra poli opposti. Quando si affondano le mani nella periferia, non ci si chiede dove sia la linea di demarcazione che separa il bene dal male, quale sia il confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. La periferia è essa stessa confine, luogo di frontiera in cui transitano esistenze schiacciate e malconce, piegate dalla vita e lasciate ad angustiarsi in palazzoni grigi che ricordano vecchie caserme, ma sono più come una città, una piccola comunità di orfani, sinti, drogati, criminali senza speranza e anime sfortunate che si aggirano sui pianerottoli senza aspettarsi più niente dalla vita. Il racconto di Christian (in onda su Sky, qui la recensione dei primi episodi) non si allontana mai dalla periferia, è tutto girato nel colore plumbeo di quei palazzi malinconici, nell’aridità piatta di una realtà ai margini della vita.

In un posto così, la biforcazione tra bene e male non è segnalata. Si procede lungo un sentiero storto, attorcigliato e tortuoso, pieno di curve e deviazioni.

Christian

Ciò che è giusto si confonde con ciò che è sbagliato e viceversa. Non ci sono estremi, poli opposti: la periferia vive dello smarrimento che c’è nel mezzo, di tutte le gradazioni che si fondono tra le due sponde. Non si dovrebbe parlare neppure di bene e male, che sono concetti assoluti, quanto piuttosto di meglio e peggio, che sono invece la rappresentazione di qualcosa di poco netto, che contempla le sfumature. Christian ha vissuto la sua esistenza in questa terra di confine, in questo margine stretto dove il meglio ha sempre avuto il volto di ghiaccio di Lino, il boss della periferia che governa con la paura e centellina la clemenza. Un orfano cresciuto con la rabbia degli ultimi, ansioso di prendere il controllo e farsi Dio in un inferno di disperati. Christian è un criminale di borgata, nemmeno così cattivo. Rompe ossa per quel boss che è la cosa più simile a un padre che abbia mai avuto. Non ammazza nessuno, ma picchia duro. Estorce obbedienza e ammacca i più recalcitranti. Non si fa troppe domande e non cerca risposte. La sua vita è infilata in un limbo dalle pareti rassicuranti, un purgatorio abitato da anime che non reclamano il Paradiso, ma vogliono stare alla larga dell’Inferno.

La speranza non esiste, è un’aspirazione domata e soffocata, scavalcata da un’angosciante disperazione.

Christian

Come quella di Rachele, una prostituta tossicodipendente che ha assimilato delusione e frustrazione con la stessa disinvoltura con cui ha iniettato eroina nelle vene. Ognuno dei personaggi di Christian (l’anti Don Matteo), ognuna di quelle anime tristi che vagano senza meta nello spazio angusto di una città-prigione, è in qualche modo dipendente da Lino e forse persino riconoscente. Perché lui è il padrone di quel regno di disgraziati. Ha ucciso padri e risparmiato figlie, ha dato un tetto a chi gli ha mostrato obbedienza e cacciato chi ha preferito riconoscere l’autorità dello Stato piuttosto che la sua. Ha bandito le pistole, ma ha dominato con la legge del pugno, sguinzagliando i suoi fedeli scagnozzi ogni volta che le circostanze lo hanno richiesto. Lino è il padre-padrone di quell’ammasso di coscienze che hanno sospeso il giudizio su ciò che è giusto e ciò che non lo è e che hanno vissuto sempre e solo nel terrore. Ecco, ai confini del bene e del male c’è solo questo: il terrore.

Se poi un disperato come tanti se ne va in giro a resuscitare tossicodipendenti, morti ammazzati, amici e famigliari, un piccolo cortocircuito rischia di mandare in tilt il regno e di rendere più distinti i confini tra bene e male.

Nella periferia dominata dalla legge di Lino, il male non aveva un suo opposto. La gente finiva ammazzata, picchiata, ridotta al lastrico, costretta ad elemosinare le briciole. Il contraltare non era il bene, soltanto l’obbedienza. Questo finché alle mani di Christian non succede quella cosa lì, il sangue che sgorga senza motivo, le stigmate al centro del palmo, i buchi come “quelli de coso…”, Padre Pio. Da quel momento in avanti, qualcosa cambia nello squallore monotono della periferia: si accende una fiammella, la speranza bandita dai confini torna attraverso le mani di un picchiatore che non riesce più a dare un pugno ma sa riportare indietro i morti. È la forza del miracolo che scavalca gli scatolini grigi della città-prigione e si introduce furtivamente in quell’indistinto accumulo di sfumature morte. Miracolo è una parola che mette i brividi e dà le vertigini. E lo sa bene Matteo, sopravvissuto da ragazzo a un incidente mortale e da allora al servizio permanente del Vaticano.

Matteo si mette sulle tracce di Christian, convinto che sia un impostore come tanti. Le persone che lui tocca però resuscitano per davvero. I malati guariscono, le donne in coma tornano indietro, si svegliano all’improvviso. E allora probabilmente si chiede come mai il potere del bene trovi la sua strada attraverso le mani di un criminale di borgata, di un ragazzone rozzo e portatore di violenza. Dove sta il bene? Che cos’è di preciso il male? Come può, un miracolato del Signore, essere allo stesso tempo un dannato e costretto a vedere la luce spegnersi negli occhi di suo figlio? Quale è la differenza tra un angelo e un diavolo, come si riconoscono l’uno e l’altro? Chi sono i buoni e chi i cattivi in tutta questa storia? Sono domande che Christian lascia sospese nello sguardo di chi osserva e si perde a metà strada tra Inferno e Paradiso. Christian è un criminale o un santo, un supereroe o uno strumento dell’Anticristo?

Inferno, Paradiso, bene, male… È tutto più complicato di così, è tutto più fluido. Tagliando un po’ le curve, anche il diavolo può somigliare a un angelo. Che regno sarà allora quello di Christian? Esiste davvero un opposto del male?

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