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Non eravamo ancora pronti per Christian

Forse sì, forse no. Probabilmente Christian era davvero troppo, fin dall’inizio, ma apprezzare questo piccolo gioiello targato Sky, tutto sommato, non è difficile. Lo scorso anno, con la prima stagione, Christian ha portato una ventata d’aria fresca nei palinsesti televisivi italiani, e quest’anno ha riconfermato il suo ruolo di underdog rivoluzionaria dell’offerta della Pay tv italiana per eccellenza. Il punto è che, probabilmente, la serie creata da Roberto Cinardi è destinata a restare in questo loop infinito tra genio e stranezza, oltre che tra bene e male.

Christian ha messo le ali

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Christian (640×360)

La curiosità è stata tanta, fin da subito. Con un cast d’eccezione e una trama così insolita era davvero semplice far gola al pubblico di Sky, ed infatti gli occhi di critica e spettatori sono stati immediatamente conquistati dall’hype generato intorno alla serie. Un cast capeggiato dall’ormai top player Edoardo Pesce e dal veterano Claudio Santamaria, sorretto da altri pezzi da novanta come Laura Morante e dai talentosi Antonio Bannò e Silvia D’Amico, una trama ai limiti della follia, per quanto riguarda le pretese del pubblico made in Italy, e un’ambientazione che assume tutt’altro significato rispetto a ciò che quartieri come Città Palazzo ci avevano abituato, sempre restando in tema serialità italiana. Tralasciando gli elementi del cast, che fanno ovviamente ben sperare, tutto il resto poteva sembrare un azzardo troppo grosso, un verosimile abbaglio, e non sarebbe stato l’unico in epoca recente (soprattutto considerando il tema), almeno per quanto riguarda Sky Italia. E invece, un super Edoardo Pesce è stato in grado, ancora una volta, di sorprendere tutti. A ‘sto giro, l’ex Romanzo Criminale e Il cacciatore, tanto per citarne due, si è caricato l’intera baracca sulle spalle con un ruolo da protagonista decisamente ostico e, per alcuni aspetti, completamente diverso rispetto alla maggior parte delle precedenti interpretazioni. Christian, il protagonista, è un personaggio sorprendente, capace di alleggerire con disarmante spontaneità una trama altrimenti difficile da gestire.

Claudio Santamaria (640×360)

Si tratta di un predestinato, un modern day Messiah che rispecchia in tutto e per tutto ciò che sarebbe l’attuale viver popolare, in un contesto coatto, come appunto l’utopia che si va a definire, e più di tutti bisognoso di una svolta e di una figura a cui aggrapparsi. Christian è qui un leader atipico, un angelo senza ali ma in grado di costruirsele da solo e indossarle con disinvoltura, rendendosi protagonista di una crescita individuale inaspettata e al contempo efficace. Al pubblico spetta l’ignobile compito di schierarsi da una parte o dall’altra, messo di fronte all’evidenza di quanto sia sottile la linea che separa bene e male, e di quanto sia difficile scegliere a priori. Al di là del fatto che il focus principale garantisca o meno una risposta alla fine dei conti, il vero insegnamento sta nell’osservare i cambiamenti che un autentico profeta è in grado di apportare ad una comunità decadente che rispecchia in tutto e per tutto il declino della società in cui prende forma. La speranza e il fato poi, si danno il cambio molto rapidamente, tanto che non resta molto spazio per l’incredulità, e lo stesso protagonista è in grado di trasportare la trama dalla dimensione gangsteristica a quella fantasy senza nessuno “sbalzo termico”, lasciando il pubblico sperduto e allo stesso tempo incredulo.

L’utopia più improbabile

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Christian (640×360)

Christian narra di una realtà utopica degna dei migliori romanzi di inizio Novecento, e lo fa con una freschezza incredibile, che anche grazie alla pungente e scoppiettante comicità romanesca, non perde mai credibilità e anzi, riesce a ritagliarsi uno spazio nuovo, generando ciò di cui accennavamo in chiusura del precedente paragrafo. Ma l’utopia più grande di cui Christian si rende protagonista, è forse stata quella di proporsi ad un pubblico come quello italiano. Non si parla tanto del risultato, perché la serie rimane pur sempre un prodotto dichiaratamente ed esplicitamente di nicchia, rivolto a un target “studiato” (si parla sempre in termini di serialità), o perlomeno si presume che questo sia abituato a stranezze e atipicità del genere; il discorso da fare è più generico e riguarda l’intero panorama seriale italiano. Christian, all’interno del marasma che da un paio di anni ha (fortunatamente) investito palinsesti e Library dell’intero Stivale, merita eccome di starci, ma non fa mancare le perplessità. E’ molto probabile che un prodotto simile, al di fuori della comfort zone rappresentata da Sky, e più in particolare con una collocazione mainstream, avrebbe subìto la poca pazienza della gente, e soprattutto le abitudini della maggior parte degli spettatori, avvezzi alla passività tipica di prodotti più comuni e che, per dire, tendono a osare di meno – ci teniamo a precisare che si sta comunque parlando del contesto attuale, e non di fiction alla Occhi del Cuore sparse in giro per i prime time più pigri e avversi al cambiamento – al contempo, saremmo curiosi di sapere che sorte gli sarebbe spettata qualora si fosse ritrovato ad aver luce all’interno di una piattaforma, ma anche qui il discorso è ampio e ci sono parecchi ostacoli da dover superare.

Christian (640×360)

Detto e considerato ciò, Sky rappresenta decisamente l’habitat migliore per un prodotto così innovativo e rischioso, oltre che per certi versi “scomodo”, ma è pur sempre vero che in una palestra così piccola è sempre più complicato emergere e trovare la fama che si merita. Forse è vero che il pubblico italiano non era pronto per Christian e non è tuttora pronto per un cambiamento radicale nella proposta seriale, forse è anche vero che non lo sarà mai del tutto, ma questa serie è un autentico gioiello che, oltre a far ben sperare come molti altri suoi “coetanei” attuali, riesce a dare nuova verve all’offerta di Sky, che dopo alcuni anni di difficoltà sembra davvero tornata dove merita di stare.

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