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Dedicato a tutti quelli che dicono che Breaking Bad è una serie sopravvalutata

C’è chi comincia una serie tv per puro svago, chi per sentito dire. Chi la comincia per curiosità e chi per la semplice voglia di criticarla non appena terminata, ma in ogni caso la segue perché semplicemente vuole farlo. Con Breaking Bad questa voglia nasce dal nulla e, mentre un improvviso interesse ti costringe a pensare “ma veramente questo show è davvero così figo come dicono?”, hai già premuto l’avvio alla 1×01.

Bastano i primi 3 minuti e 48 secondi del primo episodio per farti capire che questa serie tv non è come le altre.

Perché ridi, ti emozioni, ti chiedi che diavolo stia per accadere da un momento all’altro. Ti immedesimi in quell’uomo in mutande che regge la pistola e a cui tremano le mani. E non sai ancora che sentirai queste sensazioni durante l’intera stagione, e tutte quelle a seguire.

Una volta ero come voi. Non avrei mai pensato di cominciare una serie tv come Breaking Bad, tanto meno che potesse piacermi. Ma la curiosità e la voglia di esprimere un giudizio mio al riguardo mi hanno davvero convinta a cominciarla e, pian piano, ho scoperto il senso di colpa che mi attanaglia ancora oggi per non averla iniziata prima. Per non aver vissuto insieme ad altri quelle emozioni dal vivo e che, episodio dopo episodio, ti lasciano con la voglia disperata di un seguito.

Ho vissuto un mese e mezzo di pura soddisfazione nel vedere Breaking Bad, restando allibita, senza parole, praticamente sconcertata da un prodotto così ben fatto e così intrigante.

Breaking Bad

Non ti annoia mai, non ti delude mai: questa serie è la rivelazione dell’essere umano.

Conosci un uomo che forse non ha mai vissuto in tutta la sua vita e un ragazzetto che crede invece di aver vissuto, ma che del vero mondo non ha ancora visto nulla. Il duo più improbabile e bizzarro si unisce in un’avventura che diventerà la loro condanna. Perché Breaking Bad sembra uno show semplice, una storia che parla di droga e soldi, ma l’evoluzione caratteriale dei personaggi e la delicatezza e la sfrontatezza di cui è intrisa la loro storia la rende molto, molto di più.

Osservi il cambiamento avvenire stagione per stagione, quel semplice insegnante di chimica che diventa dapprima vittima, poi mostro. E quel ragazzetto immaturo e strafottente che diventa il simbolo della lealtà malpagata, distrutto da quell’incontro, marchiato a vita dal dolore.

Se avessi saputo prima che Breaking Bad mi avrebbe fatto emozionare così, non l’avrei mai cominciata.

No, non l’avrei fatto: sarei rimasta nella mia ignoranza, a guardare l’icona di quella serie tv che tutti amano e idolatrano su Netflix, borbottando dei “mah” colmi di dubbi e riluttanza. Non l’avrei fatto, perché l’averla finita ha comportato un momento di riflessione. Non credo di aver mai visto uno show così coinvolgente, interessante, epico.

Lasciamo perdere per un attimo lo straordinario lavoro che ci sta dietro. La sceneggiatura, il simbolismo, i dialoghi, l’interpretazione, la fotografia e tutto ciò che ne consegue. Focalizziamoci sulla storia, su quei personaggi così complessi e ben costruiti che non puoi che ammirare. Fino alla fine cerchi di aggrapparti all’umanità che si impadronisce di te, cercando di capire chi sia nel giusto e chi nel torto. Ma non puoi, non ci riesci.

Breaking Bad

Alla fine della quinta stagione, capisci. E ti distruggi, perché diamine, la prima domanda che ti poni è: a cosa è servito? A quale prezzo Heisenberg ha pagato la sua temporanea gloria? A quale costo Jesse ha accettato di cucinare con il suo vecchio insegnante del liceo? Insomma, ci vorrebbe uno psicologo per chi finisce questa serie tv.

Le scelte dei personaggi ricadono sulle spalle di chi li circonda, influenzando il loro avvenire e le loro azioni. Ti affezioni a chi per intere stagioni hai sempre odiato, così, all’improvviso. Bastano pochi minuti per cambiare opinione riguardo un personaggio, facendo rovesciare ogni convinzione che abbiamo costruito intorno a quel ruolo. Capisci il perché di determinate azioni che, dall’esterno, potrebbero sembrare atroci, ma che – nella loro crudeltà – sono necessarie. Osservi il genio che diventa manipolatore, e chi prima era amico divenire traditore.

E tutto questo non in nome del dio denaro, ma in nome del proprio orgoglio.

In Breaking Bad c’è la voglia di riaffermare una vita che non è andata secondo i propri programmi. Il bisogno di sentirsi vivi, nonostante l’atroce sofferenza di una malattia che insegue, svanisce e riappare con prepotenza e coerenza.

Qualcuno lo chiamerebbe karma, altri lo definirebbero la classica “ironia del destino”. La vita di Walter White sembra proseguire in salita per pochi metri, prima di lasciarsi andare in un salto nel vuoto. Un salto dal quale non risalirà mai più.

E nell’egoistica necessità di credersi al di sopra di tutto, convinto di avere tutto sotto controllo, si sgretolano le vite di tutti i presenti durante la narrazione.

breaking bad

Dopo aver finito Breaking Bad ho letto molti articoli riguardanti la serie tv, e gli annessi commenti. Ho adorato quelli di chi non l’ha vista per intero e di chi l’ha vista solo per un breve periodo, e poi l’ha lasciata perdere. “Sopravvalutata” è forse l’aggettivo meno appropriato, ma più diffuso tra le critiche rivolte allo show.

Ebbene, se la storia di Walter White e Jesse Pinkman vi sembra sopravvalutata, forse non avete prestato abbastanza attenzione.

Scoprire che quell’uomo, quasi alla soglia della crisi di mezza età e in mutande sin dal pilot, diventerà il personaggio più odioso, manipolatore dell’intera vicenda ti fa pensare. E ti fa rabbrividire la velocità con la quale, col il passare degli episodi, cambierai idea, riconoscendo in W.W. la genialità che insegue l’ambizione.

Questo show ti costringe a interrogarti al termine di ogni episodio, ad analizzare il perché di tali scelte e ad ammettere che quel folle Heisenberg è davvero astuto, che la sua arroganza diverrà la sua rovina.

Ciò che porta Walter White a ripensare alla propria vita non è il cancro, tanto meno il bisogno di lasciare del denaro alla propria famiglia.

Quelli sono solo i pretesti per rivelare una natura intrinseca, più tetra di quella del classico uomo che tutti conoscono ad Albuquerque. Lo stesso uomo che, probabilmente, sarebbe emerso lavorando alla Gray Matter Technologies, con la crescente ambizione e l’enorme orgoglio di dimostrare il proprio ingegno, il proprio talento.

Breaking Bad

Ma ciò non è avvenuto, e tale rabbia repressa, tale voglia di giustizia, manifestata contro persone che non c’entravano nulla, è proprio il punto di partenza della nostra storia, della sua storia.

Non ho mai provato pena per Walter White. Neanche un minuto, neanche un attimo. Credo di non aver mai detestato un personaggio così tanto, e la cosa più assurda è che l’ho apprezzato proprio perché è una personalità autentica, coerente con il percorso che ha affrontato. Fedele alla sua caratterizzazione avvenuta con lentezza, Heisenberg rivela il mostro che rende la sua insoddisfazione.

Ogni persona intorno ai due protagonisti soffre un destino ugualmente terribile, distrutti da una verità tanto improvvisa quanto improponibile.

Nel delirio di onnipotenza si insinua la ragione, e solo quando è troppo tardi capisci che la genialità di Walter White viene mascherata da un’apparente follia, assetata di giustizia. L’amore per la sua famiglia lo spinge a compiere l’impossibile, e vi riesce. È proprio quest’ultima a dargli il coraggio di buttarsi in un’impresa gloriosa, illudendosi di star solo provvedendo al futuro dei suoi figli.

Nella sua famiglia rientra il suo partner. Perché Jesse Pinkman è stato quasi un figlio per Walt, nonostante il rapporto complesso che li ha caratterizzati. E Jesse si rivela essere forse il ragazzo più distrutto dell’intera narrazione. E chi non l’ha amato durante Breaking Bad probabilmente mente, perché è impossibile – impossibile – non provare pena o dispiacere nel vedere un personaggio così buono, così umano, torturato psicologicamente e fisicamente in questo modo.

Il destino di Jesse è atroce, perché ha perso ogni persona amata. Jane, Andrea, Mike, Walt: tradito dalle emozioni e dalla sua stessa lealtà. In tutto questo casino, avrei voluto soltanto un lieto fine – neanche tanto lieto, purché dignitoso – per Jesse Pinkman, perché lo meritava.

Breaking Bad non è una serie tv qualunque. L’ho capito a mie spese, sclerando in silenzio al termine di ogni stagione. Sentendo il cuore battere all’impazzata dopo aver visto alcune delle scene migliori mai girate in una serie tv, secondo la mia modesta opinione. L’ho capito da sola, in quel mese e mezzo in cui ho recuperato lo show degli show, godendomi ogni istante senza mai pentirmi di aver cominciato l’episodio.

Non ci sono abbastanza parole per spiegare quanto abbia amato questa serie. Né esiste il modo più esatto e preciso per descrivere come quest’ultima sia stata girata, scritta e interpretata bene. Tanto meno riesco a dimostrare quanto Breaking Bad possa significare, e abbia significato, nel mondo del piccolo schermo e per quale motivo. Ma ci proverò comunque.

È l’apoteosi della rinascita, e in tale “resurrezione” veniamo coinvolti anche noi.

Sopraggiungono i dubbi riguardo le azioni dei personaggi, circa ciò che è giusto e sbagliato. E ci rendiamo conto che il confine tra le due cose non è affatto così lontano. Walter White è l’esempio principe di chi si è gettato letteralmente nell’inferno e ha deciso volutamente di restarvi, nel vano tentativo di diventarvi sovrano.

Quella che sembra un’avventura straordinaria, tra droga, omicidi, famiglia e polizia si rivela un semplice countdown prima dell’effettivo sgancio della bomba. Una quiete che precede la tempesta che travolgerà ogni cosa: ogni idea, ogni obiettivo, ogni scopo cui l’intera azione di Heisenberg ambiva.

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I modi per interpretare questa serie sono molteplici, e tutti diversi tra loro perché mai nulla è dato al caso: mai un dialogo, mai un comportamento dei personaggi apparentemente banale. Persino gli incipit degli episodi hanno perfettamente senso e riescono a incastrarsi esattamente nel corso degli eventi. Breaking Bad non è una serie sopravvalutata, perché chiunque l’abbia seguita sa esattamente quali siano i suoi pregi, e quali i suoi pochissimi difetti.

Tutto parte da una malattia, e non è di certo il cancro. È la malattia della non vita, della frustrazione, del pentimento e della vendetta, scaturita dalle decisioni fatte in passato. Dall’invidia, dalla necessità di emergere dalle proprie ceneri come una fenice e diventare fieramente ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato. Breaking Bad è la serie delle serie, e la sua fine ha portato a compimento un piano ambizioso cominciato nel 2008: diventare un cult del piccolo schermo.

E direi che tale piano sia riuscito perfettamente.

Grazie, Breaking Bad

per non avermi fatto pentire neanche un secondo di averti cominciato e per avermi invece fatto pentire, in ogni attimo della mia vita, di aver visto l’ultimo episodio ponendo fine a una storia incredibilmente spettacolare.

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