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BoJack Horseman è il marcio frutto della sua esistenza

Genitori e figli: un disastro annunciato. Non per tutti, certamente, ma per qualcuno sì. Per BoJack Horseman sì.

Nato nella frustrazione, sovraesposto costantemente a rabbia e malumori, BoJack è il marcio frutto della sua esistenza. Nato per sbaglio e cresciuto per perentorio dovere più che per amore, ciò che è lo deve non solo a se stesso, ma in buona parte anche al modo in cui è stato cresciuto.

La forza degli inetti risiede nel dar la colpa ai genitori dei propri sbagli e fallimenti, ma per una volta, la costante tendenza all’autocommiserazione di BoJack ha radici che non possiamo recidere, radici che non possiamo non ascoltare.

Lo sa Beatrice e lo sa Butterscotch Horseman: ”Non puoi dipendere da nessuno, prima o poi dovrai imparare che nessun altro si prenderà cura di te.” Ed è con questo monito che BoJack muove i primi passi nel mondo: solo sei e solo sarai per sempre, tienilo bene a mente.

Destinato alla solitudine non perché le persone sono meschine, ma perché tu stesso non meriti la benevolenza altrui. E BoJack lo sa bene mentre aspetta una carezza della madre che non arriverà mai o mentre fuori dalla porta di Butterscotch attende di essere considerato. La tua solitudine è solamente colpa tua. Non ti lasceranno solo perché sei cattivo, ma perché non meriti di essere accolto.

Un costante turbinio di rabbia che alimenta dolore egemonizza la vita di quel piccolo cavallo confuso, convinto di star sbagliando ancor prima di agire, ma pronto a porre rimedio ai suoi errori cantando Lollipop di fronte a una schiera di sconosciuti per il solo gusto di compiacere sua madre per qualche minuto, prima di ritornare di nuovo nell’oblio sentimentale a cui è destinato.

BoJack Horseman

”Ci comprendevamo in qualche modo, per disfunzionali che fossimo”

Lo dice BoJack stesso assimilando naturalmente il suo dolore a quello dei genitori. Disfunzionali a causa della vita o come principio di nascita, la famiglia Horseman fa delle proprie lacerazioni uno scudo protettivo nei confronti dell’amore. Non affezionarti, non abituarti alla dolcezza.

Nato alcolizzato, figlio di alcolizzati, BoJack Horseman la prima bottiglia la tocca in tenera età quando vedendo i genitori dormienti sul divano, sbronzi dopo la bevuta, decide di prendere un po’ di quel nettare amaro lasciato sul fondo di un bicchiere.

Una bottiglia divisa in tre e tanti altri giorni da dimenticare.

Un piccolo sorso, anestesia del dolore e stimolante del coraggio: BoJack in quel momento crede che il lasciapassare per la benevolenza genitoriale sia racchiuso tutto lì. Basta questo per farmi dire che sono stato bravo?

Farcela nonostante i genitori è l’impresa che BoJack Horseman ha perseguito per gran parte della sua vita. Giungendo addirittura quasi sul punto di raggiungerla una volta intrapresa la carriera nello showbiz, quando tronfio e fiero di sé veniva imboccato a cucchiaiate da successo e notorietà. Melassa per l’ego, vitamine di sicurezza.

La solitudine al tempo era l’ultima cosa che potesse mai scalfirlo. Narcisista patologico non per scelta ma per bisogno, BoJack Horseman ha preferito crearsi uno scudo di vanità ed egocentrismo per difendersi dalle dure parole di sua madre che ancora lo tormentano.

Ad ogni ‘sei inutile’ e ‘sei un incapace’, BoJack controbatte autoproclamandosi grandioso e divertente, mettendo le mani avanti prima che qualcuno, prima che sua madre, possa contraddirlo.

BoJack Horseman

Farcela nonostante i genitori ma soprattutto farcela nonostante sua madre: Beatrice Horseman. Algida e distruttiva, la mamma di BoJack non è sempre stata così. Ci sono stati giorni in cui aveva sogni da realizzare e speranze nelle quali credere, quando bellissima e leggiadra danzava e trottava prima di conoscere Butterschotch.

L’amore, la paura, poi il baratro, poi Bojack. La fine dei sogni e l’inizio della cupa ordinarietà , la morte dell’amore e il prologo dell’odio reciproco. Vittima delle situazioni, complice inatteso di quella disfunzionalità, BoJack vive in una gabbia di matti fatta di piatti scaraventati a terra e pianti a dirotto.

Tra bottiglie sempre vuote e palpabile odio, BoJack Horseman muove i primi passi nella vita, e a questo punto non ci rimane che chiederci se ci saremmo mai potuti aspettare qualcosa di diverso da lui. Poteva essere migliore di così? Potevamo davvero ambire a un epilogo differente per il nostro antieroe?

Di tutto il dolore subito, di tutti gli errori commessi, il bisogno viscerale di compiacere sua madre rimane per BoJack una voce nella testa che non vuole andar via. Da bambino, da ragazzo e poi da adulto, ogni parola di sconforto che esce dalla bocca di Beatrice è per il nostro cavallo motivo di tormento.

Incapace di gioire davvero delle sue vittorie, inadatto alla felicità per partito preso, battezzato nel cinismo e destinato a niente di buono, BoJack Horseman si trova ancora a fare i conti con la negligenza affettiva della madre pensando da un lato di esserne vittima e dall’altro di esserselo meritato.

Maestro di niente se non dei fallimenti, BoJack, anche da adulto cerca nel confronto materno uno scudo per le sue insicurezze, ma le mamme non sono sempre buone, e Beatrice Horseman non lo è di certo. Che la vecchiaia renda più amorevoli è solo l’ennesimo luogo comune che mamma Horseman ha deciso di infrangere. Insensibile fino alla morte, e oltre.

BoJack Horseman

È il funerale di Beatrice Horseman, l’unico vero momento di dibattito madre-figlio in tutti questi anni. Aperto il sipario, BoJack concede ancora le sue attenzioni a quella madre che tanto dice di detestare, si arrabbia, rinfaccia ma comunque le parla, cercando in quella bara un riscontro che non avverrà mai. Quelle conferme che tanto brama le rivolge a una tomba chiusa, sconfitto per l’ennesima volta dalla sua gelida genitrice.

Non c’è più un rapporto in cui sperare, non esisterà mai più quel contatto tanto desiderato. Lo si poteva immaginare quando Beatrice era ancora viva: tra i litigi e i malumori era ancora possibile credere in un grande colpo di scena come quello delle serie tv, ma Beatrice Horseman è morta adesso, e tutto questo ora non potrà mai più accadere.

Un ultimo grande gesto con cui lasciare la scena. BoJack ci sperava davvero, tanto da pensare di interpretare il nome del reparto di terapia intensiva ICU, in un gesto di incondizionata premura.

Ci sperava ogni volta che incontrava il suo sguardo di ghiaccio, e ci sperava a ogni telefonata e freddo saluto. Ma d’altronde ”è inutile frustare un cavallo morto”. Di tante sconfitte e false illusioni, questa è l’unica consapevolezza che BoJack ha fatto sua.

Se è vero però che la maggior parte dei nostri traumi risiede nell’infanzia e nelle cure o mancate cure genitoriali, BoJack Horseman rimane comunque un cavallo che partendo da una condizione emotivamente svantaggiante ha preferito continuare ad annegare piuttosto che chiedere aiuto a chi in questi anni ha cercato di volergli bene.

BoJack è il marcio frutto di quello che ha vissuto e di quello che gli hanno insegnato ma una volta diventato pilota della propria vita continua a promulgare quella stessa tossicità, vittima e carnefice di un’esistenza già scritta, votata al dolore e alla solitudine: un presagio scritto a matita che Bojack alimenta calcandolo a penna ogni volta che scaccia e sbraita. Un disseminatore di dolore che sparge veleno sui campi rigogliosi, che non vede altra sofferenza al di fuori della sua, troppo impegnato a piangersi addosso per accorgersi di ciò che fa agli altri e a se stesso.

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