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Bloodride: la serie horror di Netflix che non ti aspettavi

Uscita in una data emblematica, venerdì 13, in un periodo molto particolare come quello dell’attuale quarantena, Bloodride non è una serie tv che passa inosservata, per molti motivi.

Creata da Kjetil Indregard e Atle Knudsen, è costituita da 6 episodi di circa mezz’ora l’uno, per cui molto godibili e di facile visione.

È ambientata in Norvegia e ciascuno degli episodi ha lo stesso incipit: siamo su un inquietante autobus che corre su una strada, di notte, con la pioggia. La destinazione non è chiara e, forse, è meglio perfino non conoscerla. A bordo, un volto inquadrato dopo l’altro, ci sono i protagonisti delle sei storie, imbrattati di sangue.

Le sei vicende hanno trame inquietanti e disturbanti. La prima narra le vicende di una famiglia che si trasferisce in campagna: la madre non riesce ad adattarsi alla nuova vita, ma scopre ben presto che la sua esistenza potrebbe migliorare, se solo si adatta a compiere dei riti sacrificali su un antico altare vichingo.

La seconda parla di un ragazzo appena uscito da un ospedale psichiatrico che si mette in viaggio insieme ai fratelli maggiori, la seconda di una giovane scrittrice che deve stare ben attenta a quello che scrive. Nella terza, un dirigente di azienda rinchiude in gabbia i propri dipendenti accusati di aver sottratto un prezioso prototipo. La protagonista del quarto episodio è una dolce maestrina di provincia che, da Oslo, si trasferisce per insegnare in una scuola infestata dagli spiriti di bambini uccisi cinquant’anni prima. L’ultimo, invece, è ambientato durante una festa aziendale in cui tutti i dipendenti sono vestiti con maschere di animali: sulla festa aleggia anche il dramma del suicidio di una donna apparentemente vittima di bullismo, di cui nessuno vuole parlare.

Le storie, tutte parimenti morbose e angoscianti, sono permeate da un’atmosfera che ricorda, per gli appassionati, I racconti della Cripta e Ai confini della realtà: non tutte sono cruente ed eccessivamente sanguinose, ma surreali e, talvolta, grottesche, come nel caso della puntata “L’elefante nella stanza”.

Punto di forza di Bloodride è l’atmosfera rarefatta, quasi sommessa, complice l’ambientazione norvegese delle storie, lontana anni luce dal mondo patinato delle serie tv americane. La narrazione non è mai pirotecnica, ma piuttosto sussurrata, ma non per questo meno affascinante. Ad esempio, i rimandi alla cultura vichinga del primo episodio non possono che lasciare lo spettatore senza fiato.

Bloodride, grazie anche alla brevità degli episodi, riesce a catalizzare l’attenzione dello spettatore senza molta fatica: sono storie appassionanti, ricche di colpi di scena che difficilmente riusciranno a lasciare indifferenti.

Certo, non è una serie tv priva di difetti: si capisce che è una produzione low cost e gli effetti speciali ne risentono molto. Non aspettatevi, quindi, scene eclatanti o dovizia di dettagli. Anche il quarto episodio, forse il più disturbante di tutti perché niente è come ci si aspetta, non si conclude con una scena esplicita. Molto è lasciato all’immagine, all’intuizione, a quel lato perverso della mente che forse fa più paura di una scena dettagliata o splatter.

Il vero fine della serie non è quello di “fare paura” nel senso più classico del termine, ma di infondere nello spettatore un senso di inquietudine, di destabilizzazione, perché, alla fine, niente è mai come sembra all’apparenza.

È inoltre chiaro che, dato che ogni episodio inizia sempre allo stesso modo, con lo scorrere della serie la conclusione delle storie diventa meno sorprendente e più “telefonata”. Questo, però, non riduce le aspettative dello spettatore perché, in tutta sincerità, sono storie ben narrate fino all’ultimo e sono quindi in grado di appassionare lo stesso, malgrado il pattern narrativo sia ripetitivo.

Non avrà il budget delle grandi serie tv americane, ma Bloodride ha moltissimo potenziale ed è in grado di fare qualcosa di inaspettato: sorprendere sempre i propri spettatori.

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