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Perché dovreste vedere Bloodride

Ammettiamolo, tra i tanti generi seriali quello dell’orrore è da sempre il più sottovalutato e spesso sminuito. Di per sé parlano gli ascolti delle recenti serie televisive che hanno provato a superare questo tabù generale e la loro successiva cancellazione, a prescindere dalla piattaforma di distribuzione: The Midnight Club (Netflix), Marianne (Netflix), The Mist (Spike), Lovecraft Country (HBO), Penny Dreadful (Showtime), Channel Zero (Syfy) e tante altre hanno tentato a raggiungere le sporadiche eccezioni di successo globale; ad esempio American Horror Story (FX), The Haunting of Hill House (Netflix) e The Walking Dead (AMC), di cui in quest’ultima però bisogna riconoscere la meno accentuata vena horror, che lascia spazio alla lotta tra esseri umani per la sopravvivenza in un catastrofico mondo post-apocalittico. Se queste tre sono riuscite a entrare nel cuore dei telespettatori, le altre non hanno avuto molta fortuna (tra queste Bloodride) e le motivazioni di questo poco gradimento da parte del pubblico, verso il genere preso in considerazione, possono rilegarsi alla violenza o all’inquietudine trasmessa dalla narrazione, oppure all’eventuale irrealisticità dei fatti, spesso se sovrannaturali e, a maggior ragione, vittime di una pietosa sceneggiatura.

Bloodride

L’orrore è una nicchia che ospita i più temerari, coloro che non hanno timore di addentrarsi negli abissi dell’ignoto, composto dalle paure e le nevrosi più infide.

Lo sceneggiatore ha in mano la chiave per entrare in un mondo opposto al nostro, altrettanto veritiero, quanto vorticoso; la fotografia invece, è complice di questo processo, in quanto il percorso sarebbe nullo senza le giuste inquadrature e angolazioni, propense a traghettarci nelle acque del terrore. In generale, la riuscita o meno di un prodotto tende sempre a scorrere in quello che è il crinale della mediocrità o della sufficiente verosimiglianza, nel caso del genere orrifico le probabilità di uno sbilanciamento verso il fallimento sono maggiori, visti gli argomenti che di solito vengono trattati e per il come viene fatto (al di là della fotografia e della sceneggiatura, giocano un ruolo fondamentale i trucchi prospettici e gli effetti speciali).

Bloodride

È necessaria un’estrema coerenza nelle fondamenta di una serie televisiva dell’orrore e il seguente progetto artistico le ha tutte: stiamo parlando di Bloodride.

Una produzione norvegese di soli sei episodi da trenta minuti ciascuno, prodotta da Netflix e distribuita nel lontano 16 marzo 2020. Scritta da Kjetil Indregard e Atle Knudsen, va oltre la semplice composizione dell’orrore, cerca di superarla frammentando la narrazione in tante storie diverse; l’elemento di congiunzione dei frammenti è il torbido senso di di tensione costante, che va di pari passo al delirio, l’incertezza e, nel migliore dei casi, alla morte. Ogni puntata di Bloodride esplora il grottesco mondo dei sei protagonisti, che si trovano tutti insieme all’interno di un misterioso autobus: un mezzo che accomuna il loro malessere e li accompagna alla stessa medesima meta, quella della follia. La sceneggiatura, attraverso un’attenta scrittura e un cast esordiente, fresco e variegato, riesce nell’intento di esplorare gli angoli più perversi dei suoi personaggi principali: Molly (Ine Marie Wilmann), Olivia (Dagny Backer Johnsen), William (Nader Khademi), Sanna (Ellen Bendu), Edmund Bråthen (Stig R. Amdam) ed Erik (Erlend Rødal Vikhagen). Essi si muovono di volta in volta in dei nuclei tematici, su cui gira indipendentemente ogni singolo episodio, e che sono tra i più disparati e controversi: la scena si apre con dei vicini di casa diabolici, per passare a un autostoppista dall’oscuro passato, un corso di scrittura infernale, il furto di un singolare prototipo farmaceutico, una scuola primaria infestata e, infine, una festa di lavoro sanguinolenta. I creatori si divertono a giocare con gli spettatori in un dialogo di verità e finzione, un accumulo di bugie dove è possibile che si nascondano deboli certezze: ci vengono smentite le notizie più verosimili, per dar spazio a delle vere assurdità.

Bloodride

Nonostante i tanti pregi finora elencati, il destino di Bloodride non è stato diverso dalle sorelle di genere, vedendo la sua fine al termine della prima e unica stagione. L’esito di questa decisione è da rilegare non solo alle motivazioni espresse nella premessa iniziale, bensì anche alla competizione di quel preciso momento storico: il mese di marzo nel 2020 è stato accolto da tutti noi contro voglia e ci ha imposto delle limitazioni a cui nessuno sarebbe mai stato pronto, aggiungere dello sgomento in più a quello già presente era tra i nostri ultimi pensieri. Sono stati apprezzati, piuttosto, prodotti come: le terze stagioni di Riverdale (The CW), Élite (Netflix) e Ozark (Netflix), la miniserie Self Made: Inspired by the Life of Madam C.J. Walker (Netflix) oppure il lungometraggio d’animazione Spirited Away (Studio Ghibli). Pare banale, però, ribadire come questa decisione non influisca sulla qualità del prodotto di per sé, che si distingue da ogni altro progetto a testa alta e senza nulla da invidiare, anzi forse potremmo confermare il contrario. Bloodride è una serie dai gusti nordici che si prende sul serio, ma che allo stesso tempo vuole essere vista attraverso uno spiraglio umorisitico. Se siete amanti del genere, oppure ne siete estranei e volete addentrarvici, inutile ribadirvi che siete di fronte alla giusta occasione; è un prodotto immancabile per quella ristretta nicchia e da recuperare per coloro che non di stancano mai di viaggiare da un grido all’altro.