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Aggretsuko – Quando la critica al capitalismo diventa Kawaii

Ve la ricordate Hello Kitty, la gattina antropomorfa, muta, simbolo dell’ideologia Kawaii e stemma di una generazione di Scene Queens? Bene, ora dimenticatela per sempre.

La Sanrio, portavoce dell’ideologia più confettosa della storia del Giappone, ha deciso di abbandonare le vecchie icone bidimensionali, silenziose e color pastello e lasciar spazio – nel 2016 – a Retsuko, amalgama tragicomico di kawaii e brutalità. La vita di Retsuko, venticinquenne e impiegata nel reparto contabilità di un’azienda di Tokyo, è al centro dell’anime targato Sanrio ma prodotto da Netflix: Aggretsuko.

Aggretsuko

L’importante in questo caso è non farsi abbindolare dai disegni teneri e dai colori sgargianti. C’è poco da essere allegri. Aggretsuko è infatti una brutale immagine in chiave antropomorfa di cosa voglia dire essere una ragazza indipendente oggi. Retsuko vive una realtà crudele e a tratti esasperata, tra un lavoro ripetitivo e le angherie del suo capo – Ton, un grasso maiale maschilista e misogino – senza un briciolo di soddisfazione. L’unica sua valvola di sfogo? Il karaoke death metal.

Piuttosto che sfogarsi su chi le sta intorno – come fanno del resto gli altri personaggi della serie – la nostra beniamina preferisce distruggere le sue corde vocali a suon di growl.

Nella quotidianità – prima di chiudersi in una stanza insonorizzata – Retsuko è una normalissima impiegata, a tratti fin troppo accondiscendente e responsabile. Per questo motivo è un essere mediocre, condannata a una vita poco soddisfacente alla ricerca di un posto nella società. Emblematico è in questo senso il suo desiderio di accasarsi e avere una famiglia, in primis per licenziarsi e poi “perché lo fanno tutti”.

Aggretsuko

Dietro l’atmosfera kawaii si nasconde una critica viscerale contro la società capitalista del terzo millennio. Una società dove ancora oggi le donne si trovano a dover vivere all’insegna della remissività per non rischiare il lavoro. Un mondo che ci urla in faccia quanto ci odia e quanto gli facciamo schifo senza alcuna reale motivazione. Simbolo di questa realtà è il capoufficio Ton, non a caso un maiale – forse un riferimento a “La Fattoria degli Animali” di Orwell.

Retsuko è una ragazza qualunque in un mondo in cui chiunque vuole essere qualcuno, anche perdendoci la dignità.

Aggretsuko è l’anime che racconta la frustrazione sotto tutte le sue sfaccettature. Il microcosmo dell’ufficio racchiude ogni genere di bruttezza e di nefandezza che oggi attanaglia i rapporti interpersonali.

Un prisma di personaggi si staglia sotto i nostri occhi, incarnando ogni esasperazione della psiche umana. Tra adulatori, invidiosi e pettegoli non c’è scampo per nessuno. Anche tra gli amici di Retsuko si annida il seme dell’insoddisfazione. Abbiamo Fenneko, cinica per autodifesa, maestra dello spionaggio-social che tanto va di moda in questo secondo decennio del duemila. Poi c’è Haida, vittima dell’ideologia sociale dell’uomo che non deve chiedere mai, goffo e incapace di esternare i suoi sentimenti. Così l’ufficio diventa come un vaso di Pandora in cui si annidano tutti i mali del mondo.

Ovviamente, c’è sempre la speranza. Vessillo di questo sentimento così duro a morire sono Gori e Washimi: perfetti prototipi della donna di successo. Dietro la loro sicurezza e il loro altezzoso fascino si nascondono, tuttavia, le insicurezze dovute alle pressioni sociali. Al contrario di Retsuko, le due ambiziose segretarie riescono a non farsi schiacciare dalle aspettative esterne. Washimi e Gori sono le uniche figure positive di tutta la serie.

Aggretsuko

Lo spaccato sociale che Aggretsuko vuole rappresentare è realistico da far rabbrividire.

È difficile non rivedersi in qualcuno dei personaggi e ancor di più non ritrovare le dinamiche quotidiane. Dall’università, al lavoro, alla famiglia siamo circondati da pressioni e da frustrazioni.

Questo, ahimè, sembra pesare di più sulle spalle del genere femminile che ancora oggi si trova a dover lottare contro il sessismo più spicciolo, giostrandosi tra istinti materni non pervenuti, beni di prima necessità tassati come beni di lusso e attenzione morbosa all’estetica, tutto questo con un salario minore del 23% rispetto al collega fallomunito. La rabbia che si instilla a poco a poco dentro le nostre viscere si trasforma in tristezza, la tristezza poi sfocia della remissività. Così, in questo circolo vizioso, quasi diventiamo la causa del nostro default.

Retsuko si avvicina alla vittoria della sua battaglia solo quando fa squadra con Washimi e Gori, nel momento in cui decide di urlare la sua insoddisfazione al mondo.

Certo, gli anni 2000 sono strani. Ma quando è una multinazionale come la Sanrio a proporre un’icona femminista del terzo millennio, vuol dire che siamo alla frutta.

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