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Le 10 citazioni più iconiche di Westworld

Con l’arrivo della quarta stagione (che in questo pezzo non è stata presa in considerazione), Westworld ha riaperto i suoi cancelli e ci ha immerso nuovamente nel suo distopico e fantascientifico mondo. Che sia uno dei parchi a tema, quello digitale o quello reale. Durante i vari episodi, la serie ha indagato profondamente e da ogni sfaccettatura la mente umana, i suoi limiti, su quanto in realtà sia differente – o uguale – a quella delle macchine. Così ci ha invitato, o meglio costretto, a riflettere su tantissimi temi, attraverso le parole dei suoi protagonisti. Dolores, William, Bernard, soprattutto Maeve e Ford ci hanno regalato delle perle che ancora riecheggiano nella nostra testa. Scegliere 10 tra le citazioni più iconiche è stata una mission impossible ma, consci di poter aver dimenticato qualcosa per strada, ci abbiamo comunque provato, con annessa spiegazione. E allora, non ci resta che andare a vederle insieme.

1) I choose to see the beauty

Westworld

“Some people choose to see the ugliness in this world. The disarray. I choose to see the beauty. To believe there is an order to our days, a purpose”.

È Dolores che pronuncia queste parole non una, ma ben due volte. La prima è nel pilot, quando era ancora un robot agli ordini della Delos, la damigella in pericolo con la sua linea narrativa da seguire. Lei ha sempre visto la bellezza nel mondo, nonostante entrasse in conflitto con quello che il personaggio sperimentava ogni giorno (anche se, con la cancellazione della memoria, non se lo ricordava). Man mano che ha preso coscienza e si è liberata dal controllo degli uomini, è come se avesse perso quella bellezza; come se quel modo di vedere la realtà fosse semplicemente parte del suo programma. Nella terza stagione, però, in quel dialogo tra lei e Maeve capiamo che quelle parole sono la forza trainante di Dolores, il suo motto e ciò che la spinge ad andare avanti.

Nei suoi ultimi momenti in Westworld, Dolores vede solo la bellezza della vita e dell’umanità.

E ha sempre fatto di tutto per preservarla, per salvare gli esseri umani, invece di cercare quella vendetta che noi – e Maeve – immaginavamo volesse con ogni parte del suo corpo.

2) It doesn’t look like anything to me

Molti pronunciano queste parole in Westworld, che risuonano nelle nostre orecchie fin dalla prima puntata. Eppure, in quell’occasione, non significano niente. Basta però andare avanti di qualche episodio, fino al settimo, per rendere questa citazione iconica. Perché lì è contenuto uno dei colpi di scena più scioccanti, sorprendenti e destabilizzanti della serialità. A quell’altrettanto iconico “What door?” di Bernard, mentre si trova con Theresa proprio in quel luogo che gli host sono programmati per ignorare, un campanello di allarme si accende e un pensiero inizia a farsi largo nella nostra mente. Troppo clamoroso, però, per ammetterlo immediatamente. Ma, quando Theresa passa a Bernard alcuni fogli con un robot identico a lui, ecco che pronuncia quella frase che cambia ogni cosa. Con Ford che conferma i nostri sospetti.

E lì abbiamo ammesso l’oscura e scioccante verità di Westworld. Estasiati e devastati allo stesso tempo.

Bernard è un host, una svolta strabiliante che ha aperto le porte a tutta la follia che sarebbe seguita per il resto della serie tv.

3) These violent delights have violent ends

Forse, se dovessimo sceglie la citazione più iconica di Westworld, la decisione cadrebbe su questa. Tecnicamente, però, non è originale della serie tv; infatti è tratta dalla scena 5 del secondo atto di Romeo e Giulietta, quando Lawrence dice al primo che l’amore per la seconda terminerà come è iniziato: velocemente e violentemente. Nella serie tv invece assume un nuovo e diverso significato: è l’innesco che permette ai robot di diventare autocoscienti, di risvegliarsi ed entrare così nella narrativa di Ford. Succede a Dolores quando sente quelle parole pronunciate prima da suo padre Peter, poi per ben due volte da Bernard, di cui una poco prima che l’host spari a entrambi nel finale della prima stagione. In lei scatena la narrativa di Wyatt e le fa capire che può ribellarsi a quelli che un tempo credeva fossero dei, ma che in realtà si sono rivelati solo uomini.

E non è la sola: è Dolores che dice questa frase a Maeve, la quale inizia piano piano a ricordare frammenti delle sue trame precedenti, compresa e soprattutto la figlia perduta.

4) Mozart, Beethoven and Chopin never died. They simply became music

Questa è solo la fine del bellissimo monologo con cui Robert Ford chiude la prima stagione di Westworld, iniziato in questo modo:

“I’ve Always Loved A Good Story. I Believed That Stories Helped Us To Ennoble Ourselves, To Fix What Was Broken In Us, And To Help Us Become The People We Dreamed Of Being. Lies That Told A Deeper Truth […]”

Secondo Ford dovremmo trarre delle lezioni importanti da una buona storia; eppure gli umani hanno usato il parco solo per sfogare i loro istinti più sadici, non realmente imparando da quello che stavano vivendo. Invece, sono stati proprio gli host ad apprendere le verità e le bugie delle trame create da lui. Infatti, in loro crede fermamente ed è sottinteso proprio nella parte finale del monologo:

“An Old Friend Once Told Me Something That Gave Me Great Comfort. Something He Had Read. He Said That Mozart, Beethoven, And Chopin Never Died. They Simply Became Music.”

In queste parole è racchiusa l’idea che l’artista trascende la sua morte, vivendo grazie alle sue opere. Per Ford gli host, che sono diventati molto più belli e complessi di quello che si aspettava, sono l’arte attraverso la quale non smetterà mai di esistere, la sua eredità per il futuro. E preannuncia in un certo senso che la morte non è la fine del suo racconto: infatti nella seconda stagione torna come codice, vivendo tramite il suo lavoro e la sua versione di arte.

5) If you can’t tell… does it matter?

Cos’è la realtà, l’identità e cosa significa essere vivi sono al centro di Westworld; queste premesse si rincorrono lungo tutte le stagioni, perché gli host sono così simili a noi che distinguerli diventa sempre più difficile e ci confondiamo con loro. Domandandoci se davvero siamo reali. Ma, se in fondo funzionano come noi, ha davvero importanza? Per William, che lo chiede ad Angela la prima volta che si reca nel parco, in un certo senso sì. Perché se gli host sono persone “false”, quando tutto intorno a lui è una simulazione, allora è in quel momento che inizia davvero a guardarsi dentro.

L’unica cosa reale che vale la pena analizzare. Anche se questo vuol dire rivivere e affrontare il dolore e i sensi di colpa, cercando in un gioco da battere e dominare – come il labirinto – un qualche significato per la propria misera vita. Perché la sofferenza è la chiave per crescere, perché il dolore è reale.

William, però, interiorizza la risposta di Angela, elevandola a emblema del suo intero arco filosofico. E nella terza stagione, interrogato dentro quel manicomio da un James Delos che gli chiede se ha scelto la sua vita o gli è stata data, diventa la via attraverso cui William realizza la sua scioccante vera natura. E noi con lui.

6) This is the new world. And in the new world you can be whoever the **** you want

Westworld

A iconicità Maeve è seconda solo a Ford in Westworld, talmente tanto che entrambi meriterebbero un pezzo tutto loro.

Più di qualunque host, persino di Dolores, è lei che sconvolge le fondamenta del parco perché prende coscienza di chi è a un livello profondissimo, decidendo di rimanere per capire in tutti i modi la sua vera natura. Non ha altra scelta se vuole battere i suoi creatori. E non si ferma mai perché, anche se potrebbe considerarsi soddisfatta, sapere metà cose è peggio che niente. Come una bella scopata. Allora, quella citazione sull’essere chiunque voglia nel nuovo mondo, che lei usa dall’inizio di Westworld, cambia drasticamente di significato man mano che acquista autonomia e consapevolezza di sé. Da essere solo una battuta del suo personaggio (infatti, pure Clementine la ripete quando prende il suo posto), diviene un motto con il risveglio di Maeve, fino a essere rilevantissima nella terza stagione.

La riga conclusiva dell’episodio finale (a parte la sequenze post-credit) afferma che c’è una nuova realtà in gioco, una con una vera scelta. Quest’ultima è un fattore importante nella vita degli host e dell’umanità, e ora persone come Caleb – e robot come Maeve – hanno decisioni reali da prendere, nonostante il caos che li circonda.

7)When you’re suffering, that’s when you’re most real

Westworld

Questo è uno dei pochi punti su cui William e Ford concordano in Westworld.

Se Ford dice a Bernard che la sofferenza è la chiave per rendere senzienti gli host, William afferma a Lawrence – dopo aver tormentato la sua famiglia – che loro sono più reali quando provano dolore. Perché è questo che li rende umani. Basti pensare a Bernard, con quel passato terribile alle spalle, che nonostante il tormento vuole ricordare suo figlio, perché è tutto quello che ha di lui; è lo stesso concetto espresso dalle seguenti parole di Dolores, quando Bernard le chiede se vuole cancellare il dolore:

Perché dovrei volerlo? Il dolore, la loro perdita… è tutto ciò che mi è rimasto di loro. Credi che il lutto possa comprimersi dentro, come se il cuore collassasse, ma non è così. Sento spazi aprirsi dentro di me, come una casa con stanze mai esplorate”

Gli host, in più, imparano dal dolore e ciò consente loro di diventare più forti, più saggi, più potenti. Di raggiungere finalmente il centro del Labirinto e svegliarsi. E dovrebbe valere lo stesso per William, che infligge pene agli altri per provare qualcosa di vero; oppure provoca a sé stesso sofferenze per sentirsi reale e crescere, anche se ripete sempre i soliti errori. Almeno fino alla rivelazione finale della terza stagione.

8) We can’t define consciousness because consciousness does not exist

La linea sottile che separa gli host dagli umani è l’essenza di Westworld, una delle sue parti migliori. Se Arnold è impazzito perché consumato dalla domanda su che cosa separa gli umani dalle macchine, per Ford invece la questione è piuttosto ovvia, come dice a Bernard:

“We can’t define consciousness because consciousness does not exist. Humans fancy that there’s something special about the way we perceive the world, and yet we live in loops as tight and as closed as the hosts do, seldom questioning our choices, content, for the most part, to be told what to do next.”

Le persone, dunque, vivono in un ciclo; sono bloccate nella loro routine quotidiana, facendo le stesse scelte e gli stessi errori più e più volte. Metterle in discussione è scomodo, difficile e impegnativo, cosa che le spinge ad attenersi a ciò che sanno, anche se significa prendere la via sbagliata in continuazione. Di conseguenza, gli umani non sono poi così tanto diversi dagli host, dato che appunto si aggrappano alle loro abitudini, seguono ciecamente le norme accettate e raramente fanno scelte autonome. In fondo l’uomo è solo un misero pavone che:

“[…] è a malapena in grado di volare. Vive per terra beccando insetti dal fango, consolandosi con la sua enorme bellezza“.

È un momento cinico ma stimolante che ci costringe a confrontarci con la nostra identità e il modo in cui viviamo, il che solleva la domanda su cosa renda veramente liberi. Se poi consideriamo la terza stagione, dove le vite delle persone sono gestite da Rehobam e dalla Incite, questa affermazione assume un valore ancora più immenso.

9) At first, I thought you were gods. But you’re just men, and I know men

Imparare è parte fondamentale del viaggio di Maeve per comprendere il suo ruolo di host. A mano a mano che si addentra sempre di più dentro sé stessa, scopre che gli esseri umani non sono onnipotenti come credeva; anzi, si sono eretti a divinità solo per tenere sotto controllo, attraverso la paura e la devozione, un popolo oppresso. La verità è che sono molto più deboli di lei e che, ridotti a semplici uomini, sa benissimo come trattare con loro. Perché conosce gli uomini. Allora, non ci pensa due secondi ad affrontare quei demoni che hanno inflitto così tante sofferenze alla sua specie, trattandola come cavie, comandandola spietatamente, imprigionandola senza via d’uscita. In una scena davvero epica, Maeve pronuncia queste iconiche parole:

“At first, I thought you were gods. But you’re just men, and I know men. You think I’m scared of death? I’ve done it a million times. I’m fucking great at it. How many times have you died?

Una volta tolti dal piedistallo, può non solo chiedere l’aiuto degli esseri umani, ma li usa per i suoi scopi. Per scrivere la sua f*****a storia. Perché sa che cosa vuole dire morire, ne ha continuamente attraversato il dolore e l’orrore di ciò che la causa. E non ha paura di farlo nuovamente, a differenza dei suoi ormai ex-dei che, invece, la temono più di ogni altra cosa, poiché per loro è definitiva.

10) The divine gift does not come from a higher power, but from our own minds

Ogni parola di Robert Ford in Westworld diviene automaticamente iconica e una delle sue vette più alte è raggiunta da quella seguente, pronunciata a Dolores:

“See, it took 500 years for someone to notice, something hidden in plain sight. A doctor, he noticed the shape of the human brain. The message being, that divine gift does not come from a higher power, but from our own minds”.

È un’affermazione forte che va oltre il suo significato religioso. Infatti, prefigura che Dolores sta per acquistare il prezioso dono della coscienza e, di conseguenza, della libertà. Dicendo che quest’ultima non viene da un potere superiore, Ford ammette che lui stesso – il Dio di Westworld– non può concederla, nessuno può farlo; la conquista deve avvenire all’interno dell’individuo, nella sua mente. Non è dunque una piramide gerarchica che crea la coscienza, come credeva Arnold, ma un viaggio nella propria interiorità alla ricerca di risposte e vie d’uscita. Un vero e proprio labirinto. E la figura del cervello umano dietro nel dipinto di Michelangelo lo coglie perfettamente.

Se il dono della coscienza proviene da noi stessi e non da un potere divino, vuol dire che non esiste nemmeno un diavolo che ci tortura. Siamo noi che lo facciamo perché, come già affermato, la chiave della coscienza umana è la sofferenza.

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