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Unorthodox: ricominciare a respirare

Ci sono serie che ci divertono, altre che ci commuovono, e altre ancora che ci fanno drizzare i capelli in testa per la paura. Poi ci sono le serie come Unorthodox che hanno invece il grande merito di farci riflettere sul mondo che ci circonda, trasmettendo una sensazione profonda di arricchimento che, anche a visione terminata, non ci abbandona facilmente.

E questo perché dal conforto del nostro Occidente ipermoderno e globalizzato, in cui la libertà di scelta personale e di autoaffermazione è un principio oramai dato per assunto, ascoltare una storia come quella raccontata in Unorthodox lascia quantomeno sconcertati.

La serie Netflix del 2020 è ambientata infatti all’interno della comunità chassidica di Williamsburg, quartiere ebraico ultra-ortodosso del borough di Brooklyn a New York. Siamo quindi nel cuore della Grande Mela, il crogiolo della civiltà moderna e dell’intreccio di culture, religioni, idee e correnti di pensiero.

Il paradiso del capitalismo, potremmo definirla, in cui milioni di abitanti vivono le proprie vite all’ombra dei grattacieli e del simbolo occidentale per eccellenza, la Statua della Libertà. Ma a Williamsburg di libertà sembra essercene ben poca.

Magistralmente interpretata dall’attrice israeliana Shira Haas, la protagonista di Unorthodox è Esther “Esty” Shapiro, diciannovenne nata e cresciuta tra i palazzi del quartiere, che come qualsiasi altra giovane donna della sua età e del suo credo religioso sembrerebbe avere un destino già segnato.

Unorthodox

Le sarà imposto un marito, si sposerà, concepiranno dei figli, sarà una madre e una donna di casa. E questo è tutto.

Ma qualcosa, in Esty, sembra ribellarsi a tale disegno, tanto da spingerla a fuggire da Williamsburg alla volta di Berlino, dove cercherà di iniziare una nuova vita.

La narrazione di Unorthodox inizia dunque in medias res, con la protagonista che ha già maturato la sua decisione e, grazie all’aiuto della sua insegnante di pianoforte, trovato i documenti e il denaro necessari per affrontare il viaggio.

Da questo momento in poi il racconto intreccerà il tempo presente, nella capitale tedesca, e i dolorosi flashback sul primo anno di matrimonio con Yanky, lo sposo che la comunità aveva selezionato per lei.

Perché a Williamsburg non solo le donne non sono libere di scegliere chi amare, ma non possono nemmeno studiare, o partecipare alle celebrazioni in sinagoga, o semplicemente esprimere un pensiero che sia davvero il loro, e non quello imposto da un padre, un fratello, un marito. Il solo fatto che Esty abbia seguito le lezioni di piano, e che si sia profondamente appassionata alla musica classica, è visto come una rischiosa deviazione dalla norma.

Unorthodox ci mostra come la vita dei membri della comunità sia severamente scandita dai rituali e dalle osservanze della religione, che impongono alle donne un ruolo di totale sottomissione e quasi di rinuncia alla propria individualità di esseri umani.

Emblematica la cerimonia della rasatura a zero dei capelli imposta alle ragazze, costrette da quel momento in poi a indossare parrucche per il resto della vita. Quasi un lugubre rito di passaggio, attraverso il quale ha inizio quel lento e inesorabile processo di spersonalizzazione cui tutte sembrano piegarsi di buon grado, forse inconsapevoli delle opportunità che si nascondono al di là delle vie rassicuranti di Williamsburg.

Ma Esty, come sua madre tanti anni prima, sembra non volersi piegare a un’esistenza di rinunce e sopraffazione, e la vitalità del suo spirito e il profondo desiderio di autoaffermazione sono metaforicamente rappresentati dal suo amore per la musica.

Non è un caso infatti che a Berlino trovi riparo e amici presso il Conservatorio della città, dove accarezza il sogno di poter ottenere una borsa internazionale per studiare il pianoforte. Ma Berlino sarà anche il luogo in cui liberarsi dalle catene di una vita che non sente più sua, anche se ciò dovesse significare tagliare del tutto i ponti con la famiglia d’origine.

Perché per una giovane sposa di Williamsburg l’abbandono del tetto coniugale è difatti il più grave dei peccati concepibili. E non importa che il matrimonio con Yanky le avesse causato solo sofferenza e infelicità, tanto da impedirle per lunghi mesi di sopportare un’unione fisica con il marito.

Unorthodox

In questo senso se la ribellione e la fuga di Esty rappresentano per la comunità e per la sua famiglia un’onta imperdonabile, Unorthodox ci dimostra invece che l’aspirazione alla libertà è più forte di qualsiasi coercizione o ricatto morale.

Così la scena del bagno nel lago tedesco si carica di significati alti e profondi, facendosi quasi “battesimo” a una nuova libertà che la protagonista sente finalmente di meritare. Disfattasi dell’odiata parrucca come ci si disfa delle catene, Esty tira fuori la testa dall’acqua e respira, respira come se fosse la prima volta.

A nulla serve che Yanky e il violento cugino Moishe abbiano preso un volo da New York per convincerla a tornare sui suoi passi, poiché la protagonista di Unorthodox ha ormai compreso che la libertà di poter scegliere per se stessa e per il proprio futuro è più importante di tutto il resto.

Una lezione che la serie ci impartisce senza mai scadere nel sentimentalismo spiccio o, peggio, nella condanna semplicistica e fine a se stessa allo stile di vita chassidico.

Perché Unorthodox è prima di tutto una storia vera, tratta dal romanzo autobiografico di Deborah FeldmanEx ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche“, una matrice letteraria che forse ha saputo donare alla serie quella marcia in più che solo la realtà possiede, spogliandola dei sensazionalismi in cui spesso rischiano di cadere prodotti di questo genere.

Se avete dunque voglia di lasciarvi trascinare in un mondo a noi del tutto estraneo e tra le mura (fisiche e metaforiche) di una cultura di cui si conosce fin troppo poco, Unorthodox è decisamente la serie che fa al caso vostro.

Un prodotto in definitiva molto diverso dagli altri in circolazione sui cataloghi dei colossi dello streaming, una storia più intimistica e forse, a suo modo, più semplice, ma portatrice di un messaggio universale di speranza e di emancipazione che difficilmente può lasciare indifferenti.

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