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Questo episodio di The Walking Dead è il tipico episodio acchiappa critiche, come l’altro recente dedicato a Tara. Poco importa se chiude parentesi aperte da stagioni, se mostra un altro lato del rifugio dei Salvatori, se percepiamo un Negan finalmente più vulnerabile, se l’altra faccia di Dwight è la maschera di una delle storie più tristi di tutta la serie, se i riferimenti alle stagioni precedenti e ai personaggi persi sono così tanti da farci emozionare. Non importa perché è un episodio particolarmente lento, introspettivo e adatto solo a chi sa guardare sotto la superficie della mancanza di azione.

Ma The Walking Dead è The Walking Dead anche per questo.

(Premessa per cercare di capire a pieno il significato della puntata e della recensione. Recensire una serie non significa dire: questa puntata mi è piaciuta o questa non mi è piaciuta. Recensire significa cercare di capire il messaggio dell’episodio, la psicologia del personaggio a cui è dedicato. Recensire significa provare a cogliere i simboli, le immagini e le parole. Poi è ovvio che ci siano puntate in grado di farti saltare sul divano dall’ansia o dall’esaltazione, come è ovvio che ce ne siano altre davanti alle quali fatichi a tenere gli occhi aperti. Ogni episodio però ha qualcosa da dire e serve ai fini della trama finale. Cerchiamo di andare oltre il dire solo se una puntata è stata bella o brutta.)

Nell’episodio 7×11 di The Walking Dead torna tutto. Torna la bugia di Eugene, torna la sua recitazione, torna il suo prezzo della sopravvivenza. Torna Easy Street nella stanza che sarebbe stata di Daryl se avesse accettato di dare a Negan anche il suo nome. Torna la punizione del ferro rovente in modo più crudo e violento, tanto per alzare un altro po’ l’asticella. Tornano le provocazioni di Negan, la sua subdola coscienza di onnipotenza. Torna una donna incapace di restare a guardare il mostro che qualcuno è diventato, proprio come Carol. Torna quell’aria di un mondo grigio e imperfetto dominato dalla brama di potere di chi non solo ha più mogli, ma ha vite da gettare nelle fiamme. Torna l’essere definito codardo da Eugene, ma con questo anche la sensazione che egli abbia di nuovo ragione.

Ogni volta che si entra nella base dei Salvatori si ha la sensazione che le cose non andranno per il verso giusto. La paura domina le azioni di qualunque presente, non c’è solidarietà, non c’è spazio per l’amore. L’amicizia è un dono raro, come la libertà di scegliere da sé il proprio destino. Tuttavia è la prima volta che vediamo qualcuno al di fuori del gruppo di Rick che riesce ad aggirarlo (quasi) facilmente.

Chi poteva essere se non Dwight? Chi poteva essere se non uno degli uomini che ha perso di più di tutti? Chi poteva essere se non colui che afferma ripetutamente di non potersi ribellare ma che finisce con fare esattamente quello?

Non poteva bastare meno di un episodio a regalarci tutto questo, a far sentire nostra la sofferenza di un uomo che non ha più nemmeno se stesso. Le parole di Sherry ci scavano dentro cercando di scovare un senso di libertà che in The Walking Dead non esiste più. 

Sperare, pregare, credere di non dover cambiare per sopravvivere sono perfette illusioni, specchio di un mondo che non appartiene alle persone irrazionali. Di un mondo che difficilmente concede la vita a chi non è disposto a fare un passo indietro o a scendere ad un compromesso.

Tra un panino con pomodori freschi e una macchia di sangue sull’asfalto si riparte proprio da dove ci si era fermati in occasione della fuga di Daryl.

Negan e i suoi uomini tornano dal viaggio ad Alexandria per riconsegnare Carl, dopo aver fatto piazza pulita delle persone non adatte al progetto del leader dei Salvatori. Olivia e Spencer erano una risorsa sprecata per lui, due bocche in più da sfamare che non avrebbero mai reso nulla. Eliminabili, in una sola parola.

Dwight assiste impotente alla presa di coscienza della fuga di Daryl. La moto, la cella vuota, la sua stanza sottosopra. L’essersi fatto scappare il prigioniero non vuol dire solo veder sfumare la fiducia guadagnata in Negan. Il senso di fallimento di Dwight, picchiato e rinchiuso nuovamente in cella, rappresentano totalmente quanto piccolo sia il passo per essere, ancora una volta, ELIMINABILE e sostituibile.

Chi non è invece eliminabile è Eugene. Una mente brillante come la sua, seppur irritante e spiazzante, non è sostituibile in The Walking Dead.

Non è sostituibile e non è da mettere in secondo piano, come si affretta a provocare Negan (Rick ti faceva fare queste cose preziose per lui? Sua la perdita, nostro il guadagno.). Avere un Secchione a corte è tutt’altro che controproducente e, se si analizza bene la situazione, Eugene potrebbe aver trovato quello che da sempre cerca. 

Ad Alexandria era costretto ad imparare a difendersi, a maneggiare le armi, a combattere. C’era una sicurezza minore garantita, un rispetto e un ruolo inferiori, poche medicine, nessuna scelta di cibo. La stanza che Negan gli concede prende la forma di un piccolo Paradiso. Egli sa come maneggiare il nuovo arrivato. Lo mette alla prova sì, ma gli fa anche sentire l’importanza di essere entrato tra le sue fila (non scelgo chiunque).

L’arrivo di Eugene alla base dei Salvatori è costellato di prove di coraggio, forza interiore e forza di volontà. Non solo Negan gli chiede di risolvere immediatamente un problema per testarlo, ma gli fa capire tutto quello che può avere. Un frigo pieno, la musica in camera, i videogiochi, i sottaceti. Tutto senza chiedere nulla.

Stabilisce qualche regola, giusto quelle due o tre in grado di spaventarlo al punto di non voler commettere cappelle. Negan comanda, Negan punisce, Negan dà. Puoi avere tutto se accetti di essere lui. Puoi avere le patatine fresche se accetti di ridurre un lavoratore al numero 42, puoi avere i cetriolini  se giri con uno dei membri della guardia, puoi avere le mogli per divertirti se non fai sesso.

“Sei stato tu allora? Tu dovevi farlo crollare, lui ha fatto crollare te?”

La domanda ‘chi ha aperto la porta a Daryl?’ ha finalmente trovato una risposta. Non che le opzioni fossero molte, come anche Negan ci ha dato modo di provare. Dwight, Sherry o Jesus. Il compito è toccato alla ragazza, troppo buona per vedere qualcun altro perdersi nel mondo di Negan, troppo stanca per combattere ancora e troppo forte per schiacciarsi così sotto il suo comando. 

Il filo conduttore che la lega a Carol è tanto sottile da essere quasi impercettibile. Entrambe se ne sono andate via, lontano dalle persone amate, perchè incapaci di stare a guardare il nuovo mostro. Sherry odiava l’aver trasformato Dwight nell’uomo che mai avrebbe voluto diventare. Carol odia cosa è diventata per dover proteggere i suoi compagni.

Entrambe hanno preferito una sparizione silenziosa, dettata dall’amore, piuttosto che un grido fraintendibile. 

“D, dicevamo sempre che, se mai ci fossimo separati, ti avrei aspettato a casa. E che tu saresti arrivato con birra e pretzel. Ti ricordi? Lo so, probabilmente no. Dicevi sempre che fin dall’inizio hai dimenticato di dirmi che hai una memoria di merda. Ti dispiaceva un casino sapere che non avresti ricordato le belle giornate, quelle giornate speciali. Stavo male per te. Dicevi che c’erano così tante cose a cui volevi aggrapparti e che sarebbero sparite, ma sei fortunato a non ricordare le cose D.

Vorrei poterti aspettare ora, ma non so se verresti con me o se mi riporteresti lì. O se mi uccideresti. Non volevi vivere in quel mondo e io ti ho costretto. Ho fatto quello che ho fatto perchè non volevo che morissi. Ma ora hai ucciso e sei diventato tutto quello che non volevi essere. Ed è colpa mia. Eri migliore di me, quasi tutti lo sono. Ho lasciato andare Daryl perchè ti ricordava chi fossi e io volevo lasciarti dimenticare. Non credo che ce la farò lì fuori, ma ti sbagli.

Stare lì non è meglio che essere morti. E’ peggio. Spero che te ne renderai conto. Spero che scapperai. Spero che ricorderai le belle giornate, anche solo una di essere, ma non credo che lo farai, che leggerai mai queste mie parole.

Amavo chi eri, mi dispiace averti reso chi sei.

Addio, honey.”

Cosa rimane quindi ai due protagonisti di questa puntata? 

La convinzione di star facendo la cosa giusta? Di star proteggendo in qualche modo le persone che si amano?

Dwight ha ucciso di nuovo, indirettamente. Con la sua bugia ha causato la morte del dottore e ha garantito una via di fuga alla sua amata. Per provare a darle una chance ha commesso di nuovo l’errore che ha fatto allontanare Sherry da sé. Ha ceduto. E’ crollato sotto il peso dell’impotenza. Ha ricomposto una foto, fumato una sigaretta, mantenuto una promessa (la birra e i pretzel) ma ha presto ricordato che le regole della sopravvivenza non contemplano l’amore.

Eugene, diversamente, non ha commesso di nuovo lo stesso errore. Come Rosita, anche Frankie e Tanya volevano una possibilità per eliminare Negan. Gli insulti (codardo) non sono cambiati, ma questa volta Eugene ha tenuto testa alla disperata richiesta delle ragazze. Aveva ragione con Rosita: il suo tentativo sarebbe costato la vita di qualcuno (Olivia e Spencer). Pur sapendo di avere le capacità per ucciderlo non ha ceduto alle suppliche, consapevole del fatto che anche loro sarebbero morte.

Non ha risposto al fuoco con il fuoco. Non ha scelto il suo nome, ha scelto Negan. 

Forse sia lui che Dwight hanno solo bisogno dell’arrivo di un temporale per fare la prima mossa, hanno solo bisogno di vedere che una fiamma non resta accesa per sempre. Perché? Perché come canta la canzone dei They might be giants durante la puntata: “Everything right is wrong again” (tutto ciò che è giusto è di nuovo sbagliato).

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