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La spiegazione del finale di The Shield

Attenzione: evitate la lettura se non volete imbattervi in spoiler sul finale di The Shield

Seduto su quella sedia con la testa inclinata, lo sguardo languido e le mani tremanti, Vic deve sentire ancora chiaramente le urla di Ronnie, la rabbia e il dolore di quelle parole. Più di tutto, però, nei suoi occhi si legge lo sgomento: ciò che gli è accaduto nell’ultima giornata al distretto di Farmington ha dell’assurdo. Ciò che gli è accaduto nelle ultime ventiquattro ore è qualcosa di impensabile. È un momento passeggero, però: quando lo schermo sfuma a nero, Vic ormai si è alzato, ha ripreso la pistola, sua vecchia compagna di vita e recuperando quell’occhiata mefistofelica che lo ha caratterizzato per tutte le sette stagioni, si incammina verso l’uscita dell’ufficio. Verso ciò che lo attende.
La chiusura di The Shield è un colpo al cuore per gli appassionati di polizieschi e serialità in generale: l’incredibile impatto che questa serie ha avuto sul mondo seriale lo si può riscontrare ancora oggi. Ogni antieroe che si rispetti ha uno o più tratti in comune con la parabola di discesa negli inferi di Vic Mackey, il losco detective portato sui piccoli schermi da un gigantesco Michael Chiklis, la cui presenza scenica è indiscutibile e terrorizzante.

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Lo Strike Team al completo.

Vedere la serie che giunge al suo termine lascia una sensazione di vuoto assoluto e quasi incolmabile (i cui punti salienti sono fortunatamente recuperabili e apprezzabili, prima di scoppiare in lacrime). I ragazzi dello Strike Team, a mano a mano che tutto avanza, divengono parte della tua esistenza, ridi, gridi, soffri e muori con loro sentendo nelle viscere tutte le vicende che gli capitano come se appartenessero a un mondo che conosci perfettamente e invece è una realtà lontana, che forse si conosce appena. The Shield fa così: entra col botto e se ne va col botto, che non è scontato. L’ultimo episodio, eccezionalmente lungo, ripropone tutta la violenza a cui la serie ci ha abituati, ripropone tutto quel dolore che abbiamo affrontato insieme a loro e il dramma della loro esistenza, facendolo in un modo catartico e potente come in poche altre situazioni se n’è visti. Ognuno dei personaggi ha una fine in linea con ciò che gli è successo e soprattutto precisamente nei canoni previsti da Shawn Ryan il creatore e direttore d’orchestra dell’intera operazione: con il realismo a fargli da mantra, senza esagerare, senza dover necessariamente strafare, tira fuori dal cilindro un finale che chiude ogni porta e ci permette di accomiatarci degnamente da quella storia che che tanto ci ha donato e di tanto è riuscita a privarci.

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Vic Mackey, quando ormai tutto sta finendo.

Non si può parlare del finale di The Shield, prescindendo dall’analisi dell’evoluzione e delle conclusioni dei suoi personaggi. L’orizzontalità della trama e quell’enorme corsa contro i pronostici fatte da Vic e compagnia nell’ultima stagione sono quasi in secondo piano rispetto a tutto quello che abbiamo visto attraversare e portare a compimento da quelli che sono gli attori delle vicende. Partiamo da Shane Vendrell, padre amorevole ma uomo corrotto fino al midollo e decisamente non un poliziotto modello. L’arco narrativo di Shane è forse uno dei più interessanti dell’intera serie: non appena lo vediamo su schermo è già un personaggio a tutto tondo con un amore viscerale per il suo capo, Vic, per il quale non esiterebbe un secondo a dare la vita. Già nell’arco del primo episodio, quando lo vede compiere un delitto efferato, qualcosa inizia a vacillare e quel vacillare si fa sempre più costante e sempre più con movimenti ampi fino ad arrivare ad una frattura insanabile. I due passano da colleghi e amici per la vita a nemici giurati nell’arco di queste adrenaliniche sette stagioni, scontrandosi più volte, perdendo la testa dietro i movimenti l’uno dell’altro e cercando di prevedere le mosse dell’avversario con una vena quasi scacchistica nell’ultima stagione. Fino ad arrivare a quel tragico momento finale, quelle decisioni prese nella fretta e nell’ansia del momento, la necessità di trovare un posto più sicuro per sé, Mara (la moglie) e il loro bambino. La scelta di ucciderli, nel sonno, posizionandoli come due sorridenti salme, la necessità espressa di non fargli più vedere le brutture di quel mondo, di non costringerli a pagare per i suoi errori. L’ultimo colpo che risuona nel bagno, dopo che la polizia fa irruzione nel loro nascondiglio. Chi è diventato Shane è tutto in quegli ultimi istanti.
Da quel momento iniziale fino all’ultimo istante, Shane è in crescita continua, in un lungo percorso di pentimento che, nel mondo di The Shield, non poteva far altro che portare all’epilogo che si è scelto.

Un discorso a parte andrebbe fatto per Curtis Lemansky, ma ci vorrebbe un intero articolo. Mi soffermerei anche su Ronnie Gardocki, personaggio spesso sottovalutato che si prende le luci della ribalta nelle ultime due stagioni diventando, suo malgrado, forse quella vittima che nessuno si sarebbe aspettato. Quella faccia pulita da bravo ragazzo, sfregiata unicamente da una bruciatura causata da pessime scelte di Vic, non poteva ad occhio finire come quegli altri due. Fino all’ultimo ci si crede nella salvezza di Ronnie: per come continua a voler fare il suo lavoro, per come crede davvero che Vic lo salverà, in fin dei conti, per come non dubita nemmeno un momento della grande moralità del suo leader, Ronnie non se lo meritava. E questo lo sa anche Shawn Ryan che decide consapevolmente di concludere la sua storia rendendolo un uomo tradito e privo di alcuna speranza. Niente e nessuno ha scampo nel mondo di The Shield, se anche solo è minimamente colpevole di qualcosa. E Ronnie aveva colpe da vendere. Le espierà nel sistema carcerario americano. Dove, si sa, i poliziotti non hanno vita facile. Quel posto nel quale Vic gli aveva promesso non sarebbe mai entrato.

In ultimo, ma non per importanza, troviamo Vic Mackey. I tratti più complessi d’uomo e personaggio sono racchiusi tutti in questa figura che, nelle sette stagioni, ci viene mostrato in ogni angolo del suo mondo. Lo vediamo compiere delle nefandezze oscure nei confronti di colleghi e amici e contemporaneamente non riuscire a gestire tutto lo stress dei suoi figli autistici, tutto ciò che questo comporta. Lo vediamo preoccupato per il loro mantenimento, per come vivranno la loro vita, per come saranno. Lo vediamo preoccuparsi per la moglie Corinne e la figlia maggiore, Cassidy, con la quale ha un rapporto difficile date le sue lunghe assenze da casa. Vic è un uomo tormentato, con un senso della giustizia tutto suo ed una morale comprensibile unicamente se si danno ascolto alle proprie viscere e non al cervello. Lavora di forza, d’astuzia, e con una grande conoscenza del suo mestiere, tanto da riuscire a non essere incriminato per nessuno dei reati che commette. Ad ogni azione, però, corrisponde una reazione uguale e contraria. Vuotando il sacco, Vic si espone davanti a dei suoi pari, racconta tutte le cose che fatto, le rapine, gli omicidi, le mazzette, lo spaccio. La collega che avrebbe dovuto salvarlo rimane inorridita da tutto ciò che ha sentito. Gli concede un’ultima operazione, gli concede di concludere in bellezza e, anche per suo tornaconto personale (ché in The Shield pochi personaggi fanno qualcosa senza un vero tornaconto personale), catturare l’ultimo grande criminale della sua carriera. Ma gliela promette. Gli promette che dopo non sarà più così e Vic non ci vuole credere, fa di tutto per dimostrarsi all’altezza, per far capire che lui è ancora necessario, mostrando unicamente quanto quell’adrenalina sia necessaria a lui: sentirsi superiore, sentirsi più forte di tutti e poterli in qualche modo comandare a bacchetta.

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Vic alla fine di tutto.

E qui torniamo all’inizio di questo articolo: l’ufficio. Dopo l’arresto, dopo aver toccato la cima con un dito, Vic scivola, cade, si schianta al suolo: scopre Shane e corre a vedere il suo cadavere e vede Ronnie portato via. Si vede sottratto tutto quanto quello che aveva di più caro nella sua vita. Glielo si può leggere negli occhi, nella linea sottile delle labbra, negli zigomi contratti: ha perso tutto. Non può farsi vedere debole, però. Non può accettare di essere debole, improvvisamente. Da questo la pistola ancora nella cintura, da questo la smorfia con cui si dirige verso l’uscita. Vic non può accettare di aver fatto tutto bene, ancora una volta, ma di esserne uscito sporco e malmesso. Il mondo, alla fine, ha deciso di insegnargli quella lezione che lui credeva di impartire ogni volta che eseguiva un arresto, sgominava un racket, sparava a colleghi infiltrati: chi sbaglia, paga.

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