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The Shield 7×13 – L’assordante suono del silenzio

Ogni sabato sera, sempre alle 22.30, vi portiamo con noi all’interno di alcuni tra i momenti più significativi della storia recente e passata delle Serie Tv con le nostre recensioni ‘a posteriori’ di alcune puntate. Oggi è il turno della 7×13 di The Shield.

Vic Mackey indossa un abito grigio che sembra di almeno una taglia più stretta rispetto alle sue misure. È uno stile elegante, che però lo fa apparire goffo, abituato com’è a t-shirt nere aderenti, che restituiscono la sua imponenza fisica e, pertanto, anche la sua personalità. Si siede a una scrivania d’ufficio, altro elemento dissonante, del tutto estraneo rispetto a ciò che ci ha mostrato in The Shield. C’è evidentemente qualcosa che è andato storto.

Ma ciò che è più straniante è che c’è silenzio attorno a lui. E il silenzio è la cosa più distante che possa esistere da Vic Mackey.

Il silenzio gli ricorda l’incomunicabilità del piccolo Matthew, affetto da sindrome d’autismo. Non si può spiegare quale possa essere il dolore di un padre in questi casi e nemmeno si può sindacare sull’affetto, sull’amore che Vic prova per il figlio. Però, fatto sta che quel silenzio si tramuta in distanza e quella distanza in un vuoto, E Mackey tenta di riempire quel vuoto entrando in una spirale di caos, qualcosa che paradossalmente riesce a controllare.

È così che inizia l’ascesa criminale di uno che il crimine dovrebbe debellarlo. The Shield tocca marginalmente la critica sociale sulle difficoltà delle famiglie nel mantenere figli con disturbi e ci regala l’ennesimo antieroe che usa come pretesto la famiglia per appagare le ambizioni personali, quello che poi sdoganerà al grande pubblico Walter White.

Così The Shield si vive tutto d’un fiato, ai ritmi che la squadra d’assalto impone fin da subito. Non esistono tempi morti perché c’è necessità di arrivare subito al sodo. Scorciatoia morale dopo scorciatoia morale quel vuoto viene riempito fino ad assumere la forma di un vaso di Pandora. Chi prova a entrarci in contatto ne resta fatalmente segnato.

Mentre tutto attorno a lui si sgretola, Vic sa muoversi agilmente, cade sempre in piedi. Non c’è persona abile come lui a negoziare. Non esiste persona capace di spingersi in cotanti abissi morali. Non si può davvero battere qualcuno se non sei in grado di scendere davvero al suo livello. Solo il silenzio logora, arreca dolore a Vic Mackey.

Il silenzio gli impone la riflessione, gli fa realizzare la sconfitta

Seduto a quella scrivania troppo piccola per lui, in quell’abito troppo stretto per lui, Vic riflette. Riflette sulle scelte che lo hanno portato fino a quel punto. È riuscito a evitare il carcere fino alla fine, ma a quale costo? Il finale di The Shield si può davvero considerare una vittoria, dopo che tutti i suoi amici sono morti, dopo aver tradito Ronnie?

Rimugina, Vic, rimugina come quando, pochi giorni prima, si apprestava a raccogliere le parole prima di confessare tutto il confessabile all’agente Murray. Un monologo straripante, sconvolgente anche per lo spettatore, che pure aveva assistito in prima persona a ogni crimine perpetrato dallo strike team, anticipato da un altrettanto lungo e significativo silenzio. Come se volesse trovare le parole giuste o, meglio, chiedersi se sia davvero la cosa giusta da fare.

In silenzio Vic ci resta pure dopo aver trovato Lem senza vita, ucciso da Shane anche se lui non lo sa ancora. Lo osserva con tenerezza, nei fatti è responsabile anche lui di quel che è accaduto, d’altra parte tutti gli amici e colleghi pendono dalle sue labbra. È la sua grande abilità. Ma, nel frattempo, monta la rabbia e quel lunghissimo momento di calma piatta viene scalzato dalla sua aggressione a Kavanaugh.

Mackey ha bisogno di riempire quel silenzio con l’agire. Ogni vuoto è un momento di dolore lancinante, per questo l’agente se ne tiene alla larga. La serie, che con i suoi ritmi ci ha abituato all’esatto opposto del silenzio, non manca di sottolineare questi momenti, pochi ma cruciali. E quel vuoto che sente lui, finiamo di rimando per sentirlo anche noi.

Come nel momento, struggente, dell’arresto di Ronnie, la resa dei conti di The Shield

La scelta di tradire Ronnie, anche se alla lontana, dimostra comunque che una base di umanità sia ancora presente in Vic. D’altra parte, solo attraverso la sua confessione fiume può salvare sua moglie Corinne, altra vittima innocente delle sue azioni, dall’incriminazione. Al tempo stesso per scagiona anche se stesso, che è stata la mente oltre che il braccio di ogni reato commesso dallo strike team.

Il carcere probabilmente sarebbe stato troppo pericoloso per lui, ma c’è anche una forte componente di narcisismo: quella di riuscire a sfangarla al di sopra di ogni cosa. Ed è proprio questo a rendere insopportabile il tradimento, al termine di un episodio comunque già carico di emotività, con la morte di Shane e di tutta la sua famiglia.

Mentre è lì, da solo, alla scrivania, Vic sente le sirene in lontananza. È il richiamo della strada, il suo habitat naturale. Così, ancora una volta, fugge dal silenzio.