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Il racconto sulla vita della famiglia Crain e della loro “casa dei sogni” sopravvive alla memoria, anche a distanza di tempo. Rimane lì, in un limbo dal quale non c’è scampo, bloccati dal suo fascino drammatico e terrificante. Perché una volta che la storia di The Haunting of Hill House ti entra dentro, tutte le preoccupazioni e le angosce dei protagonisti diventano anche le tue.

Assisti all’evoluzione di una famiglia e di un incubo. Lo vivi in prima persona attraverso uno schermo, e tra gli episodi non si può che sentire l’assenza di qualcosa, una mancanza sanata soltanto alla fine della stagione.

the haunting of hill house

Si raccontano i difetti e i pregi di un nucleo familiare. E nella straordinaria accezione paranormale scopri che in questa serie tv c’è più umanità che morte, più perdono che ostilità. Ma per scoprirlo devi arrivare fino alla fine, affrontarne le perdite e scoprirne i segreti. Devi scavare a fondo e raggiungere le ossa di quella casa stregata dall’orrore della morte, dallo sconforto e dallo smarrimento.

Se le note di una canzone potessero accompagnare ogni passo compiuto dai componenti della famiglia Crain, tale canzone sarebbe Hallelujah, di Leonard Cohen. E il testo malinconico e celeberrimo sarebbe perfetto per raccontarne le pene e l’agognato lieto fine.

Well baby, I’ve been here before
I’ve seen this room and I’ve walked this floor
I used to live alone before I knew ya

All’interno di quella casa si raccontano i ricordi minacciosi di un passato traumatico. Attraverso la lenta catarsi dei fratelli Crain ne comprendiamo l’oscurità, divenendo spettatori e giudici.

The Hanting of Hill House è il terrore dalle fondamenta dure che si confonde alla ricerca di un epilogo felice.

I traumi vissuti da bambini perseguitano i protagonisti che si allontanano dall’idea di famiglia, ormai utopica. Soltanto alla fine quel termine ritrova il suo significato. Le ultime parole di Nell Crain, con le quali descrive la casa come un corpo e la stanza dalla porta rossa come uno stomaco, trasformano il senso di impotenza dei protagonisti in una consapevolezza. La consapevolezza di esser diventati spettri, come i fantasmi di quell’abitazione: incapaci di perdonare se stessi e gli altri.

famiglia crain

Quella stanza, vissuta da ogni componente della famiglia, diventa il ritrovo per un addio e una rivincita.

La morte di Olivia Crain ha causato il progressivo e reciproco allontanamento dei fratelli. E quando il lutto diventa più potente del senso di colpa, allora tale distanza si riduce. Si ritrova quel bisogno di umanità, la ricerca di un contatto fraterno capace di scalfire anni di silenzi e incomprensioni.

I Crain sono fragili, eppure resilienti. Dall’addio alla madre, al padre e alla giovane Nell ciò che si prospetta è più roseo del passato. Non ci sono mura, né lunghi corridoi bui nel lieto fine dei protagonisti. C’è solo una stanza in quel finale di stagione, dove si ritrovano tutti insieme. Forse la stessa stanza di cui canta Leonard Cohen, dove tutti i protagonisti ritrovavano nella solitudine una propria indipendenza. Quella camera apparentemente sicura ma che, drammaticamente, li ha sempre traditi.

And love is not a victory march
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah

Ciò che i protagonisti di The Haunting of Hill House ottengono, alla fine di quel lungo percorso per tornare a casa e poi fuggirne, è puramente astratto. Non è una verità nascosta dal passato, né un senso di affetto che finalmente potrà essere colmato. Non ci sono resurrezioni, né parole adatte per superare tutte le disgrazie vissute. Eppure, il riscatto di Steven, Luke, Theo e Shirley, alla fine di quei sadici giochi con la morte e gli spettri dai mille volti, avviene con l’accettazione di quelle stesse tragedie.

Si ricerca un perdono che tarda ad arrivare, ma che alla fine arriva. E non c’è vergogna per gli errori commessi, né per i propri fantasmi del passato.

the haunting of hill house

Al termine della loro storia, essi sono avvolti dalla certezza di non essere più soli. “Love is not a victory march”, perché quell’amore i fratelli Crain se lo sono guadagnato. Hanno combattuto le proprie paure e sofferto la perdita delle persone amate per ottenerlo, ritrovarlo.

And it’s not a cry that you hear at night
It’s not somebody who’s seen the light
It’s a cold and it’s a broken Hallelujah

In The Haunting of Hill House ciò che spaventa di più non è la morte, né la presenza dei fantasmi. È la rinascita, il risveglio che avviene dopo un infernale passato, dal quale non si è mai sufficientemente lontani. La speranza che Hill House possa rendere immortali attrae e ammalia chi nella morte vede solo sconforto e perdizione. Ma questa casa non è quella dei sogni di Olivia, non lo è mai stata.

Ad essa appartengono antichi segreti e dolori impronunciabili, malgrado sia capace di regalare la vita a chi, dopo un lutto, ha smesso di credere nel futuro.

L’Hallelujah cantato da Leonard Cohen è un inno alla gioia, alla libertà di rinascere. È l’incantesimo dal quale si risvegliano i Crain dopo aver assistito ai propri peggiori incubi, la speranza di poter tornare a essere una famiglia. È l’addio al passato, a Hill House e alla sua oscura verità.

the haunting of hill house

Nella casa son rimaste le tazze di stelle e i sassi che elencano chi, alla fine dei giochi, non c’è l’ha fatta. Rinchiusi tra le mura spente e mistiche di Hill House ci sono i loro ricordi e le speranze di bambini dall’innocenza perduta.

Sono tutti rimasti lì, a tener compagnia agli spettri, lontani dai fratelli Crain che hanno deciso di ricominciare. Sulle note di Hallelujah, che ne riflette la resilienza, che ne loda la forza di ricercare un proprio lieto fine.

Perché i Crain, dopo aver imparato a elaborare la perdita di chi hanno amato, sono in grado di godersi chi è rimasto al loro fianco. Si riservano il diritto di ricominciare, questa volta insieme, lontani dall’ombra di Hill House. Lontani da infauste memorie, dall’eco del dolore, alla ricerca del proprio Hallelujah.

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