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The Generi non è l’opera migliore di Maccio Capatonda, ma avrebbe meritato un trattamento diverso

L’estate del 2018 Sky Atlantic consegnò al proprio pubblico un pacchetto regalo targato Maccio Capatonda: la serie tv The Generi. Il comico, attore, sceneggiatore (e chi più ne ha più ne metta) italiano decise, così, di misurarsi con una piazza gigantesca e importantissima come Sky per dar vita a un progetto molto originale. E lo fa con una serie tv innovativa, di soli otto episodi da 25 minuti circa ciascuno, alimentando dannatamente le aspettative dei suoi fan più accaniti.

Di cosa parla The Generi

Gianfelice Spagnagatti, interpretato proprio da Maccio Capatonda, è un critico televisivo e cinematografico, incapace di vivere a pieno la propria esistenza e godersi i piaceri della vita. Bloccato, apatico, senza un briciolo di vita sociale, Gianfelice preferisce la clausura casalinga e il mondo di finzione, che conosce a menadito per via della sua professione, alla vita reale che scorre inesorabile al di fuori della propria abitazione. Una vita, dunque, di reclusione, passata davanti a uno schermo, che sia quello del portatile, la televisione di casa o il semplice smartphone che, oramai, rende accessibile praticamente tutto.

L’unica persona che frequenta, seppure saltuariamente, è la dirimpettaia Luciana, innamorata di Gianfelice, capace di mille tentativi pur di ridestare il protagonista dal torpore della sua vita e dalla negligenza più assoluta su cui da anni si è adagiato.

A seguito di una discussione con Luciana, stanca di spronare il proprio vicino, Gianfelice verrà catapultato in nuovi e sempre più diversi mondi, raffiguranti altrettanti generi cinematografici.

E così, l’uomo abituato al lassismo più totale viene costretto a un inaspettato dinamismo. Obbligato all’azione, seppur senza voglia e con una palpabile indolenza che rende alcune delle gag ancora più spassose, Gianfelice riuscirà a superare boss e tutti gli ostacoli che, episodio dopo episodio, genere dopo genere, gli si presenteranno dinanzi ai suoi occhi; e questo in virtù del suo invidiabile bagaglio conoscitivo di film e serie tv.

Quasi come in un bildungsroman, un romanzo di formazione personale, il protagonista Gianfelice Spagnagatti cresce, si evolve, comprenderà sé stesso sovrastando blocchi, paure e fobie. Ciononostante, però, il finale sembrerebbe smontare anche questo assunto.

Cosa funzione in The Generi

La premessa già nasconde in sé un sottotesto accattivante: la trama squarcia visibilmente l’ipocrisia dominante contemporanea affrontando, tra il serio e il faceto, una critica sociale rivolta ai giovani e non della nostra generazione. Su tutti, il rifuggire da qualsivoglia responsabilità, vuoi che si tratti di intraprendere un lavoro, vuoi che si tratti di mettere su famiglia.

The-Generi

Sappiamo quanto l’ironia di Maccio Capatonda sia sempre stata molto attuale e pungente, quindi non abbiamo dubbi sul fatto che l’operazione portata avanti sia mirata e costruita volutamente.

La cornice e i contorni della serie tv sono perfetti, a partire dalle musiche utilizzate, dalle puntuali e coerenti location e, soprattutto, dalle simpatiche grafiche iniziali di ciascun episodio, adattate alla perfezione a ogni genere proposto.

L’episodio iniziale è un meraviglioso viaggio nel vecchio west, un evidente omaggio a uno dei generi più apprezzati del cinema italiano: lo Spaghetti western. Qui, tutto, ma proprio tutto ricorda i classici del genere: gli aridi paesaggi, le musiche, l’abbigliamento, ma soprattutto un linguaggio che aderisce ai canoni del western con grande cura.

I generi cinematografici all’interno della serie tv vengono sviscerati in tutte le loro peculiari caratteristiche: i colori, i costumi, le ambientazioni, i personaggi; tutto è minuziosamente realizzato ad hoc per ogni genere che viene presentato.

Prendiamo, ad esempio, il secondo episodio, per molti versi il più “macciano”, divertente e riuscito: il genere è quello horror.

Capatonda ripristina tutti gli stereotipi del genere, virando più sul b-movie splatter che sulle pellicole horror contemporanee capaci di guadagnarsi, negli ultimi anni, anche le attenzioni della critica più severa e perplessa.

Ce ne accorgiamo subito soprattutto dal doppiaggio, volutamente approssimativo. Per il resto, tutto torna: le botole nascoste, il libro di incantesimi, il quarterback del college americano, la casa isolata nel bosco, i vani tentativi di fuga impossibilitati, ad esempio, dalla classica mancata accensione dell’automobile.

La continua incredulità del protagonista, mischiata alla sua scarsa pazienza, all’arrendevolezza (specialmente verbale e quanto mai spiritosa di Maccio) e la mancanza di un libro di istruzioni su come comportarsi nei meandri delle bizzarre situazioni che Gianfelice è costretto ad affrontare, rappresentano sicuramente la chiave comica di Capatonda, l’elemento più esilarante della serie tv. Pura “macciosità”.

Dopo una breve battuta d’arresto nel terzo deludente episodio, la comicità dell’autore abruzzese si rilancia nella puntata numero quattro, quella dedicata alla commedia sexy all’italiana. Guest star d’eccezione, ovviamente, l’eterno Pierino di Alvaro Vitali che per l’occasione funge da faro virgiliano dimostrando al protagonista come districarsi abilmente in questa nuova ambientazione, costellata di becere battute, viscidi personaggi, procaci e provocanti presidi e infermiere, riportando alla luce la leggerezza di un’ antiquata comicità ormai, per fortuna, superata.

Cosa non funzione in The Generi

Nonostante l’approccio ambizioso e pruriginoso, però, la serie non si godrà quello smisurato successo al quale Maccio Capatonda è sempre stato abituato.

Il campione della comicità destrutturata italiana, che negli anni ci ha abituati fin troppo bene escogitando format sempre più spassosi e originali (dai finti trailer al tg quarantena, da padre Maronno passando per i successi al botteghino cinematografico) con The Generi non incide marcatamente come ci saremmo aspettati. La serie, infatti, non convince del tutto, ma, sia chiaro, non si tratta assolutamente di una debacle, di un terribile flop.

Pur non avendo generato il consueto passaparola tra i divoratori di serie tv e quell’apprezzamento unanime di pubblico e critica, The Generi, infatti, rappresenta comunque un progetto ben realizzato sul piano tecnico e, seppur a tratti, divertente, piacevole da gustare e adatto al più classico dei binge watching.

Il terzo episodio, che ci fornisce un impeccabile spaccato delle oniriche atmosfere fantasy, corrisponde a un mezzo passo falso dell’intera serie. Poco spiritoso, delle volte per giunta noioso, insomma non del tutto riuscito. Tentando di replicare il difficile e delicato mondo fantasy. Capatonda finisce con l’inscenare, più che una caricatura del Trono di spade, una scialba parodia di Fantaghirò.

Al giro di boa The Generi comincia a sentire la pressione e a perdere colpi. I generi supereroistico, quiz e noir appesantiscono e rallentano il prodotto fino a quel momento vivace, effervescente, nonché estremamente originale.

Nonostante la presenza di uno dei mostri sacri della comicità italiana, vale a dire Nino Frassica, non se ne riesce a far sprogionare tutto il suo potenziale riconducendolo a una mera macchietta di sé stesso. Il sesto episodio, quello ambientato in un finto quiz game sulla vita del protagonista, annoia non regalando quell’esplosività che ci saremmo aspettati da un duo d’eccezione come quello formato da Frassica e Capatonda.

Il penultimo episodio è dedicato al noir. Il canovaccio tipico del giallo viene rispettato, compresa la narrazione fuori campo al passato così come il linguaggio che si sposa perfettamente con il genere suscitando non poche risate.

I tempi, tuttavia, si dilatano e il ritmo perde l’incedere martellante di inizio stagione. Ciononostante, sembrerebbe proprio il noir l’episodio su cui Maccio Capatonda si sia impegnato maggiormente sciorinando con sapienza gli archetipi del genere.

L’episodio conclusivo che passa da genere a genere, dallo spionaggio in stile James Bond al dramma medicale, dalla parodia di Saw – l’Enigmista a quella di Terminator, denota perdita di benzina, risultando una forzatura mancando l’occasione di donare al pubblico quel culmine validissimo di cui la serie avrebbe avuto bisogno, lasciandoci leggermente delusi dopo il grande lavoro fin qui realizzato.

Conclusioni

Insomma, the Generi nasce da una delle menti più geniali e amate della comicità italiana, quindi era doveroso aspettarsi un’opera all’altezza della reputazione dell’autore. Tuttavia, sebbene il costrutto narrativo avesse dato l’impressione di custodire un enorme potenziale, le aspettative dello spettatore e dei fan di Capatonda finiscono per schiantarsi contro il muro di un’opera, sì coraggiosa e ambiziosa, ma non perfetta.

Qualche sbavatura qua e là non ci consentono, purtroppo, di definire The Generi un capolavoro.

L’amore e la venerazione che molti, compreso il sottoscritto, nutrono per Maccio Capatonda è, tuttavia, così forte da farci persino auspicare che la serie possa avere una continuazione; un seguito che, però, sfortunatamente non è mai stato in programma.

The Generi rimane, così, un’opera solitaria, una serie di soli otto episodi, non destinata ad avere, ahinoi, una prosecuzione.

L’esperimento di Maccio Capatonda risulta, sommando gli alti e bassi della serie, comunque perfettamente riuscito. Shakerare generi diversi rimanendo sempre sul pezzo dell’ilarità sembrava una sfida quasi impossibile da affrontare e Maccio Capatonda, ancora una volta, dimostra di saperci fare col mezzo televisivo e le sue meta-rappresentazioni.

Il nostro suggerimento, quindi, è quello di recuperare la serie qualora non la aveste ancora vista perché, al netto della poca pubblicità e degli insolitamente scarsi proseliti, The Generi merita decisamente un trattamento diverso.

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